Le pratiche di contrasto alla grave emarginazione abitativa: il modello “a gradini” (staircase approach)

    di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. (Servizio Adulti in Difficoltà - Comune di Torino)

    Introduzione

    Il percorso per la redazione delle Linee di Indirizzo per il contrasto della Grave Emarginazione in Italia, di recente pubblicazione, ha coinvolto direttamente la realtà locale di Torino che, insieme ad altre città metropolitane, è stata chiamata a contribuire alla riflessione circa le buoni prassi sviluppate sul proprio territorio. Nell'ambito del gruppo di lavoro nazionale, promosso dal Ministero Lavoro Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, la Città ha scelto di presentare un contributo critico sul cosiddetto modello "a gradini" frutto di un percorso di confronto e scrittura collettiva realizzato nell'ambito del Comitato di Coordinamento Tecnico del Piemonte (CCT), composto dagli aderenti locali della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (Fio,PSD).

    Il CCT Piemonte, da alcuni anni, è sede privilegiata scelta dai diversi attori del sistema (composto da cooperative sociali, associazioni, agenzie del terzo settore ed ente pubblico) in cui si cerca, pur con difficoltà, di "alzare lo sguardo" dai problemi contingenti della gestione quotidiana dei servizi in favore delle persone senza dimora per interrogarsi sulle politiche complessive di contrasto alla grave emarginazione adulta; in questo sforzo di analisi permanente il CCT si è avvalso di apporti esterni, in primo luogo quello offerto dall'Università degli Studi e dal Politecnico di Torino e si è aperto anche ad altre agenzie del terzo settore sul territorio regionale non aderenti alla Federazione.

    Il contributo scritto del CCT Piemonte - riportato nei paragrafi successivi - è stato consegnato alla cabina di regia delle Linee Guida nazionali poco più di un anno fa; una sintesi dello stesso è diventato parte integrante del testo definitivo. In questo ultimo anno, come testimonia anche l'adesione al Network Housing First Italia di dieci realtà torinesi, il confronto e la riflessione si sono intensificati esitando nella nascita di due sperimentazioni di Housing First - i progetti Abi.TO. e Res.TO – progetti che sono diventati effettivamente operativi sul territorio cittadino.

     

    Le origini e lo sviluppo dell'approccio a gradini

    Lo "staircase approach" nasce in relazione ai processi di deistituzionalizzazione psichiatrica avviati a partire dalla fine degli anni '50 e gli inizi degli anni '60 negli USA: il modello a gradini viene sviluppato per il reinserimento dei pazienti psichiatrici in percorsi di uscita accompagnata dall'ospedale verso forme di abitazione differenziate e sempre più simili all'abitare ordinario, fino al raggiungimento dell'indipendenza. Anche in Italia, la nascita dell'approccio a gradini può essere ricondotta al processo di deistituzionalizzazione psichiatrica avviato a seguito dell'esperienza basagliana e della promulgazione della Legge 180/1978.

    La tendenza, più o meno pervasiva nel mondo occidentale, a chiudere o a rendere residuale l'esperienza manicomiale determina da un lato l'affrancamento da un approccio di tipo sanitario al fenomeno della grave emarginazione e al contempo la diffusione di modelli di intervento di contrasto e controllo dell'homelessness basati sull'esigenza prioritaria di offrire a chi non ha un tetto un luogo protetto in cui "ricoverarsi" (ritorna il paradigma sanitario e istituzionalizzante): è il modello basato sul servizio/ istituzione del dormitorio (il rifugio, ovvero "shelter"). A partire dal dormitorio, si articolano tutta una serie di servizi abitativi, a costituire lo staircase approach al fenomeno.

    Nello specifico italiano tale tendenza si sviluppa secondo l'articolazione del welfare nazionale che prevede una separazione istituzionale e organizzativa tra servizi sanitari in capo allo Stato e alle Regioni e il comparto socioassistenziale a cura dell'ente locale.

    Rispetto alla questione del contrasto all'homelessness lo staircase approach si diffonde in Italia con la tipica conformazione "a macchia di leopardo" sul territorio nazionale, a seconda della cultura locale, dell'articolazione e sviluppo dei servizi, della presenza di istituzioni caritative religiose di volontariato.

