Innovatori sociali e contesti metropolitani: il caso di Torino

    di Filippo Barbera e Tania Parisi, Università di Torino

    La città di Torino è un caso interessante in cui osservare le pratiche d’innovazione sociale, non solo per il numero di esperienze, ma anche per l’importante ruolo giocato negli anni dalle istituzioni politiche cittadine, che hanno promosso e sostenuto molte iniziative in questo campo. Come vedremo, la traiettoria centrale dell’innovazione nel caso torinese si configura come un modello non tanto di innovazione diffusa quanto concentrato su esperienze “di eccellenza”, elemento che, a posteriori, possiamo definire come costitutivo del progetto di trasformazione urbana della città.

    Al contrario, la traiettoria periferica – entro cui si colloca il tema dell’innovazione sociale, tenta di costruire un sistema meno concentrato e meno basato sulla logica dell’eccellenza. Dopo aver ripercorso le traiettorie dell’innovazione sociale a Torino, presenteremo un profilo degli attori del cambiamento in città. Nelle conclusioni, proveremo ad avanzare alcune proposte per le politiche.

    Le traiettorie dell’innovazione sociale a Torino

    Nell’ambito delle iniziative per l’innovazione attivate negli ultimi venti anni, è utile distinguere per il caso torinese due traiettorie: una centrale e una periferica.

    La traiettoria “centrale” si è sviluppata come parte integrante dell’investimento che la Città ha operato per il riposizionamento strategico e identitario di Torino attraverso progetti di riqualificazione di aree e spazi, con l’investimento nei settori della cultura, del turismo e della società della conoscenza e con il rafforzamento delle infrastrutture sul territorio metropolitano, in termini di nuovi assi di comunicazione, mobilità e servizi. Questa strategia si è concretizzata principalmente attraverso il sostegno agli investimenti tecnologici e alle sinergie tra mondo della ricerca, servizi e imprese leader: ne sono un esempio i Parchi e Distretti Tecnologici, gli Incubatori e i “poli dell’innovazione”. Accanto a questa traiettoria “centrale”, negli anni se ne è delineata una seconda, più rivolta alle istanze sociali, che definiamo “periferica” perché rimasta, almeno inizialmente, ai margini della strategia di rilancio della città, con interventi non paragonabili per risorse e respiro strategico a quelli della prima. Solo negli ultimi anni, infatti, si assiste a una nuova centralità della “traiettoria periferica”, grazie all’interessamento delle istituzioni locali e degli attori forti della città (in particolare le Fondazioni di origine bancaria).

    Grazie al rinnovato impulso dato alla traiettoria periferica, a Torino l’ecosistema dell’innovazione sociale è divenuto più ricco e articolato. I primi esperimenti sono da attribuirsi al dinamismo e lungimiranza di attori privati o del non-profit, seguiti e poi supportati, , dalle istituzioni e dalle Fondazioni. Negli anni della crisi sono cresciuti progetti di economia collaborativa, un circuito di produzioni culturali indipendenti e imprese sociali che hanno sperimentato iniziative di comunità. Questo variegato mondo ha iniziato a dotarsi di propri spazi di riconoscimento. L’apertura nel 2010 di Toolbox (coworking, servizi e sede di Fablab Torino, primo laboratorio di fabbricazione digitale in Italia) ha fornito uno spazio alle comunità dell’innovazione, ma anche modelli operativi appropriabili, come dimostra la nascita nel 2012 del progetto Torino Social Innovation della Città. L’agenzia si è affermata come collettore di iniziative e nuova imprenditoria sociale nei settori della qualità della vita, della salute e dell’inclusione. L’inaugurazione nel 2015 del centro Open Incet, progetto di recupero di uno stabilimento dismesso, ha dotato il sistema di un altro tassello importante. L’ecosistema di supporto alla creazione delle imprese (Fondazione Human+ 2016), si è progressivamente arricchito di nuovi soggetti, ad esempio gli acceleratori d’impresa che affiancano soggetti storici come gli incubatori del Politecnico e dell’Università degli Studi. Nella città è nato il primo centro dedicato all’innovazione sociale (SocialFare), orientato all’accelerazione di start-up a impatto sociale, che accoglie nella sua compagine società di microcredito e il primo fondo italiano di finanza d’impatto (Oltre Venture). Nel 2019, nasce il Cottino Social Impact Campus, dedicato alla diffusione della cultura dell’impatto sociale. Torino, poi, vanta una fitta e attiva rete di “Case del quartiere”, il cui riconoscimento come soggetti titolari di progetti di interesse collettivo è ispirato al “Regolamento sui beni comuni urbani”, sulla scorta della corrispondente normativa nazionale (Legge 164/2014) e dell’esempio di altre città. In particolare dopo il 2015 (anche se il percorso era già stato avviato a partire dai primi anni Duemila), la “traiettoria periferica” dell’innovazione ha ricevuto l’attenzione delle Fondazioni e della finanza sociale e, finalmente, il supporto delle istituzioni della città. Esempio di questa convergenza e attenzione è l’insediamento di un importante think tank sociale, la Fondazione filantropica inglese Nesta, fortemente voluta dalla Compagnia di S. Paolo e dal suo Presidente Francesco Profumo, eletto nel maggio 2016. Nella stessa direzione va la firma di un Memorandum (Torino Social Impact, nel 2017-2018) tra istituzioni pubbliche, università, organizzazioni del Terzo Settore, Fondazioni bancarie e soggetti dell’innovazione sociale. Passaggi che ratificano il riconoscimento istituzionale di questa prospettiva, rimasta a lungo sotto traccia e offuscata dalla pervasività della traiettoria centrale.

