Industria 4.0: nuove competenze e capitale umano per il Piemonte

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    L’impatto del cambiamento tecnologico sul capitale umano è storicamente molto intenso e può essere gestito con una politica della formazione che consenta un adattamento delle competenze al cambiamento in corso, sia dal lato delle mansioni operative, che da quello delle mansioni manageriali. 

    Introduzione

    Poiché lo scenario tecnologico del prossimo decennio è caratterizzato dalle innovazioni di “Industria 4.0”, e cioè dalla completa digitalizzazione dell’economia e della società, è utile esaminare la possibile evoluzione che la formazione dovrebbe seguire per adattare il capitale umano al cambiamento in atto, con il fine di godere dei vantaggi offerti dalla nuova organizzazione produttiva e minimizzandone invece i costi sociali. Infatti, il mondo del lavoro sarà influenzato pesantemente dall’uso delle nuove tecnologie, sia in termini quantitativi, con pesanti effetti di riduzione del fattore lavoro (Ambrosetti, 2017), sia in termini qualitativi, con l’esigenza di reperire nuove figure professionali oggi mancanti e utili per la crescita di nuove attività manifatturiere e dei servizi (WEF, 2017a).

    Questa necessità è quanto mai impellente per il sistema economico piemontese, che sta subendo anche un profondo processo di ristrutturazione causato dalla diffusione della mobilità elettrica, cambiamento tecnologico che rientra anch’esso nel paradigma di “Industria 4.0”.

    Per tale motivo il presente contributo analizza le principali caratteristiche del paradigma tecnologico di “Industria 4.0”, soffermandosi sui legami con le tecnologie della mobilità elettrica, e quindi sulle competenze che, con la piena diffusione di questo paradigma, verranno richieste nell’economia e nella società piemontesi.

     

    L’impatto di “Industria 4.0” sul mercato del lavoro

    “Industria 4.0” può essere considerato un paradigma tecnologico che raccoglie intorno a sé tutta una serie di nuove tecnologie, anche molto differenti tra loro, quali internet of things(IoT), cloud computing, additive manufacturing, cybersecurity,big data, robotica avanzata, realtà aumentata, wearable technology, intelligenza artificiale. Si tratta essenzialmente di tecnologie già esistenti, ma che negli ultimi anni hanno avuto una rapida evoluzione, anche grazie all’abbattimento dei costi della loro diffusione nel mercato dei processi produttivi e dei prodotti di massa. Ciò che origina il nuovo paradigma è soprattutto l’integrazione delle varie tecnologie, che consente di sfruttare in pieno le singole potenzialità per realizzare la completa digitalizzazione dell’economia.

    Con “Industria 4.0” si riescono a implementare nuovi modelli di business, sia per offrire prodotti o servizi già esistenti, che per proporre nuovi prodotti o servizi che fino a ieri non erano tecnologicamente realizzabili. Tra i nuovi modelli di business, si cita quello della sharing economyche sta influenzando velocemente la società, con la cultura della “condivisione” che si sostituisce progressivamente alla “cultura del possesso”. L’approccio sharing economysi integra con il modello di business pay-per-usee rappresenta già oggi un nuovo modo di utilizzare l’auto, la casa per le vacanze, perfino la bicicletta, e che in futuro evolverà in altri ambiti di cui oggi non vediamo ancora tutte le potenzialità di crescita.

    Gli effetti che le tecnologie di “Industria 4.0” hanno sull’economia sono molto intensi, sia in termini positivi e che negativi. Tra i vantaggi vi è la maggiore efficienza produttiva che la robotizzazione e l’intelligenza artificiale generano all’interno degli impianti industriali, grazie alla possibilità di migliorare la produttività del lavoro, la saturazione degli impianti, la pianificazione delle risorse, il risparmio di energia e di materia prima (Parill et al., 2015). Si profila una nuova struttura industriale al cui interno i rapporti tra produttori, distributori e consumatori saranno più intensi grazie alla connessione internet. Nella nuova organizzazione industriale le grandi imprese saranno caratterizzate dalla stessa flessibilità oggi presente nelle piccole imprese, grazie alla manifattura “addittiva” che consente di personalizzare il prodotto e ridurre la dimensione del lotto minimo di produzione, mentre le piccole imprese avranno vantaggi dall’uso delle tecnologie “open source” che permettono di ridurre le barriere all’entrata nelle nuove produzioni.

