di Cristina Fabrizi, Banca d’Italia – Sede di Torino[1].
Nel 2022 l’economia del Piemonte è ancora cresciuta, ma a tassi più contenuti rispetto all’anno precedente. Dopo l’estate lo shock energetico e il rialzo dei prezzi hanno avuto un impatto negativo sull’attività delle imprese e sulla domanda delle famiglie. Il sistema produttivo nel suo complesso è risultato solido, ma il recupero del biennio successivo alla pandemia si inserisce in un contesto di crescita di lungo periodo non favorevole, soprattutto per il capoluogo regionale.
La debole dinamica economica di lungo periodo rende ancora più rilevanti le opportunità offerte dalle ingenti risorse messe a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) a fini del superamento delle debolezze strutturali dell’economia. Secondo le nostre stime, la spesa annua per investimenti delle amministrazioni locali fino al 2026 aumenterebbe sensibilmente, rendendo necessario un significativo miglioramento della capacità realizzativa soprattutto dei Comuni.
L’economia piemontese: la congiuntura
Figura 1- Andamento dell’attività economica in variazioni percentuali |
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(a) ITER e PIL (1) |
(b) Regio-coin (2) |
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Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia, Infocamere, INPS e Istat. (1) Variazioni tendenziali trimestrali e annuali. ITER è un indicatore della dinamica trimestrale dell’attività economica territoriale sviluppato dalla Banca d’Italia. Le stime dell’indicatore regionale sono coerenti, nell’aggregato dei quattro trimestri dell’anno, con il dato del PIL regionale rilasciato dall’Istat per gli anni fino al 2021. Per un’analisi della metodologia adottata cfr. V. Di Giacinto, L. Monteforte, A. Filippone, F. Montaruli e T. Ropele, ITER: un indicatore trimestrale dell'economia regionale, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 489, 2019. La variazione annuale è di fonte Istat sino al 2021, mentre quella del 2022 è calcolata sulla base dell’indicatore ITER. – (2) Stime mensili delle variazioni sul trimestre precedente delle componenti di fondo del PIL. La costruzione dell’indice segue la metodologia presentata in M. Gallo, S. Soncin e A. Venturini, Ven-ICE: un nuovo indicatore delle condizioni dell’economia del Veneto, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 498, 2019. Il lavoro adatta l’approccio usato per la costruzione di Ita-coin in V. Aprigliano e L. Bencivelli, Ita-coin: un nuovo indicatore coincidente per l’economia italiana, Banca d’Italia, Temi di discussione, 935, 2013. La stima dell’indicatore per il primo trimestre del 2023 è provvisoria. – (3) Per il periodo 2017-2021 il PIL è riportato come variazione media trimestrale, per comparabilità con l’indicatore Regio-coin. |
Nel 2022 l’economia piemontese è ancora cresciuta: in base all’indicatore trimestrale dell’economia regionale elaborato dalla Banca d’Italia (ITER; fig. 1.a), l’attività economica sarebbe aumentata del 3,7 per cento (come il PIL dell’Italia); l’incremento, pari a poco più della metà di quello del 2021, ha consentito il pieno recupero dei livelli di prodotto antecedenti la pandemia.
La dinamica positiva è stata frenata dallo shock energetico e dal rialzo dei prezzi, che hanno avuto un impatto negativo sull’attività delle imprese e sulla domanda delle famiglie. Dopo l’estate tali criticità hanno determinato un peggioramento del quadro economico: l’indicatore Regiocoin della Banca d’Italia, che fornisce una stima dell’andamento delle componenti di fondo dell’economia regionale, è sceso da luglio su valori negativi; dopo aver toccato il livello più basso a settembre, è successivamente risalito ed è tornato positivo tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023 (fig. 1.b), grazie soprattutto all’attenuazione delle tensioni sugli approvvigionamenti di energia
Nel complesso del 2022 la congiuntura è stata più favorevole nelle costruzioni e nei servizi rispetto all’industria in senso stretto. In quest’ultima la propensione a investire, pur elevata, si è progressivamente ridotta: le grandi imprese, in particolare, hanno rivisto al ribasso i piani di accumulazione formulati a inizio anno. Un impulso alla spesa per l’acquisto di beni capitali è derivato dalla necessità di investire in nuove tecnologie e in impianti a maggiore sostenibilità energetica.
La redditività complessiva è rimasta positiva per gran parte delle imprese: l’impatto dei più elevati costi di produzione sui margini di profitto è stato in buona parte contenuto dall’aumento dei prezzi di vendita, seppure in misura eterogenea tra settori; l’incremento del costo del lavoro è stato invece modesto. La liquidità delle aziende ha smesso di crescere, pur rimanendo in media su livelli elevati.
