Dossier. Le Province del Piemonte: una sintesi storica

    di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - Ires Piemonte

    Introduzione1

    In Italia, com'è noto, l'organizzazione territoriale dello stato risale alla tradizione napoleonica ottocentesca. Essa è strutturata su tre livelli organizzativi: lo Stato centrale, il Dipartimento e il Comune (polvere, ben 36.568 in Francia). In tale contesto le "comunità intermedie" (i Cantoni, i Mandamenti) aggregavano alcune funzioni della (volutamente) frammentata articolazione dei comuni mentre le Regioni, costituivano un'anomalia e c'è voluto parecchio tempo per la loro costituzione. Come è risaputo esse si sono imposte solo a partire dal secondo dopoguerra: in Italia nel 1970 (nonostante fossero previste dalla carta costituzionale, art. 131), in Francia nel 1982.

    Le funzioni statali venivano così esercitate da soggetti che erano espressione diretta del potere centrale, le Province (in Italia) o i Dipartimenti (in Francia). Tale architettura istituzionale si è evoluta nel tempo, soprattutto per quanto riguarda l'attribuzione di funzioni, e in Italia anche per quanto concerne le partizioni di riferimento . In particolare, come vedremo anche in seguito, le Province dall'unità d'Italia sono quasi raddoppiate, in un quadro di rescaling verso l'alto di molte delle funzioni statali, passate a scala europea (soprattutto economiche), nonché di molte funzioni comunali (sempre economiche), espresse dai bacini di gravitazione casa-lavoro, che sono divenuti nel tempo più ampi. In letteratura essi si chiamano SLL, cioè i Sistemi Locali del Lavoro della mobilità giornaliera e sono elaborati a ogni censimento dall'l'ISTAT (1997). In Italia questo livello di intercomunalità, che nella letteratura è conosciuto come LAU 1 (Local Administrative Unit 1, precedentemente denominato con l'acronimo NUTS 4) non è riconosciuto istituzionalmente ma solo come partizione statistica e di studio della pendolarità giornaliera: gli SLL in Piemonte erano 87 al Censimento del 1981, sono divenuti 50 nel 1991 e 37 nel 2001. Nonostante lo sforzo fatto dallo Stato e dalle Regioni per agevolare la creazione di forme di Unioni di comuni, il problema della gestione e organizzazione delle funzioni alla scala locale intercomunale resta tutto da affrontare e risolvere. La Regione Piemonte ha proposto, ai fini della sua programmazione territoriale, una partizione che aggiorna e rende più rispondente alla sua struttura socio-economica e fisica i SLL, gli Ambiti di integrazione territoriale (Ait) che riducono a 33 i suoi sottosistemi territoriali.

     

    Figura 1 – L'evoluzione delle Province in Italia per anno di censimento

    05_Ferlaino-Fig-1

    Fonte: ISTAT, 2011

     

    Più in generale, le dinamiche di rescaling (vedi Ferlaino, Molinari, 2009) verso l'alto hanno messo in crisi non solo l'architettura amministrativa statale, ormai indebolita in alcune delle sue prerogative fondanti dall'emergere della Unione europea, ma anche le funzioni inferiori degli enti locali, regioni, province, comuni. Si è cercato a più riprese di modificare e adeguare il modello napoleonico alle specifiche realtà socio-economiche e politiche (e, infatti, oggi la nostra Penisola viene definita "stato regionalizzato" da Loughlin, 1999; Baldi, 2003), tuttavia, i processi di decentramento, innescati dalle dinamiche evidenziate, hanno indotto a mettere in discussione il principio stesso di territorialità che regge il modello organizzativo tradizionale. Ne è conseguito, soprattutto negli ultimi vent'anni, un fiorire di iniziative e di riforme volte a adeguare il governo del territorio ai cambiamenti geo-socio-economici, producendo di fatto un'iperterritorializzazione: continuano a esistere due tipi di Regioni (ordinarie e speciali), sono cresciute enormemente le Province e ai vecchi comuni si sono aggiunte le città metropolitane, le unioni di comuni, le comunità collinari e montane, ecc..

