I principali contenuti dell’ultimo Rapporto annuale della Banca d’Italia sull’economia del Piemonte

    Di Roberto Cullino, Banca d’Italia – Sede di Torino[1]

    La pandemia di Covid-19 ha inciso molto negativamente sull’economia del Piemonte. Secondo le stime della Banca d'Italia il PIL nel 2020 si sarebbe contratto di poco più del 9 per cento, in misura lievemente superiore alla media italiana. Gli effetti della pandemia sono stati differenziati tra settori produttivi e tipologie di lavoratori e di famiglie e sono stati fortemente attenuati dalle misure pubbliche adottate.

    La vivace ripresa seguita al lockdown della primavera del 2020 aveva già evidenziato la capacità di recupero dell’economia piemontese. Dopo il nuovo deterioramento congiunturale nello scorcio dell’anno scorso, nei primi mesi del 2021 gli indicatori congiunturali hanno fatto registrare un graduale miglioramento; l’attività dovrebbe rafforzarsi nel corso dell’anno, pur in un quadro di incertezza ancora elevata riguardo all’evoluzione della pandemia.

    Permangono peraltro gli aspetti di debolezza strutturale dell’economia piemontese che sono alla base della deludente performance di lungo periodo della regione e che sono riconducibili alla dinamica della produttività, alla competitività dei servizi, alla qualità del capitale umano e alla demografia.

      

    Gli effetti sull’economia regionale

    Gli effetti della pandemia sull’economia regionale sono stati molto rilevanti. In base all’indicatore ITER elaborato dalla Banca d’Italia, il PIL del Piemonte sarebbe sceso nel 2020 di poco più del 9 per cento (fig. 1.a), in misura leggermente superiore alla media italiana. L’indicatore congiunturale Regio-coin Piemonte, anch’esso prodotto dalla Banca d'Italia, dopo il calo eccezionalmente intenso nel secondo trimestre del 2020 e il recupero vivace nei mesi estivi, ha registrato un nuovo indebolimento nello scorcio dell’anno in connessione con la nuova intensificazione dei contagi; nel primo trimestre del 2021 l’andamento è tornato a migliorare (fig. 1.b).

    Figura 1 - Indicatori congiunturali dell’economia regionale

    (variazioni percentuali)

     

     

    (a) ITER (1)

    (b) Regio-coin Piemonte (2)

     

     

       

     

     

    Fonte: Banca d’Italia.

    (1)           Variazioni tendenziali trimestrali e annuali. ITER è un indicatore della dinamica trimestrale del PIL regionale sviluppato dalla Banca d’Italia. I valori dell’indicatore per i quattro trimestri dell’anno sono coerenti con il dato del PIL annuale rilasciato dall’Istat fino al 2019. Per un’analisi della metodologia adottata, cfr. V. Di Giacinto, L. Monteforte, A. Filippone, F. Montaruli e T. Ropele, ITER: un indicatore trimestrale dell'economia regionale, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 489, 2019. La variazione annuale riportata nel grafico è di fonte Istat sino al 2019, mentre quella del 2020 è stimata sulla base dell’indicatore ITER. – (2) Stime mensili delle variazioni sul trimestre precedente delle componenti di fondo del PIL. Per il periodo 2007-2019 il PIL di fonte Istat è riportato come variazione media trimestrale, per comparabilità con l’indicatore Regio-coin. La costruzione dell’indice segue la metodologia presentata in M. Gallo, S. Soncin e A. Venturini, Ven-ICE: un nuovo indicatore delle condizioni dell’economia del Veneto, Banca d’Italia, Questioni di economia e finanza, 498. Il lavoro adatta l’approccio usato per la costruzione di Ita-coin in V. Aprigliano e L. Bencivelli, Ita-coin: un nuovo indicatore coincidente per l’economia italiana, Banca d’Italia, Temi di discussione, 935. La stima dell’indicatore per il primo trimestre del 2021 è provvisoria.

     

     

    Gli effetti della crisi pandemica sono stati piuttosto eterogenei tra settori produttivi, tipologie di lavoratori e di famiglie.