    La connessione digitale tra produttore, distributore e consumatore favorirà una maggiore segmentazione del mercato dei consumatori, il cui livello di personalizzazione permetterà di soddisfare le esigenze specifiche di ciascun acquirente, anche grazie ad una maggiore integrazione tra prodotto manufatto e servizio (di pre-vendita e post-vendita).

    Ne deriva una importante influenza della diffusione delle nuove tecnologie di “Industria 4.0” sul mercato del lavoro, con un rapporto particolarmente intenso sia in termini qualitativi che quantitativi: da un parte, le nuove tecnologie modificano i modi di organizzare il lavoro e le mansioni richieste nei vecchi modelli di business e riducono la quantità stessa dei lavoratori impiegati[1]; dall’altra, nei nuovi modelli di business aumenta invece la richiesta di lavoratori con competenze ancora poco presenti nel mercato del lavoro.

    Ciò genera effetti negativi sull’economia e la società, in quanto l’espulsione dei lavoratori obsoleti crea problemi sociali[2], mentre la carenza delle nuove professionalità riduce la crescita dell’economia, allontanando il PIL effettivo da quello potenziale, e non consentendo una politica di redistribuzione del reddito generato dalle innovazioni e dalla maggiore produttività del sistema.

    I risultati degli studi previsivi sono discordanti tra loro nell’ammontare dei lavoratori coinvolti, ma non nel segno negativo dell’impatto sul mercato del lavoro.

    In primo luogo, merita ricordare che la gran parte degli studi condotti recentemente (Ambrosetti Club, 2017) si focalizza soprattutto sulla maggiore automazione introdotta da “Industria 4.0” nelle imprese manifatturiere, con una elevata percentuale di posti di lavoro nell’industria che potrebbe essere automatizzata entro il 2030, con relativa perdita di occupazione diretta. Ambrosetti Club (2017) stima che in Italia circa il 15% degli attuali lavoratori perderà il posto nei prossimi 15 anni per colpa dell’automazione e dell’intelligenza artificiale.

    In secondo luogo, alcune ricerche ampliano l’analisi alle implicazioni che le nuove tecnologie hanno nei confronti dei settori non manifatturieri: tanto nell’agricoltura, quanto nel terziario, le nuove forme di automazione favoriranno la sostituzione dell’occupazione con l’ingresso di nuovo capitale tecnologico. Ciò rappresenta una novità significativa rispetto alle fasi di cambiamento tecnologico che si sono succedute nel passato, generalmente focalizzate sull’ambito industriale. L’impatto sul terziario è quindi visto come uno dei fattori più critici, stante l’elevata intensità di lavoro presente in tale comparto. Infatti, mentre nel passato la sostituzione di capitale a lavoro riguardava quasi esclusivamente i lavori manuali e routinari, con la digitalizzazione dell’economia verranno influenzati anche i lavoratori adibiti a mansioni intellettuali e routinarie, in primis, e forse anche quelle non routinarie (Molina, 2017).

    In terzo luogo, merita ricordare quanto le suddette previsioni siano molto variabili tra loro, a seconda della metodologia utilizzata e dell’arco temporale futuro preso in considerazione: un conto è stimare un impatto che avverrà nei prossimi 5 anni, un altro conto è invece far riferimento a scenari dei prossimi 20 anni, di cui si possono immaginare le caratteristiche solo a grandi linee. Infatti, basterebbe semplicemente ricordare che “quasi tutte” le attuali mansioni non produttive, in tutti i settori economici, potrebbero teoricamente essere in parte sostitute dai nuovi macchinari e software dotati di intelligenza artificiale, sia con riferimento ai lavori impiegatizi, che a quelli di concetto e di coordinamento.