     

    Le difficoltà di definizione del modello

    Nonostante costituisca una delle pratiche maggiormente consolidate, applicate e diffuse a livello internazionale nelle politiche di intervento rivolte all'homelessness, risulta particolarmente difficile, nella letteratura specialistica e nella documentazione di settore, individuare una definizione specifica, univoca, dedicata ed approfondita dell'approccio a gradini; la denominazione stessa dell'approccio, fondata sulla metafora della scala, rimanda immediatamente ad un percorso connotato da fatica, lentezza, esito incerto, incentrando inoltre l'attenzione sugli aspetti strutturali (i gradini) e omettendo qualsiasi riferimento ai possibili elementi legati al soggetto o al suo agire.

    Il modello a gradini assume diversi significati a seconda all'enfasi che nella sua applicazione viene dedicata al focus dell'intervento: più incentrato sul "luogo" dell'intervento ("place centred approach") o, al contrario, maggiormente focalizzato sul "percorso di sostegno" rivolto alla persona coinvolta nel percorso ("person centred approach"). Nel primo caso sono i luoghi, gli spazi di ricovero e di cura, con i propri confini fisici e normativi, a condizionare le modalità di intervento e di trattamento a favore del soggetto: è l'individuo che deve essere adeguato ai criteri predefiniti del servizio residenziale in cui dovrebbe essere ospitato e l'intervento è volto a far sì che il soggetto sia pronto per quel tipo di requisiti richiesti. Nel secondo caso al centro dell'attenzione vi sono la persona con i suoi bisogni nonché il percorso di sostegno e di accompagnamento che viene attivato dal sistema di supporto, sistema articolato in fasi e livelli diversificati ed integrati.

    Nelle esperienze più sviluppate a livello nazionale (quali ad esempio nella Città di Torino) l'impianto di servizi a gradini è stato sviluppato ispirandosi a questa seconda accezione di approccio, riassumibile nella seguente definizione:

    Lo "staircase approach" o "modello a gradini" o ancora "housing ready model", [modello "pronto alla casa"] è un modello che prevede che le persone senza dimora vengano accompagnate verso il recupero della loro autonomia attraverso il passaggio progressivo e guidato da un operatore professionale a carattere educativo per un sistema di servizi che vanno gradualmente dalla prima accoglienza al reinserimento in un alloggio ed un lavoro propri, mano a mano che la persona è ritenuta nuovamente "pronta" a sostenere le relative situazioni esistenziali (P. Pezzana).

    In questa accezione il paradigma che sottostà all'approccio a gradini è quello proprio dell'intervento educativo nel contesto sociale, non sostitutivo e capacitante: l'accompagnamento ed il sostegno di una persona in condizioni di disagio sociale da uno stato di marginalità assoluta ad una progressiva ri-acquisizione o assunzione di abilità sociali e capacità. Il percorso di sostegno si articola anche in diverse tipologie di strutture, dove al crescere dell'autonomia diminuisce tendenzialmente la presenza dell'intervento professionale di sostegno. E' una visione generativa ed evolutiva del lavoro sociale, impostata sulla presunzione che l'adulto in condizione di marginalità estrema possa – se opportunamente sostenuto – raggiungere obiettivi di autonomia e di benessere.

     

    Un sistema lineare. I diversi livelli dell'approccio.

    Perché si possa parlare di approccio a gradini occorre che un impianto di servizi rivolto alle persone homeless preveda effettivamente diversi ed articolati livelli: non solo quindi il livello della prima risposta emergenziale (il classico dormitorio o casa di ospitalità notturna) ma una rete di che contempli diverse opportunità, diversi diritti e obblighi da parte del beneficiario dell'intervento.

    Se il sistema dei servizi non è sviluppato su diversi livelli di opportunità, non si può parlare di approccio a gradini ma semplicemente di approccio emergenziale.