    Tra i settori, l’industria è stata particolarmente colpita dagli interventi di sospensione delle attività non essenziali durante il lockdown della primavera 2020 e dal crollo del commercio interazionale. Nonostante l’intensa ripresa nell’estate successiva, nel complesso dello scorso anno la produzione e il fatturato delle aziende sono scesi in misura molto significativa. Risultati particolarmente negativi hanno caratterizzato il comparto tessile, che ha sofferto della rilevante contrazione dei consumi delle famiglie, e quello metalmeccanico, su cui ha inciso la flessione della domanda di macchinari. Nel terziario, i comparti della ristorazione, del turismo e dei servizi alla persona e il commercio non alimentare hanno risentito in misura particolarmente intensa delle misure restrittive susseguitesi nel corso del 2020 e della notevole diminuzione della spesa delle famiglie; per contro, un andamento meno sfavorevole è stato registrato per altre attività, come i servizi alle imprese. Nelle costruzioni la produzione ha risentito del blocco della maggior parte dei cantieri durante il lockdown, ma dalla scorsa estate l’attività ha ripreso a crescere.

    Nel mercato del lavoro il calo dell’occupazione si è concentrato tra i lavoratori dipendenti a termine e tra quelli autonomi ed è stato particolarmente intenso per gli addetti al comparto del commercio, alberghi e ristoranti. Per contro, il numero di occupati a tempo indeterminato è rimasto stabile, grazie all’eccezionale ampliamento degli ammortizzatori sociali e al blocco temporaneo dei licenziamenti. La partecipazione al mercato del lavoro si è ridotta in misura più marcata per le donne. È tornata ad aumentare la quota di giovani che non studiano e non lavorano (NEET). Il ricorso allo smart working si è notevolmente intensificato, soprattutto nei servizi privati ad alta intensità di conoscenza e nel settore pubblico.

    La crisi pandemica si è riflessa in misura significativa anche sui redditi delle famiglie, calati in misura più intensa della media italiana; è aumentata la disuguaglianza nella loro distribuzione. Secondo le elaborazioni della Banca d'Italia, la disuguaglianza del reddito da lavoro familiare, misurata dall’indice di Gini, ha raggiunto livelli superiori a quelli toccati a seguito della crisi del debito sovrano, interrompendo la tendenza declinante in atto dal 2015 (fig. 2.a). A tale andamento hanno contribuito sia la crescita della disuguaglianza tra le persone che vivono in famiglie percettrici di reddito da lavoro sia l’aumento dell’incidenza di individui in famiglie che ne sono prive. Quest’ultima è cresciuta più intensamente nei casi in cui la persona di riferimento è straniera, giovane oppure con titolo di studio basso (fig. 2.b). Nel 2020 è anche aumentata, al 6,7 per cento, la quota di minori che vive in famiglie senza reddito da lavoro.

     

    Figura 2 - Disuguaglianza dei redditi da lavoro e individui in famiglie senza reddito da lavoro (1)

     

     

    (a) indice di Gini e individui in famiglie

    senza reddito da lavoro (2)

    (quote percentuali e indici)

    (b) individui in famiglie senza reddito da lavoro

    per tipologia di famiglia (3)

    (quote percentuali)

     

     

       

     

     

    Fonte: elaborazioni Banca d’Italia su dati Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro.

    (1) Elaborazioni riferite agli individui nei nuclei attivi. – (2) L’indice di Gini varia tra 0, in caso di massima uguaglianza, e 1 nel caso opposto. L’indice può essere scomposto come somma tra la quota di individui in famiglie senza reddito da lavoro e l’indice di Gini calcolato tra gli individui nei nuclei con reddito da lavoro (famiglie percettrici), moltiplicato per la relativa quota. Il reddito è espresso in termini equivalenti. – (3) Le famiglie sono classificate in base alle caratteristiche della persona di riferimento. – (4) Asse di sinistra. Quota di individui in famiglie senza reddito da lavoro. – (5) Asse di destra. – (6) Asse di destra. Indice calcolato tra gli individui che vivono nelle sole famiglie percettrici di reddito da lavoro.

     

    Le misure pubbliche adottate hanno attenuato notevolmente le conseguenze della pandemia sulle imprese, i lavoratori e le famiglie.

