Di Giorgio Vernoni - Ires Piemonte
La crisi indotta dalla pandemia del COVID-19 è davvero senza precedenti. Diversamente dalle recessioni del passato, compresa la crisi finanziaria globale del 2008, non è né localizzata né sincronizzata, ma si è manifesta nei singoli paesi (e anche nelle regioni) in momenti e con decorsi molto diversi, disarticolando sistemi economici ampiamente fondati sulle catene del valore e sulle specializzazioni produttive interdipendenti.
Inoltre, la spirale recessiva non è stata innescata direttamente dall’evento originario, ma piuttosto dalle misure introdotte per contenere la diffusione del contagio (ad esempio le chiusure selettive di alcune attività economiche), dalle contromisure introdotte per compensare gli effetti negativi delle stesse misure di contenimento del virus (ad esempio i “ristori” o il blocco dei licenziamenti) e dalle strategie di adattamento all’emergenza delle persone e delle organizzazioni, come il ricorso allo smart working. A questi tre fattori se ne deve aggiungere un quarto, meno percepito, ma altrettanto importante, connesso al diffuso rallentamento del commercio internazionale, che sta investendo le regioni più orientate alle esportazioni, come il Piemonte.
Questi quattro fattori (e altri ancora che non è qui possibile richiamare) producono degli effetti contradditori sul mercato del lavoro che possono manifestarsi in distorsioni dei dati disponibili e in risultati contro intuitivi. Per questo motivo, nell’interpretazione delle fonti abituali (così come nella lettura di questa nota), occorre tenerli tutti a mente, con la consapevolezza che un’interpretazione esaustiva del loro impatto combinato è un’operazione di fatto impraticabile.
L’impatto sull’occupazione appare moderato (per ora), ma cresce ulteriormente l’area dell’inattività
Secondo la Rilevazione sulle Forze di Lavoro, il numero di occupati in Piemonte è moderatamente diminuito del 2,8%, passando da 1.830.000 del 2019 a 1.780.000 del 2020, a fronte di una contrazione del PIL regionale molto più intensa (-6,8%). Sono diminuiti anche i disoccupati (ossia le persone disponibili a lavorare e alla ricerca di un impiego), in particolare tra le donne, per l’effetto combinato dello scoraggiamento e anche per l’effettiva difficoltà pratica di mettersi sul mercato durante i lockdown. Di conseguenza aumentano gli inattivi in età da lavoro, in particolare le forze di lavoro potenziali (ossia coloro che vorrebbero lavorare ma non possono o non cercano, in crescita del 22%), confermando il rischio di disattivazione dell’offerta già richiamato nelle precedenti analisi dell’IRES, che potrebbe tramutarsi nel medio termine in un aumento della disoccupazione di lunga durata o nell’esclusione permanente dal mercato dei lavoratori più fragili.
Tabella 1 – Popolazione e forze di lavoro in Piemonte (in migliaia) – Anni 2019-2020
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati Rilevazione delle Forze di Lavoro ISTAT
Gli indicatori standard sono poco efficaci, ma evidenziano una maggiore intensità degli effetti negativi tra gli stranieri
Gli indicatori standard risentono degli effetti contraddittori dei fattori richiamati in premessa, risultando in alcuni casi poco significativi (Tabella X)
Tabella 2 – Tasso di attività, occupazione e disoccupazione in Piemonte – Anni 2019-2020
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati Rilevazione delle Forze di Lavoro ISTAT
È il caso del tasso di disoccupazione, rimasto costante o addirittura in contrazione tra le donne e i giovani adulti. Il tasso di occupazione risulta in diminuzione modesta, anche tra le donne, con l’eccezione dei giovani, tra i quali si riduce in maniera più evidente di quattro punti percentuali. La tendenza alla disattivazione si intravede solo in parte nella diminuzione di circa due punti ed è più intensa tra i giovani. Entrambi questi tassi tendono però alla sottostima perché il denominatore della popolazione in età da lavoro è anch’esso diminuito. Proprio per questa ragione, sono invece rilevanti le variazioni relative agli stranieri, che segnalano una contrazione dei tassi di attività e di occupazione di ben sei punti percentuali, a segnale di effetti più concentrati su questo gruppo per la maggiore quota di lavoratori a termine, in particolare quelli non qualificati nella manifattura.
