a cura di di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. (Università del Piemonte Orientale)
La comprensione della situazione occupazionale di chi esce dai centri di accoglienza è di evidente importanza non solo per le persone stesse, ma per l’economia e la società piemontesi: benché in un nuovo contesto politico, molti degli ospiti dei centri resteranno in Italia e sul mercato del lavoro italiano.
Grazie alla disponibilità di alcuni enti gestori, in Piemonte sono stati raccolti dati che risultano particolarmente preziosi, perché attualmente non esistono in Italia informazioni sistematiche sui percorsi e sulle condizioni - abitative e lavorative in particolare - delle persone che escono dal sistema di accoglienza: nonostante la frammentarietà dei nostri dati, il quadro mostra con chiarezza che molte persone si trovano in una situazione di grande precarietà.
I risultati della nostra indagine si collocano nel quadro di quanto emerge da varie ricerche internazionali, svolte in diversi contesti nazionali ed epoche storiche (Bloch 2002; Bevelander 2016) , e che hanno rilevato l’esistenza di un refugee gap, ossia uno svantaggio occupazionale non solo rispetto ai nativi dei paesi di accoglienza ma anche rispetto agli altri immigrati.
Come spiegare questa situazione? Abbiamo esaminato alcune ipotesi rispetto alle cause delle difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro concentrando l’attenzione su una spiegazione in particolare: la specificità delle reti sociali delle persone che arrivano attraverso la richiesta di asilo. Sosteniamo infatti che i richiedenti asilo arrivati in Piemonte negli ultimi anni hanno reti sociali più deboli rispetto alla maggior parte dei migranti arrivati nella nostra regione nei decenni precedenti e questo rende molto più difficile uno stabile inserimento lavorativo.
Abbiamo anche ipotizzato che alcuni aspetti dei sistemi di accoglienza dei richiedenti asilo – in Italia come in altri Paesi - possano avere effetti negativi sulla ricerca del lavoro: i richiedenti asilo, infatti, ricevono più appoggio dallo stato rispetto ad altri migranti ma sono soggetti a un controllo maggiore ed è possibile che ciò incida sull’integrazione nel mercato di lavoro.
Analisi dei risultati
Abbiamo esaminato la situazione di 381 persone uscite da Cas o Sprar tra la fine del 2015 e tutto il 2017, prevalentemente adulti soli, giovani, maschi provenienti dall’Africa occidentale, ma anche dal Corno d’Africa, dal Bangladesh e dal Pakistan. Sono state raccolte informazioni sull’esperienza lavorativa precedente l’arrivo in Italia, il livello di istruzione, i corsi di formazione professionale e i tirocini seguiti nonché la situazione lavorativa e abitativa al momento dell’uscita. Secondo le informazioni in possesso degli operatori di Cas o Sprar, solo 30 persone avevano un contratto di lavoro (mentre un altro 50% lavorava con una "borsa di lavoro" cominciata durante l’accoglienza). Anche se si aggiungono le persone che probabilmente hanno un lavoro in nero, è chiaro che il livello di “integrazione nel mercato del lavoro” è estremamente modesto. Va sottolineato che i gestori che hanno fornito le informazioni rappresentano punti di eccellenza in Piemonte e in Italia e hanno dedicato progettualità e sforzi considerevoli per aiutare l’inserimento lavorativo: perciò è possibile che la situazione in Piemonte e in Italia in generale sia peggiore di quanto emerge dai nostri dati.
Anche la situazione abitativa di molte delle persone uscite dai centri di accoglienza i è assai poco soddisfacente. Pochissimi hanno un contratto di affitto individuale o con altri; 18 persone, secondo gli operatori che ne erano informati-, dormivano nei dormitori o “situazioni informali”, come fabbriche abbandonate. Alcuni forse hanno scelto di non pagare un affitto per risparmiare o per muoversi sul territorio con i lavori stagionali (per esempio in agricoltura). Tuttavia la precarietà abitativa è ugualmente evidente quanto la precarietà lavorativa e le due sono chiaramente legate tra loro.
Va notato inoltre che la situazione lavorativa e abitativa non sembra dipendere dall'aver ricevuto una forma di protezione e nemmeno da caratteristiche individuali, come il livello di istruzione, né sembra attribuibile solo alla situazione del mercato del lavoro piemontese o italiano: infatti i dati internazionali sull’inserimento lavorativo dei migranti arrivati attraverso il canale umanitario dimostrano che le difficoltà sono frequenti anche in mercati del lavoro floridi.
Le difficoltà occupazionali dei rifugiati e richiedenti asilo riscontrate sono infatti simili a quelle descritte in articoli delle riviste accademiche e in alcuni documenti di organismi internazionali che si occupano di politiche economiche e sociali (OECD 2016; European Commission 2017) Le persone arrivate attraverso il canale umanitario mostrano un significativo svantaggio, tanto da poter parlare di un risultato abbastanza uniforme. In Europa l’Indagine sulle Forze Lavoro (Labour Force Survey) e in particolare i Moduli Ad hoc dell’Indagine del 2008 e del 2014, forniscono dati in cui si riesce a distinguere tra migranti arrivati attraverso canali diversi Tra le persone arrivate con richiesta di asilo, il tasso di occupazione è molto più basso rispetto alle persone arrivate per lavoro; solo il tasso di occupazione delle persone arrivate attraverso il ricongiungimento familiare è simile. Con il tempo, il tasso di occupazione dei rifugiati (e dei ricongiunti familiari) aumenta, ma lo svantaggio rimane significativo anche dopo cinque o dieci anni.