    In questa sede ci preme sottolineare le problematiche che interessano il solo livello provinciale, quello che negli ultimi decenni più ha sofferto di una "crisi di identità" funzionale, conseguente alla più vasta crisi dello Stato del quale era espressione diretta. In Italia, ma anche oltralpe, specialisti e mezzi di informazione hanno a più riprese proposto la soppressione di questo ente intermedio, cosa per altro non banale dato che dovrebbe comunque passare attraverso una modifica costituzionale. In Francia, che conserva tuttora un'organizzazione territoriale più simile al modello napoleonico originario rispetto all'Italia, si osserva lo stesso fenomeno di iperterritorializzazione: Régions, Départements, Etablissements publics de coopération intercommunale (EPCI, che comprendono le Communautés urbaines, le Communautés d'agglomération, le Communautés de communes e i Syndicats d'agglomération nouvelle), Pays e Communes. Una razionalizzazione in una situazione di scarsità di risorse è chiaro che si rende necessaria.

     

    Dal Piemonte all'Italia

    In Italia la provincia venne introdotta con l'Unità estendendo alla Penisola l'ordinamento del Regno di Sardegna (legge Rattazzi del 1859): nel 1870 il territorio nazionale era ripartito in 69 province amministrate da un prefetto, che era il rappresentante locale del governo centrale. La sua introduzione nell'ordinamento statale ha avuto, fin dall'origine, il primario scopo di conteneree regolare  l'iniziativa dei territori locali, senza pretese di garantire un razionale governo del territorio (Merloni e Bours, 1994).

    Il ruolo giocato da questo ente intermedio nella formazione del mercato interno emerse invece molto prima, in continui processi di rescaling e di rifunzionalizzazione territoriale che destrutturarono le territorialità precedenti (di natura feudale) e definirono nuove modalità di gestione del territorio. Obiettivo principale fu la formazione di un "mercato interno", lo Stato, fondato su una cultura (una lingua e una religione) condivisa, la Nazione. E per fare questo occorreva rendere più uniforme il territorio, le sue norme, la sua organizzazione. Ciò fu ottenuto attraverso continui rimaneggiamenti della maglia amministrativa, tendenti a eliminare i privilegi territoriali e le servitù conquistate nel tempo (a scapito del potere centrale imperiale o reale) e, con essi, alcune radicate caratterizzazioni locali.

    A differenza del patto federale che mantiene le diversità, gli stati a struttura unitaria centralizzata si sono infatti formati attraverso un progressivo assoggettamento di realtà politiche e territoriali multiformi (principati, ducati, marchesati, ecc.), ognuna delle quali aveva caratteri e norme amministrative particolari, nonché usi, privilegi, esenzioni, dispense, immunità che vincolavano i poteri superiori.

    Il rimaneggiamento della maglia amministrativa, soprattutto quella intermedia, è pertanto espressione di queste mutate condizioni di potere. Attraverso il rescaling (verso l'alto o verso il basso) si rifunzionalizza e si eliminano radicamenti e notariati di vario genere. Qualche esempio relativo al Piemonte può chiarire queste processualità.

    In seguito alla pace di Cateau-Cambrésis (1559) che pose fine alle guerre d'Italia, Emanuele Filiberto suddivise i nuovi territori del Ducato di Savoia in sette province, come territori di competenza dei centri principali. Le conquiste successive del marchesato di Saluzzo da parte di Carlo Emanuele I (la prima volta con il trattato di Lione del 1601), le cessioni e poi la successiva ripresa del Pinerolese (con Vittorio Amedeo II, nel 1699), l'ulteriore conquista del marchesato del Monferrato (1713), sono momenti storici salienti di un periodo di instabilità e riplasmazione continua dei confini interni e esterni, che diedero luogo a rimaneggiamenti e riforme nel 1619, "che portò il numero di province a sedici, quella del 1622, che le riorganizzò riducendole a dodici, quella del 1653, che le accrebbe a diciotto, (...) e la riforma del 1697, con cui Vittorio Amedeo II ridusse nuovamente le province a dodici. Le acquisizioni territoriali della prima metà del Settecento vennero poi progressivamente incorporate entro differenti ipotesi di divisione provinciale nei Regolamenti del 1723 e del 1729, per trovare una definitiva sistemazione nell'editto del 1749 (perfezionato con lievi aggiustamenti territoriali nel 1750), con cui Carlo Emanuele III procedette a un generale riordino del ritaglio provinciale destinato a durare fino a fine secolo" (Sturani, 1995, p. 93).