La diminuzione degli occupati si concentra sugli indipendenti e sui dipendenti a tempo determinato nei servizi “non distanziabili” e incompatibili con lo smart working
Guardando ai dati sull’occupazione dalla prospettiva dei settori, il combinato dei diversi fattori determinanti connessi alla pandemia fa sì che la moderata contrazione risulti distribuita in maniera molto differenziata a seconda della tipologia di attività e di impiego (Figura 1), concentrandosi principalmente sugli indipendenti (-6,6% rispetto al 2019), con maggiore intensità per quelli attivi nel commercio e nei pubblici esercizi (soprattutto turistico-alberghieri), dove la contrazione ha raggiunto il 14,4%, pari a oltre 18.000 posizioni lavorative in meno.
Figura 1 – Variazione dell’occupazione in Piemonte per tipologia di lavoro e macrosettore
in valori percentuali (sinistra) e assoluti (destra) – Anni 2019-2020
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Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati Rilevazione delle Forze di Lavoro ISTAT
Risulta invece più contenuto l’impatto sul lavoro dipendente (-1,6%), che ha beneficiato dei più consolidati ed estesi ammortizzatori sociali (in particolare la cassa integrazione e i fondi di solidarietà) e del prolungato blocco dei licenziamenti. Anche in ragione di questi ultimi, però, la modesta contrazione dell’occupazione dipendente è stata interamente determinata dalla diminuzione del lavoro a termine (-12%), mentre quello a tempo indeterminato è rimasto di fatto invariato.
La conferma di questa dinamica arriva dai dati relativi all’industria, dove la contrazione dei dipendenti, che rappresentano quasi il 93% degli occupati nel settore, non è andata oltre il 2,3% rispetto all’anno precedente (pari, comunque, a 10.000 addetti in meno). Risulta invece anticiclico l’andamento nelle costruzioni, dove si rileva un significativo aumento degli indipendenti (+18%, circa 8.000 addetti in più) e non irrilevante dei dipendenti (+4%), grazie all’effetto indotto dalle eccezionali agevolazioni per la riqualificazione del patrimonio edilizio e alle limitate sospensioni che hanno riguardato il comparto dei lavori pubblici.
Nel 2020 sono stati sottoscritti 120.000 contratti in meno, soprattutto di apprendistato
Una fotografia più dettagliata dell’effettivo andamento della domanda di lavoro dipendente può essere scattata a partire dai dati relativi alle comunicazioni di assunzione (Tabella 3). Nel 2020 i contratti di lavoro sottoscritti sono diminuiti di circa 120.000 unità, pari al 17% in meno rispetto al 2019, scendendo sotto la soglia dei 600.000 avviamenti (594.000), un livello che non è stato toccato nemmeno nella fase più acuta della crisi del 2008. I posti di lavoro equivalenti a tempo pieno (FTE) attivati dalle assunzioni (una modalità di normalizzazione che consente di misurare più correttamente il peso degli avviamenti tenendo conto della tipologia contrattuale, della durata e del regime orario) sono scesi del 13% circa, mentre le persone assunte (molte delle quali sottoscrivono nel corso di un anno più contratti) dell’11%, a conferma del fatto che la contrazione ha riguardato principalmente i contratti di lavoro atipici.
L’analisi delle assunzioni per tipologia contrattuale segnala una migliore tenuta dei contratti a tempo indeterminato (-13%), che le imprese sono state meno propense a rimandare, e più intensa dei contratti a termine, tendenzialmente di minore durata. Tuttavia, la fattispecie più penalizzata è stata l’apprendistato, il cui ricorso è diminuito del 32%. Da questa prospettiva sembra quindi che le imprese abbiamo preferito da una parte guardare alle prospettive di lungo termine e, dall’altra, adattarsi al breve termine, attraverso la rimodulazione dei contratti a tempo determinato, ridimensionando invece connesso alla qualificazione e all’inserimento di nuovi dipendenti giovani.