    Caratteristiche degli attori dell’innovazione sociale

    Anche a Torino, come nel resto del Paese, gli attori dell’innovazione sociale presentano caratteristiche piuttosto omogenee[1]. Si tratta in genere di persone di ceto medio-alto e con titoli di studio elevati; i pochi non laureati vantano comunque un elevato capitale umano, sedimentato attraverso esperienze professionali qualificate. Molti provengono da ambienti cosmopoliti e ricchi di risorse che hanno potuto valorizzare nel percorso professionale successivo. I “territori di provenienza” degli innovatori costituiscono i bacini da cui questi attingono le risorse “originarie” (conoscenza, relazioni, attitudini e motivazioni, talvolta risorse tecniche e finanziarie) che alimentano i loro progetti di vita e lavoro. Il più rilevante è costituito dalle Università. Un secondo importante bacino è rappresentato dalle esperienze di partecipazione civica o di attivismo sociale. Il terzo è formato dai network professionali e dagli specifici mondi produttivi di provenienza. Il quarto bacino è costituito dagli spazi ibridi della produzione e del consumo: dal mondo hacker, agli happening musicali e tecnologici, al prosumerismo[2] dei circuiti della produzione culturale urbana.

    Secondo una tendenza ormai non più confinata al campo del lavoro autonomo, imprenditoriale o proto-imprenditoriale, anche per gli innovatori sociali tempi e spazi di vita e di lavoro sono ampiamente sovrapposti. Gli innovatori conducono esistenze letteralmente colonizzate dai loro progetti: hanno pochissimo tempo libero, sono connessi “H/24” e adottano modelli organizzativi orizzontali dove la condivisione espressiva e la socialità sono un tutt’uno con l’attività economica e la vita organizzativa. Il workplace inteso nell’accezione tradizionale perde significato, poiché gli spazi lavorativi si sovrappongono agli ambienti quotidiani. Da una parte, ciò facilita il raccordo tra tempo di lavoro e riflessività grazie a spazi per il lateral thinking, alla reciproca persuasione, alle relazioni gratificanti e dotate di valore intrinseco, e, non di meno, “produttive”. Dall’altra, la sovrapposizione tra socialità, elementi ludici, sfera espressiva ai tempi e spazi di lavoro, trasforma le relazioni sociali e i rituali della socialità domestica in forze produttive. Gli innovatori si spostano frequentemente per ragioni di lavoro, per partecipare a eventi o conferenze, per sviluppare partnership; inoltre, anche se raramente i loro progetti hanno carattere internazionale, molto spesso i bacini acquisiti di conoscenza, fonti di ispirazione e modelli, mettono a valore network collaborativi internazionali. Dal punto di vista dell’oggetto o focus, come detto, il mondo degli innovatori appare profondamente radicato nel milieux di riferimento. Nel caso del contesto urbano, tale rapporto è anzitutto di tipo funzionale, basato cioè sui vantaggi localizzativi e sugli spazi terzi che più facilmente la città genera, ma anche di tipo simbolico e poggiato su elementi affettivi e soft, come ad esempio il “clima” sociale, gli stimoli culturali, la percezione di vivere in un ambiente aperto ai cambiamenti e alla diversità.

     

    Conclusioni e alcune proposte per le politiche

    Le pratiche di innovazione sociale sono spesso frutto di fenomeni di auto-organizzazione “dal basso” che generano campi organizzativi ibridi. Ma, come dimostra il caso torinese , le politiche pubbliche possono avere un ruolo diretto nel promuovere forme di innovazione sociale e di cambiamento combinatorio. Nelle politiche di welfare che fanno riferimento all’innovazione sociale, la retorica principale fa appello a logiche economiche/imprenditoriali, spesso sostenute da finanziamenti di Fondazioni che svolgono un ruolo cruciale in buona parte delle decisioni pubbliche sulle materie sociali. I contesti istituzionali filtrano e abilitano, seppur non in modo meccanico, le risposte e le azioni della popolazione di agenti del cambiamento che danno forma e direzione alle esperienze di innovazione sociale.