    È interessante notare come questi continui processi di rescaling riplasmino le vecchie appartenenze facendo emergere nuove polarità: è il caso della nuova provincia di Mondovì, città baricentrica tra la contea di Tenda e il marchesato di Ceva (che controllavano i passi del col di Tenda e di Cadibona), oppure della nuova provincia di Alba, città antagonista della più potente e autonoma Asti.

    Le riorganizzazioni erano tutte comunque tese a uniformare il territorio, eliminare particolarità e privilegi e accrescere il controllo centrale attraverso gli 'Intendenti' (di nomina reale). Questi estesero nel tempo (con alterne vicende) le loro competenze in diversi ambiti amministrativi, passando da funzioni relative al controllo finanziario delle entrate comunali a funzioni regolamentari e giurisdizionali nelle province.

    La riforma napoleonica fu per molti aspetti rivoluzionaria, sostituì gli Intendenti con i Prefetti e suddivise il territorio piemontese in sei soli dipartimenti, secondo il modello francese. L'esperienza storica francese è molto interessante in quanto la logica di découpage è impregnata di razionalismo illuministico e, almeno nella teoria e nei suoi intenti originari, si ispira a obiettivi diversi da quelli puramente politici. Emerge innanzitutto una definizione geografica del Dipartimento che si caratterizza dal punto di vista fisico-ambientale intorno all'organizzazione del reticolo idrografico. L'acqua costituiva allora (e oggi tende sempre di più a ricostituire) la risorsa prioritaria del territorio sia per la produzione che per il consumo delle famiglie, tanto che la gerarchizzazione del reticolo venne presa a fondamento dell'intero découpage amministrativo, a sua volta gerarchizzato in Dipartimenti, Arrondissement e Cantoni. I Dipartimenti prendono quindi i nomi delle aste fluviali maggiori che "naturalmente e razionalmente" suddividono il territorio e le sue "genti".

    L'altra caratteristica è relativa alla buona amministrazione e quindi a un ritaglio razionale funzionale e economico (oltre che amministrativo): "l'obiettivo è di consentire agli abitanti di ciascuna delle nuove circoscrizioni di raggiungere il capoluogo amministrativo e tornare alla propria contrada di residenza, una volta assoltivi i propri affari, nell'arco di una stessa giornata" (Coppola, 2006, p. 43). L'aspetto complementare, forse più sottaciuto, è relativo al ritaglio di tali aree anche come ambito di pertinenza della gendarmeria, localizzata nel capoluogo e con il compito di controllare il territorio, anche intervenendo (a cavallo) per sedare in giornata qualsiasi forma di ribellione localistica. La Provincia, il Dipartimento avrebbe dovuto quindi, almeno in teoria, essere ritagliato sul reticolo dei bacini idrografici e avrebbe dovuto avere una estensione tale da consentire a un cittadino di recarsi, e ritornare, in giornata (a cavallo) nel suo capoluogo amministrativo e alla 'gendarmerie nationale' di intervenire "alla bisogna". Il disegno napoleonico esprimeva quindi un cambiamento di prospettiva, una nuova visione del ritaglio territoriale che informerà anche la successiva organizzazione dello stato liberale: lo stesso albero gerarchico concepito come efficiente macchina di trasmissione delle istanze periferiche verso il centro (di servizio egalitario della popolazione) è, nello stesso tempo, funzionale alla macchina decisionale dello stato centrale (di trasmissione dello stato sul territorio) e alla uniformazione del mercato interno (leggi e norme uguali per tutti).

    Il modello completo è dato da una combinazione dei quattro aspetti definiti dal disegno di riferimento: 'naturalistici', basati sul reticolo idrografico; 'economico-funzionali', basati sulla presenza di un centro amministrativo e di mercato di rilievo, nonché sul riordino dei comuni e delle proprietà catastali; 'di prossimità e appartenenza', basati sulla continuità territoriale e la possibilità dei cittadini di andare e tornare (a cavallo) in giornata dal centro; 'amministrativi e di controllo', definiti dal flusso gravitazionale inverso del Prefetto e della gendarmeria sul territorio di pertinenza.