    I diversi livelli costituenti un sistema a gradini, o per fasi, con linearità dell'intervento, possono essere così sintetizzati:

    o Interventi di prevenzione dell'homelessness. Costituiscono la base dell'impianto dei servizi sul quale si regge lo staircase approach: il riferimento è qui ai sostegni all'abitare, quali sostegno all'affitto, interventi di sostegno del reddito a favore delle persone e dei nuclei in condizione di fragilità economica, sociale e, spesso, sanitaria, nonché interventi di assistenza domiciliare;

    o Servizi educativi di strada e di prossimità (Outreach services) diurni e notturni, volti al contatto con le persone che vivono in strada, all'intervento di orientamento e di invio ai servizi, alla tutela;

    o Servizi di prima accoglienza diurna ad accesso immediato o con criteri di accesso molto limitati, volti a garantire l'accessibilità quanto più ampia possibile a forme di risposta ai bisogni primari (bagni pubblici, mense ...) ed ai servizi di tutela socio-sanitaria (es. ambulatorio socio-sanitario) ma anche contemporaneamente siano occasione di "aggancio" e di connessione con la rete dei servizi istituzionali e del terzo settore;

    o Servizi di accoglienza notturna di bassa soglia, con tempi di ospitalità limitati (Case di ospitalità notturna, dormitori, ostelli), strutturati quanto più possibile non solo per rispondere ai bisogni primari quanto anche per offrire spazi di accoglienza e di ascolto, di avvio e di accompagnamento verso percorsi di inclusione sociale e di recupero dei diritti di cittadinanza;

    o Servizi residenziali di secondo livello (Residenze), strutture intermedie collettive con presenza costante di personale professionale (educatori, operatori sociali, ma anche medici e psicologi) per periodi prolungati di ospitalità che possono permettere la predisposizione di un percorso progettuale personalizzato;

    o Alloggi di autonomia, di piccole dimensioni, in coabitazione con un numero molto limitato di ospiti, con una presenza saltuaria di personale educativo, per periodi medio lunghi;

    o Alloggi indipendenti (in ambito di edilizia residenziale pubblica, social housing, alloggi gestiti da realtà del terzo settore, ma anche alloggi di mercato privato), con la presenza di eventuali supporti sia a sostegno del reddito sia a sostegno della vita indipendente.

    Il sistema deve fondarsi su una rete di opportunità assicurate sia dall'ente pubblico sia promosse da enti del volontariato e del terzo settore, tra loro strettamente integrate e coordinate. La stretta interconnessione tra le risorse del sistema permette l'articolazione di una rete sufficientemente diffusa e flessibile, in particolare per quanto riguarda le soglie di accesso ed i tempi di permanenza.

     

    Il modello staircase: punti di forza e limiti

    L'approccio a gradini costituisce il modello per fronteggiare la grave emarginazione abitativa maggiormente diffuso nel mondo occidentale, incardinato storicamente nell'ambito delle politiche sociali nelle diverse declinazioni nazionali.

    Il modello pertanto ha punti di forza e limiti riconducibili allo scenario più ampio i cui aspetti critici sono tanto più evidenti nell'attuale drammatico momento di crisi.

    In una logica di analisi del modello in estrema sintesi ci sembra importante accennare sia ad alcuni aspetti positivi sia agli elementi involutivi e di rischio che la concreta implementazione del modello ha determinato.

    Per quanto attiene alla dimensione dei diritti di cittadinanza

    Punti di forza: il modello cerca di affrancare il fronteggiamento del fenomeno della grave marginalità da una visione caritativa paternalistica ottocentesca, ancorandolo ai diritti di cittadinanza in una logica universalistica. Il modello staircase è rivolto a tutte le tipologie di persone che si trovano nella condizione di senza dimora, siano essi soggetti con lunghe storie di emarginazione, devianza e dipendenza, sia persone che sono state costrette nella condizione di senza dimora a seguito di eventi di vita drammatici e/o in relazione a crisi economica ed occupazionale. Attraverso la sottoscrizione di un vero proprio contratto il più possibile personalizzato in base ai bisogni della persona, le parti, con pari dignità, si impegnano a concordare obiettivi e strumenti riproponendo su un piano micro il patto sociale che a livello macro fonda lo stato sociale.

    In quanto approccio lineare, da un punto di vista teorico il modello ha in questi anni fatto proprie le principali tematiche sviluppate nell'ambito delle scienze sociali rispetto alla grave emarginazione adulta: prevenzione e riduzione del danno, contrasto alle barriere e soglie di accesso ai servizi per le persone in stato di marginalità, intervento di rete sul territorio e di sviluppo di comunità.