L’impatto è critico nel turismo, nella ristorazione e nell’intrattenimento, mentre l’industria è in stand-by
La variazione interannuale della domanda di lavoro dipendente per settore di attività rende evidenti gli effetti differenziati della crisi. Risultano prevedibilmente in crescita la sanità, il settore pubblico (si rileva una più intensa domanda ricorsiva nell’istruzione) e i servizi domestici e di assistenza personale, anche se la variazione relativa a questi ultimi (+38%) è molto probabilmente condizionata dall’emersione di rapporti irregolari indotta dai divieti di spostamento e dai recenti provvedimenti in favore della regolarizzazione. Al contrario, l’impatto è critico nel turismo e nella ristorazione, dove la domanda risulta pressoché dimezzata, e nell’intrattenimento (cinema, spettacoli dal vivo, eventi sportivi), dove è scesa del 37%. Significativa la contrazione nell’industria, anche se, come si è già accennato, quest’ultima è condizionata dalla complessiva “sospensione” della capacità produttiva consentita dall’ampio ricorso agli ammortizzatori in deroga. Il commercio vede invece calare la domanda del 24%, una proporzione simile a quella di una vasta schiera di servizi – banche, assicurazioni, attività professionali e ICT – che potrebbe costituire un’indicazione dell’impatto recessivo effettivo, essendo questi ultimi diffusamente compatibili con lo smart working e quindi meno soggetti a sospensioni forzose. Più modesta invece la riduzione della logistica che, se ha risentito degli effetti sul trasporto lungo raggio, ha visto crescere la componente legata all’e-commerce, così come i servizi immobiliari, un settore che, almeno per il momento, sembra meno esposto rispetto alla crisi del 2008-2012.
Il Verbano-Cusio-Ossola è l’area più colpita, tengono meglio le province agricole
La natura selettiva dell’impatto si riverbera anche a livello territoriale, dove le specializzazioni locali inducono effetti significativamente diversi (Figura 2), in maniera differente da quanto accade nelle recessioni “tradizionali”. Dalla prospettiva del lavoro dipendente, la provincia più colpita risulta essere il Verbano-Cusio- Ossola, per la concentrazione di servizi turistico-alberghieri, seguita da Alessandria e Biella, mentre Torino si allinea alla media generale. Hanno fatto meglio della media Cuneo, Asti, Vercelli e Novara, dove le prime tre beneficiano della consistente domanda stagionale di lavoro agricolo, più difficile da comprimere e tendenzialmente anticiclica, insieme alle altre attività riconducibili all’agroalimentare.
Figura 2 – Variazione dei posti equivalenti a tempo pieno
(FTE) attivati dalle assunzioni per provincia – Piemonte 2019-2020
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati ORML Regione Piemonte
Crescono solo i profili sociosanitari e si intravedono gli effetti dello smart working
L’andamento della domanda per gruppo professionale rispecchia gli effetti già evidenziati in quella per settore. Esclusi l’istruzione (marcatamente “stagionale” per via delle assunzioni del personale non di ruolo) e il lavoro domestico (che risente della diffusa emersione di rapporti irregolari), gli unici profili in crescita sono quelli tecnici in ambito sanitario (+24%), infermieristici (+4%) e nei servizi di assistenza personale, questi ultimi anche per i già richiamati incentivi alla regolarizzazione. Tengono anche i profili agricoli e nella logistica, così come gli impiegati amministrativi (Figura 3).
Figura 3 – Profili professionali in maggiore crescita o a miglior tenuta relativa per numero
di posti equivalenti a tempo pieno (FTE) attivati dalle assunzioni – Piemonte 2019-2020
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati ORML Regione Piemonte
Tra i profili più colpiti (Figura 3) si rilevano in primo luogo le professioni qualificate negli alberghi e nei ristoranti (-45%) e i tecnici del turismo (-30%) e sono molto esposte le professioni tecniche e qualificate nella distribuzione commerciale (-30%). Cala la domanda di operai montatori, manutentori, installatori nell’industria (in particolare nel tessile, -37%) per via della capacità di adattare la produzione attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali, che il settore manifatturiero ha più di altri incorporato nei propri modelli organizzativi. Interessante osservare l’evidente diminuzione del personale addetto agli sportelli (-27%), in confronto con l’ottima tenuta del personale amministrativo (-1%, molto meglio della media). Si tratta probabilmente di una buona esemplificazione degli effetti dello smart working, che ha consentito di lavorare al personale in back-office, mentre quello i front-office, ossia a contatto con il pubblico, risulta penalizzato. Anche dalla prospettiva professionale, il lavoro a distanza si conferma come un fattore importante, almeno per la quota di lavoratori che possono beneficiarne, pari in Piemonte al 32% degli occupati.