    Il Piemonte risultava suddiviso in:

    • dipartimento dell'Eridano o del Po, con capoluogo Torino;
    • dipartimento del Tanaro, con capoluogo Asti. Questo dipartimento fu soppresso in seguito all'annessione della Liguria e il suo territorio ripartito tra quelli di Marengo, di Montenotte e della Stura;
    • dipartimento del Sesia, con capoluogo Vercelli (e sottoprefetture Biella e Santhia);
    • dipartimento dell'Agogna, con capoluogo Novara (e sottoprefetture Vigevano, Domodossola, Varallo e Arona), soppresso a seguito della caduta di Napoleone;
    • dipartimento della Dora, con il territorio dell'Eporediese, intorno a Ivrea (sottoprefettura di Aosta e Chivasso);
    • dipartimento della Stura, con capoluogo Cuneo (sottoprefetture in Alba, Mondovì, Saluzzo e Savigliano);
    • dipartimento di Marengo, con capoluogo Alessandria (suddiviso dal 1805 nei circondari di Alessandria, Asti e Casale Monferrato) (fig. 2).

    Ognuno di tali dipartimenti era poi suddiviso in Circondari (Arrondissement), intorno a cittadine di media dimensione, suddivisi a loro volta in Cantoni.

     

    Figura 2 - La suddivisione del Piemonte in dipartimenti in una carta francese del 1807.

    05_Ferlaino-Fig-2

    Fonte: http 1 (in bibliografia).

     

    La Restaurazione e il ritorno delle Intendenze riplasmò i confini restituendo vigore agli aspetti della prossimità politico-amministrativa e depotenziando ulteriormente (la politica era già ampiamente intervenuta anche nel disegno napoleonico) gli aspetti geografici (i bacini idrografici) che caratterizzavano i nomi della suddivisione dipartimentale (fig. 3). Un superiore e crescente ruolo fu preso dalle Divisioni, ma si mantenne salda l'organizzazione gerarchica in Divisioni, Province, Mandamenti e Comuni, nonché l'impianto disciplinare catastale, che sarà l'altro potente strumento di uniformazione e di regolamentazione del territorio per la creazione di un vasto mercato interno del suolo, dei commerci e degli scambi. Un mercato che per formarsi necessitava di uguaglianza dei diritti, libertà di movimento, fiducia e reciproco rispetto delle norme.

     

    Figura 3 - La carta del Regno di Sardegna del 1838

    05_Ferlaino-Fig-3

    Fonte: http 2

     

    Il raddoppio: dalle quattro originarie alle otto province

    La legge comunale e provinciale del 1847 (Regio Editto elaborato dal Giovanetti) e il successivo statuto del 1848 rompono, almeno in parte, il controllo centralistico attraverso l'eleggibilità dei consigli comunali e provinciali e riaffermano, attraverso il diritto di voto in base al censo, il rapporto diretto tra mercato e territorio.

    In Piemonte, la legge comunale e provinciale del Rattazzi, poi estesa alla Lombardia nel 1859, nonché all'intero Regno, con l'unità d'Italia, sarà connotata da un'alleanza forte tra governo centrale e province, che perdurerà per tutto il XIX e XX secolo.

    A cavallo tra i due secoli, all'epoca dei vari governi Giolitti, si registrò una fase in cui il ruolo degli enti periferici risultava depotenziato a favore del potere centrale. Le province iniziarono così a mutare ancora una volta fisionomia: si svuotava la funzione di rappresentanza degli interessi territoriali e diventava preminente quella di costruzione del consenso dei notabili e di avvio alla carriera politica (Gambi e Merloni, 1995). Dal punto di vista territoriale l'accentramento coincise (come succede quasi sempre) con l'accorpamento del "piccolo al grande"e le province divennero così quattro: Torino, comprendente l'attuale provincia di Torino e la Val d'Aosta; Cuneo, unica provincia che ha mantenuto da allora i confini invariati; Novara, comprendente le attuali province di Vercelli, Novara, Biella e Verbano-Cusio-Ossola; Alessandria, comprendente le attuali province di Alessandria e Asti.