    La promozione di tutti gli attori sociali (cittadinanza attiva) è alla base dei concetti chiave dell'azione; le persone senza dimora, non sono né vittime da curare né colpevoli da biasimare, ma sono attori sociali del fenomeno in grado di attivare proprie competenze sociali ed esperienziali. Questa logica di responsabilizzazione e attivazione permea il modello a diversi livelli: individuale, della rete di aiuto, della comunità locale.

    Limiti: Il modello staircase approach sembra " funzionare" se è strettamente ancorato ad un percorso di (ri)acquisizione dei diritti di cittadinanza: si tratta di garantire alla persona che ha perso (o non ha) una propria dimora la possibilità ad accedere all'insieme di servizi, beni e prestazioni a cui accede tutta la cittadinanza in termini di social welfare. Quando non esistono le condizioni perché ciò avvenga (ad esempio per la disomogenea applicazione della legge sulla residenza fittizia per modi e tempi di attuazione sul territorio nazionale) l'accesso ai "gradini", inizio di un percorso finalizzato all'inclusione sociale, diventa sempre più difficile per la persona senza dimora che resta bloccata in tale condizione.

    Fenomeni quali i flussi migratori, la crisi economico finanziaria e il conseguente restringimento delle prestazioni di welfare hanno di fatto acuito il problema già evidenziato dalle diversificate modalità di attuazione delle politiche su base locale e settoriale: la perdita, o il rischio di perdita, del bene primario casa coinvolge nuove fasce di popolazione (povertà grigie), i requisiti per l'accesso alle prestazioni vengono innalzati (ad esempio quelli per poter accedere ai bandi di Edilizia Residenziale Pubblica), i contributi economici per gli indigenti vengono ridotti e/o non erogati su base universalistica portando ad un rischio di collasso del modello a gradini: la base dell'imbuto (funnel approach) si allarga e cresce il numero di utenti nei dormitori e nei servizi di bassa soglia ma aumentano anche le persone che stanno in strada; ampie categorie di persone senza dimora non hanno i titoli di accesso per poter "entrare" nei percorsi abitativi finalizzati all'inclusione sociale e i pochi che vi entrano vedono allungarsi i tempi di permanenza o dell'iter di accesso non per proprie caratteristiche o difficoltà personali quanto per limiti e vincoli burocratici posti da requisiti sempre più selettivi determinando uno spostamento del sistema dei servizi verso un orientamento place centered.

    Accenni alla dimensione metodologica

    Punti di forza: la relazione che s'instaura è, dapprima, "a legame debole" poiché attivata in setting informali, in contatti occasionali, discontinui, a volte imposta da regole istituzionali, quindi non richiesta ma subìta, finalizzata a obiettivi assistenziali per fronteggiare l'emergenza. Pur in una costitutiva asimmetria di potere nel rapporto fra operatore e persona senza dimora la relazione è di vicinanza e non giudicante, non formale, ma flessibile perché basata su obiettivi comuni e non impone un cambiamento. La relazione così strutturata costituisce la base per percorsi di sostegno e accompagnamento. I concetti di "lavoro di comunità" e "empowerment" sono costitutivamente parte del bagaglio metodologico caratteristico del lavoro sociale che pone al centro la persona che chiede un sostegno, ma amplia tale visione coinvolgendo fattori individuali e sociali in un approccio complesso. Tale complessità si risolve scomponendo in livelli e tipologie dei rischi che si vogliono evitare e dei danni di natura sanitaria, sociale ed economica da limitare, seguendo una metodologia attenta a dignità, rispetto dei tempi personali, scelte di vita e differenze culturali, inclusione sociale e tutela della salute.

    Limiti:

    - Artificialità: le abilità imparate in contesti aggregati e strutturati (servizi collettivi) spesso non sono trasferibili a situazioni di vita indipendente.