    Infine, giova sottolineare come il fattore temporale giochi un ruolo importante nell’individuare gli effetti delle nuove tecnologie sul mercato del lavoro. L’introduzione delle nuove tecnologie e la loro diffusione sul territorio e dentro i vari settori economici procederanno probabilmente per “ondate successive”, con forti asimmetrie tra i paesi, tra i settori economici e tra le stesse tipologie di lavoratori.

    In tutti i casi, gli studi prevedono la creazione di nuova occupazione, nei nuovi modelli di business creati della nuove tecnologie, anche senza poter stimare con precisione quanto sarà il saldo occupazionale tra vecchi posti di lavoro distrutti e nuovi posti di lavoro creati. Molto probabilmente tale saldo sarà negativo nel breve termine, con importanti ripercussioni sulla gestione delle politiche sociali, ma potrà essere in parte ridotto se si intervenisse fin da oggi con una idonea politica di formazione, finalizzata a creare le nuove competenze professionali mano a mano che verranno richieste dal mercato.

    Questo scenario si realizzerà probabilmente nel contesto piemontese prima che nelle altre regioni italiane, grazie all’elevato peso del sistema manifatturiero e, più in particolare, della filiera automotive, le prime attività che saranno influenzate dalle tecnologie di “Industria 4.0”.

     

    Il ruolo della formazione del capitale umano nella filiera automotive

    Tantonella filiera automotive piemontese, quanto in quella europea, l’auto elettrica/a guida autonoma rappresentano gli elementi più innovativi e di maggior peso nel definire il modello di mobilità sostenibile. Le tecnologie di “Industria 4.0” sono la base necessaria per far evolvere la nuova organizzazione, sia dal lato del prodotto, che da quello dei servizi, quali le modalità di utilizzo, di distribuzione, manutenzione, riparazione.

    Dal lato del prodotto, l’auto elettrica/a guida autonoma esiste grazie all’interconnessione tra le parti del veicolo, i veicoli, le infrastrutture di sicurezza/controllo del traffico, e quindi grazie alle nuove tecnologie digitali di IoT, intelligenza artificiale, cloud, ma anche di realtà aumentata, cybersecurity, wearable technology. Stesse affermazioni valgono dal lato del servizio, con le modalità di utilizzo dell’auto elettrica/a guida autonoma che dipendono dall’evoluzione dei modelli di car sharing, di smart grid, cybersecurity.

    L’impatto più immediato si avrà all’interno della fase manifatturiera dell’auto elettrica/a guida autonoma, con la digitalizzazione della produzione che favorisce una riduzione dei costi produttivi, perché aumenta l’uso di robot e i cobot[3]in linea, nonché una migliore gestione delle forniture in just-in-time(magazzini automatici, logistica interna agli stabilimenti, ecc.) e della rete di distribuzione.

    La trasformazione digitale della filiera automotive modificherà le attuali mansioni dei lavoratori, per esempio con il superamento del ruolo di controllore della macchina che la precedente fase di automazione aveva affidato all’operaio specializzato, spostandolo verso mansioni di “dialogo”, quasi di natura cooperativa, con i nuovi macchinari di supporto ai lavoratori, sia per operazioni fisiche (co-robot) che per mansioni di controllo e coordinamento (software di intelligenza artificiale e realtà aumentata).

    Le nuove necessità di formazione possono essere descritte con riferimento ai diversi ambiti di diffusione delle tecnologie di “Industria 4.0” nel processo di trasformazione della filiera automotive: il primo fa riferimento alle generali tecnologie di “Industria 4.0”; il secondo all’implementazione di queste tecnologie nel contesto automotive; il terzo ai nuovi modelli di business che si andranno a creare e a diffondere (tabella 1).