     

    Figura 4 - I confini provinciali in Italia al 31 dicembre 1861

    05_Ferlaino-Fig-4

    Fonte: Istat, 2001

     

    Durante il periodo fascista si accentuarono le spinte centralistiche e le province tornarono a rivestire un ruolo di primo piano per il controllo territoriale. La "smobilitazione" del vecchio potere avvenne con l'istituzione in tutta la Penisola di altre 22 province (tab. 1 e fig.5), di "chiara fede", con un carattere più autoritario e un più forte legame con il governo centrale.

     

    Figura 5 - Variazioni dei confini provinciali dal 1922 al 1931

    05_Ferlaino-Fig-6

    Fonte: Istat, 2001

     

    A partire dalla fase costituente e fino ai primi anni Novanta del Novecento, questo ente vivrà fasi alterne di declino e rivitalizzazione, con un ruolo complesso e non privo di strumentalizzazioni da parte del potere centrale contro le nascenti realtà regionali e le sue forme di decentramento territoriale.

     

    Tabella 1 - Le province costituite e soppresse in Italia a partire dal 1861

    05_Ferlaino-Tab-1

    Fonte: ISTAT, 2001 e Ministero dell'Interno

     

    Durante il periodo fascista si ebbero importanti modifiche nelle partizioni amministrative. Le province vennero implementate in ragione di un disegno amministrativo nuovo, fondato su legami più forti tra centro e periferia mentre si procedette all'aggregazione degli enti comunali. In Piemonte vennero istituite le province di Vercelli (da quella di Novara, nel 1927), Aosta (da quella di Torino, nel 1927) e Asti (da quella di Alessandria, 1935). Questi cambiamenti furono motivati dalla necessità di ricomporre alcune marcate anomalie territoriali sorte anche a seguito della realizzazione di nuove infrastrutture di comunicazione che determinarono nuovi equilibri (Sturani, 2001, 2002). All'interno di questo nuovo quadro amministrativo non si eliminarono completamente contraddizioni e evidenti forzature.

    Nel caso di Vercelli, ad esempio, furono riuniti in un unico ente territori molto eterogenei sia dal punto di vista fisico che socio-economico (dalle pendici del Monte Rosa alle fabbriche tessili del Biellese e all'area risicola della pianura) mentre la nascita negli anni trenta della provincia di Asti (nel 1935), fatta un anno dopo quella di Latina, si inserì nel più ampio processo di decentralizzazione e controllo della periferia. Tuttavia mentre la nascita della provincia di Latina trovava una motivazione ideologica nella costruzione della pianificazione esemplare della città razionalista Littoria e nella bonifica dell'Agro pontino, la rinascita di Asti, seppur spiegata dalla sua ricca tradizione autonomista, trova nel sostegno di Pietro Badoglio (nobile potente e Maresciallo d'Italia) e di qualche altro politico influente (il podestà Vincenzo Buronzo e l'imprenditore Giovanni Penna) più fondate motivazioni del proprio successo.

    In questa fase la logica seguita sembrò dimenticare le eredità storico-geografiche e rispondere piuttosto a criteri di tipo funzionale: dapprima si aveva, infatti, l'individuazione di un capoluogo in base alla sua rilevanza economica e produttiva, intorno al quale si costruiva poi una provincia sufficientemente estesa e popolata. La provincia era il terminale locale dello Stato intorno cui si aggregavano le comunità più piccole, i Comuni.

    Fu in questo contesto che dal 1927 al 1945 furono soppressi gli organi democratici dei comuni e tutte le funzioni in precedenza svolte dal sindaco, dalla giunta e dal consiglio comunale furono trasferite al podestà (nominato per cinque anni con Regio decreto). Furono inoltre soppressi in Italia ben 2.165 comuni, di cui solo il 42% venne in seguito ricostituito. In Piemonte ci furono importanti variazioni territoriali che comportarono il passaggio di numerosi comuni da una provincia all'altra e la soppressione di molti di essi: nel censimento del 1921 si registrarono in Piemonte 1489 comuni, nel 1946 erano divenuti 1180. Di quelli soppressi ben 235 non vennero più ricostituiti (vedi tab.2) .