    - Lo slittamento da un approccio person centered ad uno place centered, che riduce il potere di autodeterminazione della persona, rischiano di favorire una logica premiale di comportamenti adattivi, non di sostegno a reali autonomie. Il passaggio attraverso i diversi livelli di autonomia abitativa e di privacy diventa ricompensa, premio per aver aderito a percorsi predisposti dall'istituzione con la possibile involuzione della persona in difficoltà (cronicizzazione di comportamenti strumentali e/o perdita di autonomie e abilità a causa dei tempi lunghi e dello sviluppo solo di abilità in un ambiente protetto). Anche il tentativo di differenziare le risposte sia di tipo abitativo sia di tipo lavorativo sviluppate in questi anni (Casa di Prima Accoglienza, struttura intermedia semiresidenziale, struttura residenziale, alloggi di autonomia, alloggio autonomo) e le diverse situazioni lavorative/socializzanti (tirocinio socializzante, tirocinio lavorativo, voucher lavoro, cantieri lavoro, ecc) rischiano di diventare l'obiettivo degli interventi e non strumenti e risorse utili al raggiungimento dell'inclusione sociale.

    - L'approccio staircase così come si è sviluppato sconta la separazione organizzativa e strutturale dei comparti sociale e sanitario con scarse esperienze di strutture e servizi ad alta integrazione sociosanitaria di bassa soglia rispetto al fenomeno dell'homelssness. Pertanto, in una logica organizzativa anche difensiva, l'accesso ai diversi gradini sviluppati in ambito socioassistenziale viene condizionato alla disponibilità della persona a curarsi ad accettare percorsi di avvicinamento ai servizi sanitari (treatment first) in assenza di un approccio di sostegno integrato alla persona nella sua globalità.

    - Oltre che premiale il modello diventa individualistico: il superamento di ogni step è legato al raggiungimento di obiettivi individualizzati, molto spesso predeterminati dagli operatori che hanno come obiettivo finale l'ottenimento di casa e reddito col rischio di trascurare la vita di relazione come necessità primaria dell'individuo. La lotta all'emarginazione, ridotta a fenomeno esistenziale del singolo che si ricostruisce in un rapporto individuale con le istituzioni, rischia di essere decontestualizzato dal territorio e dalle reti socio-affettive, come è avvenuto a un rilevante numero di cittadini che, superati con fatica i gradini dell'iter assistenziale, fuoriescono dall'imbuto del percorso sociale conseguendo casa e reddito ma non avendo relazioni significative ma prospettive di solitudine e di ricadere inesorabilmente nei circuiti di bassa soglia.

    - Il rapporto con la comunità, a causa delle difficoltà organizzative e strutturali del sistema è spesso residuale nello staircase approach o per lo meno successivo, e quindi vissuto come meno importante, rispetto alla risposta ai bisogni primari impellenti.

    Accenni all' organizzazione dei servizi (efficacia/efficienza)

    Punti di forza: almeno per quanto riguarda i livelli di base (servizi di prossimità e di strada diurni e notturni, case di ospitalità notturna, servizi diurni per rispondere ai bisogni essenziali) l'approccio permette di garantire un buon livello di accessibilità e raggiungere un numero di persone molto elevato, consentendo un "aggancio" anche di cittadini privi di residenza e/o di diritti di soggiorno (con possibile accompagnamento verso i luoghi di provenienza e di residenza).

    La rete dei primi livelli permette di predisporre un sistema con soglie di accesso diversificate (case di ospitalità di emergenza, per donne, per coppie, per persone con animali da compagnia) e con soglie diverse per accesso e durata della permanenza (presenza o meno del titolo di soggiorno). Le barriere all'accesso di tipo culturale (per assenza di privacy, per timore di subire violenze e furti, per la necessaria condivisione con persone in difficoltà estranee e potenzialmente ostili) sono spesso al centro di particolare attenzione da parte degli enti, che tendono a migliorare la qualità del livello di accoglienza garantita (stanze di piccole dimensioni e ben arredate, servizi aggiuntivi, coinvolgimento degli ospiti rispetto alla gestione e ai processi decisionali ecc.).

    Limiti: in definitiva tanti entrano, pochissimi escono con rischi evidenti di revolving door / gioco dell'oca (sbagli e torni alla partenza).

    I costi generali sono più alti di quelli di collocazione autonoma delle persone con appoggio di operatori a domicilio.

    L'uso di accoglienze di emergenza e temporanea dovrebbe essere ridotto al minimo e per il tempo necessario: di fatto si registrano quote crescenti di persone che per anni utilizzano i servizi di bassa soglia senza alcuna effettiva prospettiva di uscita da un circuito assistenziale, quasi un'istituzione totale "a cielo aperto" capace di contenere e controllare con sempre più evidenti difficoltà il fenomeno.

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