    Il primo livello descrittivo è quello più generale, e attiene ai cambiamenti che vanno dal workfieldinterno alla fabbrica, alle relazioni interne alla filiera di fornitura, ai rapporti tra produttore e cliente, ai rapporti tra impresa e resto della società. La nuova organizzazione del lavoro richiede competenze dei lavoratori che siano legate alla gestione della forte automazione dei macchinari, e quindi alla soluzione dei problemi che la linea produttiva non riesce a risolvere da sé, con il software di gestione che automaticamente modifica il processo in funzione delle differenze con il target da raggiungere. In questo contesto, la formazione professionale deve coinvolgere tanto le materie di tipo tecnico, quelle che consentono di comprendere come funzionano i processi produttivi, quanto quelle di tipo “culturale” e “manageriale”, che aiutano a risolvere i problemi improvvisi, ad adattarsi alle novità, ad aprirsi al coordinamento del gruppo di lavoro, e così via (WEF, 2017a).

    Per favorire la nascita della nuova filiera di fornitura, con la supply chainche si espande a livello globale (“global value chain”), la formazione dovrà puntare soprattutto sulle competenze relazionali, quelle che consentono ai tecnici di rapportarsi con i fornitori esteri avendo ben presente il linguaggio tecnico, gli standard produttivi e la contrattualistica in uso a livello internazionale e nel singolo paese del fornitore. Infine, i nuovi rapporti tra produttore e cliente, che generano modifiche nella catena del valore, sia dei beni di consumo che di quelli industriali, devono utilizzare gli stessi standard di comunicazione, essere pienamente tracciabili nel contenuto, garantire le nuove forme di monitoraggio in tempo reale del ciclo produttivo, e così via.

    In questo primo ambito descrittivo il legame tra le competenze definite soft-skille quelle più tradizionali per il sistema manifatturiero,hard-skill, è molto più stretto che in passato: mentre queste ultime sono necessarie per seguire la complessità dei nuovi macchinari, le prime diventano importanti per sviluppare un approccio di problem solvinge di adattamento veloce ai cambiamenti organizzativi. Le soft-skillrichieste derivano soprattutto da competenze trasversali alle varie funzioni aziendali, che acquisiranno una maggiore importanza proprio per la maggiore complessità degli ambienti di lavoro: capacità di comunicazione, di condivisione delle informazioni, di apprendimento dalla esperienza, di decision makingsono importanti per la gestione dei nuovi processi aziendali, sia in fase di produzione che di vendita del prodotto automotive.

     

    Tabella 1. Industria 4.0, mobilità sostenibile e formazione. Fonte: elaborazione dell’autore

     

    Il secondo livello descrittivo attiene invece all’adattamento del capitale umano all’evoluzione del modello di mobilità sostenibile: tutta la nuova infrastruttura elettrica e organizzativa ha un urgente bisogno di nuovi tecnici in grado di implementare gli ingenti investimenti necessari all’uso, al rifornimento e alla manutenzione dell’auto elettrica e a guida autonoma. Anche i nuovi legami tra fornitori e assemblatore finale potranno essere efficienti solo con le idonee competenze presenti nel capitale umano che gestisce la digitalizzazione della produzione.

    Infine, per realizzare i nuovi modelli di business, le imprese hanno necessità di capitale umano ricco di nuove competenze che, per esempio, consentano la gestione del car sharing, sia dal punto di vista industriale, che finanziario, assicurativo e organizzativo. Stessa affermazione per la rete distributiva, tanto nella forma disintermediata (e-commerce) che in quella organizzata (multi-canale), e per la rete di manutenzione (nuovi artigiani per i servizi di prossimità).

      

    Alcune proposte di politica per la formazione

    Le attuali politiche di rinnovo delle tecnologie di processo, che incentivano tanto in Italia che nel resto d’Europa gli investimenti nei macchinari dii “Industria 4.0”, trovano un limite di diffusione tra le imprese nella carenza di personale con le competenze idonee. Per favorire l’assorbimento delle nuove tecnologie occorre quindi puntare sulla formazione, e quindi sul capitale immateriale dell’azienda, anziché sui semplici investimenti fissi, come avveniva in passato (CSC, 2018).