    Per le imprese gli effetti del calo dei flussi di cassa, particolarmente intenso durante il lockdown della primavera del 2020, e del maggiore fabbisogno di liquidità che vi si è associato sono stati fortemente attenuati dalle misure governative di sostegno al credito (moratorie e garanzie pubbliche). L’aumento dei prestiti che ne è derivato (fig. 3.a) ha soddisfatto anche l’esigenza delle aziende di detenere un più elevato livello di scorte liquide per finalità precauzionali a fronte dell’accresciuta incertezza sulle prospettive economiche. L’utilizzo delle misure di sostegno è stato molto intenso e alla fine del 2020 poco più del 60 per cento delle imprese piemontesi censite aveva utilizzato almeno una tra le misure di moratoria e di garanzia pubblica. Come a livello nazionale, l’utilizzo dei due strumenti è stato eterogeneo tra i comparti e le classi dimensionali d’impresa, riflettendo la differente esposizione all’emergenza pandemica: è stato più intenso per le aziende di minore dimensione e per quelle dei servizi, specialmente dei comparti dell’alloggio e ristorazione e dei servizi di viaggio e noleggio. Il ricorso a tali misure, in particolar modo quello congiunto di moratorie e garanzie, è stato maggiore per le imprese potenzialmente “illiquide”, cioè per quelle che, a seguito del calo del fatturato, non sarebbero riuscite a soddisfare i propri impegni finanziari senza liquidità aggiuntiva (fig. 3.b).

    Figura 3 - Prestiti alle imprese e ricorso alle misure di sostegno al credito

     

     

    (a) prestiti per dimensione di impresa

    (dati mensili; variazioni percentuali sui 12 mesi)

    (b) moratoria e prestiti con garanzie “Covid-19”
    per grado di liquidità delle imprese (1)

    (valori percentuali, dati a dicembre 2020)

     

     

       

     

     

    Fonte: Banca d’Italia, segnalazioni di vigilanza, per il pannello a; Banca d’Italia, AnaCredit, e Cerved Group per il pannello b.

    (1) Quota di imprese che hanno fatto ricorso alle moratorie e ai prestiti con garanzie “Covid-19” sul totale delle imprese, per grado di potenziale illiquidità.

    Anche gli effetti della crisi pandemica sul mercato del lavoro e sulle famiglie sono stati mitigati dagli interventi pubblici. A fronte di un calo delle ore lavorate dell’11,6 per cento, il numero di occupati è sceso in misura molto meno marcata (-2,8 per cento), grazie all’eccezionale ricorso agli ammortizzatori sociali, al blocco dei licenziamenti per motivi economici e alle altre misure di sostegno alle imprese. Le misure indirizzate alle famiglie ne hanno sostenuto le condizioni economiche e finanziarie, attenuando anche la crescita delle disuguaglianze. Ciò nondimeno secondo le elaborazioni Banca d'Italia i redditi delle famiglie piemontesi sono calati nel 2020 del 3,3 per cento a prezzi costanti, anche se in misura notevolmente inferiore del PIL, e la diseguaglianza, come si è visto, è cresciuta in misura significativa. 

    Per il complesso del 2021 gli indicatori congiunturali disponibili prefigurano un miglioramento del quadro economico, pur in un contesto che rimane di elevata incertezza riguardo all’evoluzione della pandemia. Le indagini condotte dalla Banca d’Italia sulle imprese del territorio prospettano una ripresa significativa dei fatturati aziendali, che tuttavia rimarrebbero in media su livelli inferiori a quelli precedenti la pandemia, e una notevole intensificazione dell’attività di investimento.

    Rimangono irrisolti alcuni nodi strutturali che hanno inciso negativamente sulle performance di lungo periodo dell’economia piemontese. Nel Rapporto si evidenzia in particolare la peggiore dinamica nell’ultimo decennio della demografia d’impresa nel confronto nazionale, dovuta a una maggiore mortalità media. Il divario con la media del Paese è solo in piccola parte spiegabile con la differente composizione del tessuto produttivo per forma giuridica, settore e caratteristiche socio-anagrafiche dell’imprenditore; esso sembra quindi riflettere soprattutto il gap di competitività e crescita che caratterizza da molti anni l’economia piemontese nel panorama italiano, riconducibile principalmente alla deludente dinamica della produttività, alla bassa competitività dei servizi, alla minore qualità del capitale umano e allo sfavorevole andamento demografico[1].

     

     

     

    [1] Per un’analisi di dettaglio cfr. Banca d’Italia, L’economia del Piemonte, Economie regionali, 1, 2018.

     

    [1] Le opinioni espresse in questo articolo non impegnano la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

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