I prestiti bancari alle società non finanziarie sono diminuiti: il calo è riconducibile, oltre che a operazioni straordinarie, alla minore domanda di finanziamenti, soprattutto per investimenti, e al peggioramento delle condizioni praticate dagli intermediari. L’andamento del credito è stato più favorevole per le imprese meno rischiose, anche se l’aumento dei tassi è stato simile tra prenditori con diverse probabilità di default. Nonostante lo shock energetico, le aziende sono riuscite a preservare la capacità di rimborso dei debiti.
L’occupazione è ancora cresciuta, ma è rimasta inferiore a quella del 2019. A differenza del 2021, l’aumento dei rapporti di lavoro dipendente è riconducibile prevalentemente a quelli a tempo indeterminato: vi hanno contribuito le trasformazioni di contratti a termine in permanenti. Tale dinamica è proseguita nei primi quattro mesi del 2023. Alla crescita della domanda di lavoro si è associato un aumento della difficoltà di reperimento di lavoratori soprattutto nell’industria e nelle costruzioni e per le qualifiche medio-alte: per le mansioni più difficili da coprire la probabilità che i lavoratori abbiano un contratto stabile risulta più alta e i tempi di rientro nell’occupazione sono più rapidi.
Secondo le stime della Banca d'Italia, le retribuzioni nominali annue dei lavoratori dipendenti nel periodo 2017-2021 sono risultate superiori alla media delle altre regioni italiane, ma inferiori a quelle del resto del Nord. Mentre la differenza positiva nei salari orari rispetto al resto d’Italia è totalmente spiegata dalla diversa composizione della forza lavoro e del tessuto economico locale, il differenziale negativo rispetto al resto del Nord permane anche a parità di caratteristiche dei lavoratori e della struttura produttiva.
I redditi nominali sono ancora cresciuti, ma l’aumento dei prezzi ne ha ridotto il potere d’acquisto. L’inflazione ha colpito di più le famiglie meno abbienti, per il maggior peso delle voci di spesa per abitazioni e utenze e per consumi alimentari: per queste famiglie il tasso di inflazione è passato dal 4,0 per cento di dicembre 2021 al 17,3 di fine 2022 (dal 3,3 al 9,2 per cento per le famiglie più benestanti). L’aumento dei prezzi e la perdita del potere d’acquisto potrebbero avere accresciuto la quota di famiglie che non sono in grado di sostenere l’acquisto dei beni energetici essenziali (“povertà energetica”), già salita in misura rilevante nel 2021.
I prestiti alle famiglie sono ancora aumentati sia nella componente del credito al consumo sia in quella dei mutui; l’incremento è stato inferiore a quello del reddito disponibile nominale, determinando una riduzione del grado di indebitamento. La crescita si è indebolita nell’ultima parte dell’anno: vi ha influito il calo della domanda di finanziamenti per l’acquisto di abitazioni, su cui ha inciso il rapido incremento dei tassi di interesse. L’espansione del credito al consumo è stata trainata dalla componente non finalizzata, che potrebbe essere legata anche a esigenze di finanziamento della spesa corrente. Nel corso del 2022 il differenziale di costo tra i nuovi mutui a tasso fisso e quelli a tasso variabile è tornato positivo, spostando le preferenze delle famiglie verso quelli a tasso variabile (anche se con cap); tuttavia la prevalenza dei mutui a tasso fisso sullo stock complessivo (pari al 63 per cento del totale alla fine dello scorso anno) ha contribuito a mitigare l’esposizione al rischio di tasso.
Uno sguardo sul lungo periodo, il PNRR e la dipendenza dall’estero
Il recupero dell’economia del Piemonte nell’ultimo biennio si inserisce in un contesto di sviluppo di lungo periodo non favorevole: tra il 2000 e il 2019 il PIL regionale è cresciuto dello 0,7 per cento, contro il 9,7 delle altre regioni del Nord. Su tale andamento ha influito la deludente performance di Torino (-0,6 per cento), soprattutto rispetto a quella delle altre città metropolitane del settentrione (17,3 per cento; fig. 2.a). Tale divario non è riconducibile alla composizione settoriale dell’economia torinese e neppure all’intensità di accumulazione di capitale (che è rimasta un punto di forza di Torino, anche se in ridimensionamento), ma soprattutto alla più bassa produttività totale dei fattori (fig. 2.c)[1], un indicatore dell’efficienza con cui vengono combinati gli input produttivi e che dipende, tra l’altro, dalla governance delle imprese, dalla capacità innovativa e dalla qualità del capitale umano.