     

    Tabella 2 – Comuni soppressi e non più ricostituiti per periodo

    05_Ferlaino-Tab-2

    Fonte ISTAT, 2001

     

    Dopo tale fase non vi fu più alcuna significativa variazione in Piemonte fino all'insorgenza dei sistemi locali e dei distretti industriali di piccola e media impresa che seguirono la fase di decollo dello sviluppo nazionale, polarizzato intorno al triangolo delle grandi città di Torino, Milano e Genova.

    Come è risaputo, a partire dagli anni cinquanta del secolo scorso, lo sviluppo economico e industriale del paese prese forme e dimensioni prima inimmaginabili. Sarà proprio la libertà consentita dall'arricchimento prodotto dal "miracolo economico" a far crescere la domanda di partecipazione dei cittadini "per avere dallo stato quello che lo stato deve a chi lavora e produce" (Muscarà, 2001, p. 10). Questa istanza non nasce tuttavia all'improvviso e non diventa opinione pubblica lungo un percorso lineare, quanto piuttosto attraverso un complesso intreccio di avvenimenti storici, geopolitici, istituzionali e sociali che porteranno alla nascita di nuove province in Italia tra il 1968 e il 1975 (in contrapposizione al movimento regionalista di quegli anni e all'istituzione delle Regioni) e poi, a partire dagli anni novanta, alla loro "esplosione", a seguito della affermazione dei territori locali sia in ambito economico -si pensi ai distretti industriali- che politico, con la nascita di movimenti e partiti fortemente territorializzati.

    E' in questo contesto di fermento socioeconomico e di espressione produttiva dei territori, attraverso i distretti industriali di piccola e media impresa (poco prima dell'emergere delle dinamiche tese verso la loro "evaporazione" globale) che nel 1992 in Piemonte vengono istituite le Province di Biella (da quella di Vercelli) e del Verbano-Cusio-Ossola (da quella di Novara). Più in generale (Ponzano, 2005), risulta che i motivi dell'"esplosione provinciale" non sono da ricondurre semplicisticamente a motivazioni opportunistiche di territori economicamente avvantaggiati, che vogliono godere in maggior misura della propria ricchezza quanto, piuttosto, all'emergere di nuovi soggetti, sociali e produttivi, a forte connotazione territoriale. Nel caso del Piemonte ciò è particolarmente evidente.

    La Provincia di Verbano-Cusio-Ossola (VCO) ha la particolare caratteristica di essere tripolare, come denuncia la denominazione stessa, in quanto presenta una realtà territoriale, economica e sociale differenziata in ciascuna delle tre aree che la compongono. Per questo motivo, si diede riconoscimento a tale eterogeneità decentrando gli uffici periferici dell'amministrazione statale sulle città di Domodossola e Verbania (quest'ultima creata invece nel 1939 attraverso la fusione delle municipalità di Intra, Pallanza e Suna).

    Entrambe le nuove province raccolgono le istanze locali di territori con problematiche specifiche che non trovavano l'attenzione e lo spazio necessario all'interno delle preesistenti amministrazioni provinciali. Nel complesso, il disegno del territorio provinciale di Biella è più netto e rispecchia la sua realtà produttiva, così come viene rappresentata attraverso i sistemi locali del lavoro, i quali la individuano come bacino autocontenuto per gli spostamenti casa-lavoro e per il mercato del lavoro; la provincia tripolare presenta invece una realtà più complessa e pluridistrettuale che la inserisce all'interno di una 'voice' produttiva tipica del periodo, nonché entro un contesto territoriale più autonomo dalla realtà regionale, per via della sua prevalente gravitazione sul territorio lombardo. Essa appare cioé storicamente condizionata dalla posizione di confine e dall'inserimento transfrontaliero nella macroregione insubrica e nel modello transregionale delle PLAC (province dei laghi delle Alpi centrali). Entrambe le province hanno una popolazione inferiore ai 200.000 abitanti3 e quella del VCO rappresenta un caso anomalo: è l'unico caso del 1992 di provincia di nuova istituzione che ha una superficie maggiore di quella da cui si è staccata.