    Soprattutto nel caso piemontese, regione che ha ormai raggiunto uno stadio di sviluppo post-industriale, l’investimento in capitale umano è complementare rispetto a quello in capitale fisico, per consentire all’impresa di trasformare la maggiore complessità richiesta dagli investimenti innovativi in concrete opportunità di creazione di valore. La nuova organizzazione d’impresa genera una complessità tecnica e organizzativa, e richiede da parte della politica pubblica un incentivo alla formazione, che favorisca l’allineamento tra domanda e offerta di competenze sul mercato del lavoro, a tutti i livelli di qualifica, in quanto le tecnologie di industria 4.0 pervadono tutto il sistema aziendale, dal magazzino alle funzioni di pianificazione e di indirizzo strategico, ma soprattutto con riferimento alle nuove figure professionali di “Industria 4.0” (CSC, 2018).

    Se le imprese piemontesi devono posizionarsi sulle frontiere della tecnologia, al fine di mantenere un posto privilegiato nei rapporti tra le global value chain, occorre anche che il capitale umano sia di livello sufficientemente elevato e ciò è possibile se l’impresa diventa attrattiva anche in termini formativi (e non solo in termini salariali o di qualità del lavoro). In un mercato del lavoro che per le fasce più elevate richiede un continuo aggiornamento delle competenze, le figure professionali più vicine alle tecnologie di “Industria 4.0” vedono nel periodo trascorso in un’azienda anche un proprio investimento in formazione, per cui verranno attratte dalle imprese che più di altre offrono percorsi formativi di crescita professionale. Per evitare il classico fallimento del mercato negli investimenti in formazione, causato dalla possibilità che l’imprenditore free-rider sottragga lavoratori formati all’impresa che aveva investito in essi (e che quindi quest’ultima non investa più, perché non gode in pieno dei risultati dell’investimento), occorre una politica formativa specifica per queste nuove figure professionali, oggi ancora carenti nel mercato del lavoro.

    In primo luogo, la letteratura propone di coniugare le competenze ingegneristiche con quelle umaniste, formando una classe di tecnici che conosca i problemi sociali creati dalle nuove tecnologie, da una parte, e che utilizzi le competenze umanistiche verso la soluzione di problemi tecnologici. Un ibrido tra gli attuali percorsi di formazione universitaria degli “ingegneri” e dei “letterati”, come si sta tentando di sperimentare nelle università torinesi. L’obiettivo è quello di ottenere manager che siano pronti al dialogo, al lavoro in un gruppo interdisciplinare, alla collaborazione per la soluzione di problemi, allo sviluppo di soluzioni creative (Carrozza, 2018).

    Questa evoluzione potrebbe essere inserita all’interno di alcune esperienze positive del caso piemontese, come quelle dei dottorati industriali, dell’apprendistato di alta formazione e ricerca (è di aprile 2019 l’accordo per il potenziamento in chiave “Industria 4.0” della filiera formativa di questo apprendistato che, tra il 2016 e il 2018, ha già coinvolto 429 giovani e 175 imprese), dell’apprendistato “duale”[4]di scuola superiore (ai 200 studenti coinvolti sinora in circa 100 imprese, se ne aggiungeranno altri 500 nei prossimi anni) e, in prospettiva, delle attività del Manufacturing Technology and Competence Center. Si tratta di casi positivi che consentono di ridurre il mismatch esistente tra domanda e offerta di figure qualificate sulle nuove tecnologie digitali in quanto adeguano i programmi formativi alle richieste delle imprese in modo più rapido rispetto alle tradizionali attività dell’università e della scuola media superiore[5].Per avere un’idea della dimensione di questo divario, l’ultimo Rapporto excelsior (Unioncamere, 2019) mostra come, di 312.660 nuovi posti totali previsti dalle imprese nel 2017, quelli di difficile reperimento siano una percentuale significativa, superiore di due punti a quella media italiana (28,2% vs 26,3%) e che il gruppo professionale più ricercato sia proprio quello degli operai specializzati (32,7% vs 29,7%) verso cui si indirizza la formazione professionale. Segue per rilevanza la domanda di nuove posizioni di tipo dirigenziale e tecnico (21,4% vs 19%), mentre la domanda di impiegati è sotto media (32,4% vs 36,0). Un altro ambito importante di azione per il miglioramento dell’offerta formativa è quello dell’alternanza scuola-lavoro, con la quale si implementano percorsi di formazione che favoriscono una minore asimmetria informativa tra le parti in gioco riducendo gli errori di valutazione reciproca. Anche in questo caso l’impegno del Piemonte emerge in positivo nel panorama italiano. Oltre ad essere sopra la media per numero di imprese che svolgono formazione (30,5 vs 25,8) e ospitano tirocini (20,5 vs 14,8), la regione piemontese è sopra media anche per numero di studenti in "alternanza scuola-lavoro" (14,6 vs 10,8). Ciò nondimeno l’efficacia resta bassa. Probabilmente per colpa di un non adeguato sviluppo del legame tra impresa, università e lavoratore che ad oggi non consente al lavoratore di recuperare l’investimento effettuato nel dottorato industriale o nel percorso ITS con un titolo di studio universitario riconosciuto dal mercato del lavoro.