Figura 2 - PIL e produttività tra il 2000 e il 2019: Torino nel confronto con le altre città metropolitane del Nord (valori e variazioni percentuali) |
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(a) contributi alla dinamica del PIL 2000-2019 (1) |
(b) scomposizione del |
(c) scomposizione della |
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Fonte: elaborazioni su dati Istat e OCSE, Regions and Cities. Per il PIL dati a prezzi costanti. (1) Contributi alla crescita del PIL per città metropolitane e resto dell’area. Le città metropolitane sono Torino per il Piemonte e Milano, Genova, Venezia e Bologna per il resto del Nord. – (2) Differenze percentuali di Torino rispetto al cluster delle altre città metropolitane del Nord. I dati sugli occupati a livello provinciale sono disponibili a partire dal 2004. – (3) Rapporto tra la popolazione tra i 15 e i 64 anni e la popolazione totale. – (4) Rapporto tra il PIL e il numero di occupati. – (5) Rapporto tra il numero di occupati e la popolazione tra i 15 e i 64 anni. – (6) Rapporto tra il PIL e la popolazione totale. – (7) Rapporto tra lo stock di capitale e il numero di occupati. |
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Il rapporto contiene anche un aggiornamento delle risorse messe a disposizione degli Enti locali nell’ambito del PNRR. A maggio 2023 risultavano assegnati a soggetti attuatori pubblici 7,8 miliardi per interventi da realizzare in Piemonte, il 6,9 per cento del totale nazionale. Nel biennio 2021-22 le Amministrazioni locali piemontesi hanno avviato gare o stipulato contratti relativi al PNRR per circa il 30 per cento degli importi che dovranno bandire. In base a nostre stime, nel periodo 2023-26 la spesa annua per investimenti dei Comuni aumenterebbe in misura ingente e ciò implica la necessità di un miglioramento significativo della loro capacità realizzativa. Gli investimenti collegati al PNRR contribuirebbero in misura rilevante al valore aggiunto e all’occupazione nelle costruzioni: in base ai dati aggiornati alla fine di gennaio, riferiti ai progetti per i quali è possibile procedere a una ripartizione territoriale delle risorse ed escludendo i fondi destinati a interventi già in essere, al settore edile in Piemonte sono stati infatti assegnati circa 2,6 miliardi di euro; tali risorse indurrebbero una crescita aggiuntiva rispetto al 2019 del 4,8 per cento per il valore aggiunto e del 4,5 per cento per gli occupati.
Nel rapporto è anche contenuto un approfondimento sui rischi derivanti da un’alta dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime e beni intermedi. Tale dipendenza espone infatti il settore produttivo alla possibilità di interruzioni nelle forniture e di ampi rialzi dei prezzi. Adottando una metodologia elaborata dalla Commissione europea, si possono identificare gli input produttivi che, per la notevole concentrazione dell’offerta o per la limitata sostituibilità, danno luogo a un’elevata dipendenza dall’estero. Combinando la quota di import di beni vulnerabili per settore di importazione diretta a livello nazionale con il peso di ciascun settore sul valore aggiunto prodotto in regione, si ottiene un indicatore dell’esposizione media dell’economia regionale, che per il Piemonte risulta lievemente inferiore alla media italiana e tra i più bassi tra le regioni del Centro Nord. Si può simulare inoltre l’impatto sul valore aggiunto manifatturiero di una riduzione delle importazioni di questi input da paesi ad alto rischio geopolitico, secondo una logica di “stress test”. Per la manifattura piemontese si stima che una riduzione compresa tra il 25 e il 50 per cento delle importazioni dei beni vulnerabili provenienti dai paesi ad alto rischio geopolitico comporterebbe un calo del valore aggiunto fino a un valore massimo di quasi il 10 per cento. L’impatto sarebbe particolarmente intenso per alcuni settori, tra i quali quello dell’abbigliamento, della raffinazione di prodotti petroliferi, dell’elettronica, della farmaceutica, del tessile e della chimica.
Per approfondimenti:
Banca d’Italia, L’economia del Piemonte. Rapporto annuale, giugno 2023, il documento è consultabile all’indirizzo:
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/economie-regionali/2023/2023-0001/index.html
Parole chiave: economia, Piemonte
[1] La dinamica della produttività totale dei fattori si ottiene scomponendo l’andamento del PIL pro capite nelle componenti demografica, occupazionale e di produttività del lavoro (fig. 2.b) e successivamente scomponendo quest’ultima in una componente che misura l’intensità di capitale dell’economia e in una legata, appunto, alla produttività totale dei fattori. Per maggiori dettagli, si rimanda alla pubblicazione in oggetto.
[1] Le opinioni espresse in questo articolo non impegnano la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.