Figura 4 – Profili professionali in maggiore decrescita per numero di posti
equivalenti a tempo pieno (FTE) attivati dalle assunzioni – Piemonte 2019-2020
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati ORML Regione Piemonte
Dalla prospettiva del lavoro dipendente, gli uomini, i giovani e gli stranieri comunitari appaiono più penalizzati
Analizzando i dati sulla domanda di lavoro dipendente secondo le caratteristiche socio-anagrafiche delle persone interessate dalle assunzioni, è possibile articolare il quadro già delineato a partire dai sulle forze di lavoro dell’ISTAT (Figura 5). A fronte di una contrazione media dei posti di lavoro equivalenti a tempo pieno attivati dalle assunzioni del 13%, gli uomini (-18%) risultano visibilmente più penalizzati delle donne (-8%), tra le quali sono diminuiti i contratti di breve durata nel commercio e nel turistico-alberghiero, ma hanno invece tenuto i contratti di più lunga durata nei servizi personali e sociosanitari. “Da manuale” la correlazione tra età e intensità della riduzione, molto marcata tra gli under 30 (-18%) e modesta tra i lavoratori maturi, mentre tra gli stranieri l’impatto negativo si concentra sui comunitari e appare ridotto tra gli extracomunitari. Quest’ultimo dato, in apparente contraddizione con i dati dalle forze di lavoro (che pure non disgiungono tra queste due tipologie di cittadinanza), sembra confermare l’ipotesi che la tenuta delle assunzioni di non comunitari sia da ascrivere principalmente alla forzosa emersione di rapporti irregolari.
Figura 5 – Variazione delle assunzioni e dei posti di lavoro
equivalenti a tempo pieno (FTE) attivati dalle assunzioni – Anni 2019-2020
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati ORML Regione Piemonte
Conclusioni
l’immagine che deriva da queste analisi raffigura una domanda di lavoro fortemente condizionata dalle misure di contenimento dell’epidemia, che spiegano la contrazione dell’occupazione nei pubblici esercizi e nei servizi non fungibili in modalità remota, così come la crescita dei servizi personali di assistenza e cura e in ambito sociosanitario. Al tempo stesso, le contromisure all’impatto economico dell’emergenza sembrano contenere i danni nel settore industriale, ancora qualificante in molte aree della regione, e producono un effetto espansivo nelle costruzioni, lasciando di fatto invariata l’occupazione nel settore secondario. Per queste ragioni, non si vedono ancora i segni più profondi della spirale recessiva, comunque in atto, che diventeranno più evidenti nel corso del 2021 man mano che si raggiungerà una nuova normalità, insieme a quelli connessi al rallentamento del commercio internazionale, a cui il Piemonte è molto esposto per la sua forte propensione alle esportazioni.
Dal punto di vista dell’offerta di lavoro l’impatto della crisi pandemica sembra confermare la marcata divergenza tra insider e outsider che caratterizza il mercato del lavoro italiano dagli anni ’90 in avanti. Se è vero che l’effetto occupazionale negativo è concentrato – almeno per ora – sui lavoratori autonomi e sul lavoro dipendente a termine, in particolare negli ambiti di attività meno fungibili attraverso il ricorso allo smart working, come il turismo, l’intrattenimento, il commercio al dettaglio e molti servizi “fisici” alle imprese e alle persone. In questa “isola minore” si trovano più frequentemente i giovani, gli stranieri, gli adulti poco qualificati e le donne, in particolare quando sono impegnate nei servizi fisici non fungibili. A queste rilevanti disparità di condizione, corrispondono anche evidenti disparità di trattamento in termini di misure ordinarie e straordinarie di tutela dell’occupazione e di sostegno al reddito. La pandemia sembra dunque riproporre all’attenzione dell’opinione pubblica e dei decisori l’irrisolta questione dell’armonizzazione del mercato del lavoro e dei suoi strumenti e istituti, già evidenziata all’inizio del decennio scorso dalla precedente Grande recessione.