      

    Bibliografia

    Adapt e Assolombarda (2018), Il futuro del lavoro, Milano, https://www.assolombarda.it/servizi/assistenza-sindacale/documenti/il-futuro-del-lavoro.

    Ambrosetti Club (2017), Tecnologia e lavoro: governare il cambiamento, Ambrosetti Club, Milano.

    Carrozza M.C. (2018), “L’istruzione al tempo della quarta rivoluzione industriale”, in A. Cipriani, Gramolati A., Mari G. (a cura di), Il lavoro 4.0: La Quarta Rivoluzione industriale e le trasformazioni delle attività lavorative, Firenze University Press, Firenze.

    Chui M., Manyika J., Miremadi M. (2016), Where machines could replace humans—and where they can’t (yet), McKinsey Quaterly.

    CSC (2018), Dove va l’economia italiana e gli scenari di politica economica, Roma.

    Molina S. (2017), 2030: Quali competenze per le imprese a prova di futuro?, mimeo, Torino.

    Parill J., Trujill J., Berube A. (2015), Skills and Innovation Strategies to Strengthen U.S. Manufacturing. Lessons from Germany, The Brookings Institute, Washington.

    Unioncamere (2019), La domanda di professioni e di formazione delle imprese italiane nel 2018. Monitoraggio dei flussi e delle competenze per favorire l’occupabilità, http://www.excelsior.unioncamere.net

    WEF (2017a), Realizing Human Potential in the Fourth Industrial Revolution, World Economic Forum, Geneva.

    WEF (2017b), Accelerating Workforce Reskilling for the Fourth Industrial Revolution, World Economic Forum, Geneva.

    WEF (2018), Towards a Reskilling Revolution. A Future of Jobs for All, World Economic Forum, Geneva.

     

    Note

    [1] Tali figure professionali sono oggetto di studio in WEF (2018), per esaminare le possibilità di un loro riutilizzo in altre attività, come nell’esempio delle cassiere del supermercato.

    [2] Lo strumento della formazione continua può essere utilizzato per garantire nuove possibilità ai lavoratori espulsi a causa dell’innovazione (WEF, 2017b).

    [3] I robot collaborativi che lavorano a fianco degli esseri umani, aiutandoli nelle mansioni più pesanti o ripetitive.

    [4] Apprendistato che permette ai giovani tra 15 e 29 anni di conseguire tutti i titoli di studio alternando momenti di formazione a scuola a momenti di formazione e lavoro in azienda.

    [5] Nel campo della sostenibilità un interessante tentativo di curvatura dei programmi formativi è quello del progetto Alcotra Francia-Italia A.P.P.VER., coordinato da Città metropolitana di Torino e che prevede processi partecipati estesi a scuole, istituzioni pubbliche, organizzazioni di vario tipo e imprese.

     

    Parole chiave: formazione, competenze, industria 4.0

     

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