Tale svantaggio non dipende in primo luogo dalle caratteristiche individuali dei migranti, né dei paesi di origine e di arrivo (vedasi ad es. Fasani, Frattini e Minale 2018; Bevelander 2016). Infatti le varie ricerche rilevano uno svantaggio anche per l’istruzione, l’età e il genere, la nazionalità dei migranti, il paese di accoglienza e la situazione del mercato del lavoro al momento dell’arrivo. Perciò sembra necessario cercare spiegazioni specifiche dei rifugiati e richiedenti asilo.
Sono state fatte diverse ipotesi interpretative. Alcune si focalizzano sull’esperienza traumatica subita nel paese di partenza, altre sugli effetti dello stesso sistema di accoglienza, come il fatto che in alcuni paesi i richiedenti asilo non possano lavorare subito, altre ancora sul fatto che i rifugiati difficilmente avranno preparato la partenza, come fanno molti altri migranti, imparando la lingua del paese di accoglienza già prima di partire. Tuttavia il confronto tra i vari casi internazionali in cui è stato rilevato un refugee gap mostra che tale svantaggio nel mercato del lavoro esiste anche in casi in cui non sembrano in gioco i fattori menzionati. Senza trascurare l’importanza di questi, crediamo che la causa principale del refugee gap (in Italia come in altri paesi) stia nella debolezza delle reti sociali di gran parte dei richiedenti asilo (Perino, Eve 2017).
La maggior parte dei migranti che arrivano in occidente per lavoro, giungono attraverso una “catena migratoria” e scelgono un luogo di immigrazione in base alla presenza di parenti o amici già presenti da diversi anni e inseriti nel mercato del lavoro locale. In molti casi queste persone possono presentare il nuovo arrivato a un datore di lavoro, e fornire informazioni rispetto ai più fruttuosi canali di ricerca. La maggior parte dei richiedenti asilo invece non ha una rete di questo tipo. Le persone che fuggono da una guerra raramente possono scegliere il luogo di arrivo: non tutti i richiedenti asilo provengono da zone di guerra, ma dal punto di vista delle reti sociali la differenza rispetto alla maggior parte dei migranti arrivati per lavoro è piuttosto chiara. In questo contesto è significativo che molti migranti arrivati in Italia negli ultimi anni attraverso la richiesta d’asilo dichiarino che non volevano venire “in Italia”, ma piuttosto “in Europa” o “via dalla Libia”.
La presenza o la mancanza di una rete di parenti, amici e conoscenti già inseriti nel mercato del lavoro è importante non solo per l’iniziale inserimento lavorativo, ma anche per la capacità rispondere efficientemente alle esigenze del datore di lavoro. Poiché molti immigrati nei primi tempi hanno una conoscenza limitata della lingua del paese di arrivo, la presenza di un altro lavoratore immigrato che spiega il processo di lavoro e insegna i “trucchi del mestiere” nella propria lingua può essere cruciale per svolgere le mansioni in modo efficiente e quindi conservare il posto di lavoro.
Non vogliamo certamente proporre una spiegazione mono-causale delle difficoltà di inserimento lavorativo. Anche alcuni aspetti del sistema di accoglienza probabilmente limitano l’accesso effettivo al lavoro in Piemonte come in altri contesti regionali e nazionali. In particolare, il fatto di dover rimanere nel centro di accoglienza, firmando la presenza giornalmente, può impedire ad alcune persone di trovare lavoro in altre parti dell’Italia. Va ricordato inoltre che molti Cas e comuni aderenti allo Sprar sono ubicati in luoghi non facilmente raggiungibili e dove i possibili posti di lavoro sono pochi poiché la logica della “dispersione territoriale” non tiene conto dei mercati del lavoro locali.
Conclusioni
Ciò che sappiamo dell’inserimento lavorativo e abitativo delle persone che escono dai centri di accoglienza in Piemonte dimostra che chi è arrivato negli ultimi anni ha un inserimento lavorativo più difficile della maggior parte dei migranti arrivati nei decenni precedenti, fatto che non sembra attribuibile unicamente alla “crisi”. Una causa importante delle difficoltà sembra essere la debolezza delle reti sociali dei richiedenti asilo e la mancanza di parenti o amici già ben inseriti nel locale mercato del lavoro. Ma anche alcuni aspetti dei sistemi di accoglienza, come i limiti alla mobilità sul territorio, probabilmente rendono più difficile l’inserimento lavorativo. Questo ha implicazioni per l’organizzazione di sistemi di accoglienza, ma i risultati di ricerca offrono spunti di riflessione anche più in generale sulle dinamiche dell’inserimento stabile dei migranti nel mercato del lavoro. Inoltre prevedono la probabile presenza in Piemonte in anni futuri di persone in situazioni di grande precarietà lavorativa, che non trovano soluzioni abitative adatte alla loro situazione.
Bibliografia
- P. Bevelander (2016) Integrating refugees into labor markets, IZA World of Labor 269, doi.10.15185/izawol.269.
- A. Bloch (2002) The Migration and Settlement of Refugees in Britain, Palgrave, Basingstoke.
- European Commission (2017) Labour market performance of refugees in the EU (a cura di J. Peschner) Working Paper 1/2017, Luxembourg.
- F. Fasani, T. Frattini, L. Minale (2018) (The Struggle for) Refugee Integration into the Labour Market: Evidence from Europe, IZA Institute for Labor Economics, Discussion Paper 11333, www.iza.org.
- OECD (2016) Making Integration Work. Refugees and others in need of protection, OECD Publishing, Paris.- M. Perino, M. Eve (2017) Torn nets. How to explain the gap of refugees and humanitarian migrants in the access to the Italian labour market, www.fieri.it/2017/09/21/torn-nets-how-to-explain-the-gap-of-refugees-and-humanitarian-migrants-in-the-access-to-the-italian-labour-market/
Parole chiave: occupazione dei rifugiati e richiedenti asilo, refugee gap, reti sociali.