     

    Bibliografia

    BALDI B., Stato e territorio. Federalismo e decentramento nelle democrazie contemporanee, Roma-Bari, Laterza, 2003.

    COPPOLA P., Ritagli territoriali tra democrazia e sviluppo, in SALARIS A. (a cura di), op. cit., 2006, pp. 43-49.

    FERLAINO F. e MOLINARI P., Neofederalismo, neoregionalismo e intercomunalità. Geografia amministrativa dell'Italia e dell'Europa, Bologna, Il Mulino, 2009.

    FERLAINO F. e MOLINARI P., Partizioni amministrative e sviluppo territoriale in Piemonte. La "questione provinciale", Torino, w.p. interno, IRES, 2009-b.

    FERLAINO F., Atlante geografico-amministrativo della Regione Piemonte, Torino, IRES Piemonte, 1999. Scaricabile in: http://www.ires.piemonte.it/pubblicazioni.html?catid=3

    GAMBI L. e MERLONI F. (a cura di), Amministrazioni pubbliche e territorio in Italia, Bologna, Il Mulino, 1995.

    HTTP 1: http://it.wikipedia.org/wiki/Dipartimento_dell'Agogna, sito visitato il 4.4.2008

    HTTP 2: http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/5a/TannerMapKingdomSardinia1839.jpg, sito visitato il 4.4.2008

    IRES–INSEE, Atlante delle partizioni del Piemonte e del Rhône-Alpes, Torino-Lyon, IRES Piemonte – Insee, 2002. Scaricabile in: http://www.ires.piemonte.it/pubblicazioni.html?catid=3

    ISTAT, I sistemi locali del lavoro, Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1997.

    ISTAT, Unità amministrative. Variazioni territoriali e di nome dal 1861 al 2000, Roma, 2001.

    LOUGHLIN J. (a cura di), La democrazia regionale e locale nell'Unione europea, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 1999.

    MERLONI F. e BOURS A. (a cura di), Amministrazione e territorio in Europa, Bologna, Il Mulino, 1994.

    MUSCARÀ C., Il paradosso federalista, Venezia, Marsilio, 2001.

    PONZANO F., La secessione delle province in Italia, XVII Conferenza della Società italiana di economia pubblica, Pavia, Dipartimento di Economia pubblica e territoriale, 2005.

    STURANI M.L. (a cura di), Dinamiche storiche e problemi attuali della maglia istituzionale in Italia, Alessandria, Ed. dell'Orso, 2001.

    STURANI M.L., Il Piemonte, in GAMBI L. e MERLONI F. (a cura di), op.cit., 1995, pp. 107-153.

    STURANI M.L., Le dinamiche della maglia amministrativa come processi di istituzionalizzazione di regioni. Per una rilettura del caso piemontese, in D'Ascenzo A., "Amerigo Vespucci e i metodi della ricerca storico-geografica", Atti del Convegno Internazionale di Studi, Roma-Firenze 27-30 novembre 2002, Genova, Brigati, 2004, pp. 379-390..

     

    Nota 1: Sintesi e rielaborazione tratta da: Ferlaino F. e Molinari P. (2009b), Partizioni amministrative e sviluppo territoriale in Piemonte. La "questione provinciale", w.p., IRES, Torino.

    Nota 2: Studi sulle diverse partizioni del Piemonte dal punto di vista funzionale sono stati compiuti dall'IRES in: Ferlaino F., Atlante geografico-amministrativo della Regione Piemonte, Torino, Ires Piemonte, 1999; Ires–Insee, Atlante delle partizioni del Piemonte e del Rhône-Alpes, Torino-Lyon, Ires Piemonte – Insee, 2002. Le pubblicazioni sono scaricabili dal sito: www.ires.piemonte.it.

    Nota 3: Tale limite è stato indicato nella successiva legge 267/2000 come soglia minima di popolazione per le province di nuova istituzione, oggi è 350.000.

    Argomenti

    Ambiente e Territorio
    Cultura
    Finanza locale
    Immigrazione e integrazione sociale
    Industria e servizi
    Programmazione
    Istruzione e Lavoro

    Newsletter