    Il rapporto tra sviluppo economico, sfera politico-amministrativa e azione pubblica è complesso. Se in altri contesti – comprese le istituzioni europee – la popolazione degli innovatori sociali sta acquisendo un ruolo importante sia nella rappresentanza politica che nelle strutture burocratiche, nel nostro Paese ciò non è ancora avvenuto o, perlomeno, non ancora in modo diffuso e pervasivo. Non si tratta solo o tanto di “ringiovanire” la classe politica e dirigente o i dipendenti pubblici, la cui età media è in effetti elevata. Il punto centrale è la ridefinizione del concetto stesso di valori pubblici e di azione pubblica (Mazzucato 2017). A riguardo, la popolazione degli innovatori sociali può contribuire a costruire un’agenda per l’azione pubblica mission-oriented costituita da cinque punti (Mazzucato, ibidem):

    1. la crescita economica non ha solo un tasso, ma anche e soprattutto una direzione;
    2. l’innovazione richiede investimenti risk-taking, sia privati che pubblici;
    3. lo stato ha un ruolo cruciale non solo come market-fixer, ma anche come market-maker;
    4. le politiche pubbliche efficaci combinano obiettivi dall’alto con apprendimento/partecipazione dal basso;
    5. la definizione ed esecuzione della missione/obiettivi richiede la costruzione attiva del consenso.

     

    L’istituzione di riferimento per l’innovazione sociale è, in tutte le regioni in cui sono presenti grandi centri, il Comune, nonostante i limitati poteri regolativi in materia di sviluppo e occupazione. Come recita il rapporto ANCI intitolato “L’innovazione sociale e i Comuni. Istruzioni per l’uso”: «La sfida per i comuni è dunque quella di favorire la nascita sul territorio di una “regia per l'innovazione sociale e la rigenerazione urbana” [...]. Le città possono configurarsi come ecosistemi “social innovation friendly[3]».

    Gli esiti della nuova agenda urbana torinese definiscono un quadro in chiaroscuro della città “politecnica, policentrica e pirotecnica” (Belligni, Ravazzi 2012). L’analisi del recente passato di Torino permette di «osservare la gentrification occorsa negli anni della trasformazione torinese proprio come un caso esemplare di uneven development, e cioè come parte integrante, se non addirittura uno dei motori, del cambiamento (Semi 2015, 174)». L’analisi del presente evidenzia invece l’impotenza di questo modello nonostante l’area torinese rimanga tra le maggiori concentrazioni nazionali di istituzioni e servizi high tech e della conoscenza [4]. Si avverte uno scollamento tra vecchie élite e nuova cittadinanza, tra centro e periferie, tra chi appartiene alle più consolidate reti decisionali e chi ne è escluso: una crisi di coesione che si legge anche in alcuni indicatori sociali, comparativamente negativi nei confronti degli altri grandi centri del Nord e del Centro (l’indice di sostituzione tra giovani e anziani, il basso tasso di crescita dell’occupazione, il reddito medio disponibile, ecc..) e di cui non si intravvede una facile uscita.

     

    Bibliografia

    Barbera F., Parisi T., 2019, Innovatori sociali. La sindrome di Prometeo nell’Italia che cambia, Il Mulino, Bologna.

    Belligni S., Ravazzi S., 2012, La politica e la città. Regime urbano e classe dirigente a Torino, Bologna, Il Mulino.

    Busso S., 2011, Knowledge economy in Piemonte. Un’introduzione, Collana del Dipartimento di Scienze Sociali, Roma, Aracne.

    Mazzucato M., 2017, Mission Oriented Innovation Policy, IIPP-RSA working paper, www.thersa.org/mission-oriented-innovation-policy.

    Semi G., 2015, Gentrification. Tutte le città come Disneyland?, Bologna, Il Mulino.

     

    Parole chiave: Innovazione sociale; città; beni comuni; imprenditorialità sociale.

     

    [1] Il profilo degli innovatori sociali è stato tratteggiato in una ricerca dell’Università di Torino durata tre anni, dal 2015 al 2017: il primo anno (inizio 2015), un campione rappresentativo della popolazione degli innovatori sociali è stato raggiunto via web e ha compilato un breve scheda anagrafica; il secondo anno (inizio 2016) le stesse persone hanno ricevuto l’invito a compilare un secondo questionario, questa volta più articolato, con domande su origine sociale, carriere e valori; il terzo anno (inizio 2017) un gruppo di innovatori sociali, attivi a Torino e Milano, sono stati selezionati per essere intervistati faccia a faccia. I dati presentati in questo articolo sono tratti dalle interviste in profondità svolte a Torino (Barbera, Parisi 2019, in particolare il capitolo 5, Innovatori sociali e contesti metropolitani, di Filippo Barbera, Salvatore Cominu e Silvia Lanunziata).

    [2] Prosumerismo è una parola presa dalla lingua inglese. È formata dalla parola producer o professional e dalla parola consumer ed assume un significato diverso a seconda del contesto. In generale, ci si riferisce ad un “utente” con un ruolo più attivo nelle fasi di creazione, produzione, distribuzione e consumo di un prodotto.

    [3]community.agendaurbana.it/sites/community.ifel.it/files/attachments/Innovazione%20sociale%20e%20Comuni.pdf

    [4] Come mostrano l’incidenza di occupati nei business service e ICT, nelle industrie HT e MHT, intensità brevettuale, spesa in R&D nel settore privato, numero assoluto di start up ex Decreto Crescita 2.0.

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