di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. (Poliedra Spa)
Introduzione
Nel 2010, dando prosecuzione ad un intervento avviato sperimentalmente nel 2004 (nell'ambito di un quadro normativo differente ma non dissimile nelle sue linee generali), la Regione Piemonte ha dato inizio alla possibilità di conseguire, attraverso il contratto di apprendistato (e quindi combinando lavoro e studio), titoli di master universitario di 1° e 2° livello nonché dottorati di ricerca. Successivamente, a fine 2011, analoga possibilità è stata aperta per le lauree di base (triennali) e magistrali.
Trattandosi, anche rispetto al panorama nazionale, di una sperimentazione, la Regione ha opportunamente deciso di osservarne attentamente l'attuazione attraverso una attività di verifica in situazione dell'andamento dei singoli percorsi, dei loro punti di forza e di debolezza, dei più importanti risultati ottenuti. I contenuti di questo contributo derivano proprio da questa attività, svolta prevalentemente attraverso interviste ai/alle referenti accademici ed aziendali degli apprendisti e realizzata nel corso degli anni 2012-2014. In totale, sono stati analizzati 5 Master (su un totale di 26 avviati entro la fine del 2013), 7 Dottorati di ricerca (su 16 avviati entro fine 2013) e 3 corsi di Laurea (uno triennale e due magistrali, su 7 complessivamente avviati entro la conclusione del 2013). Per ciascuno di essi, come appena evidenziato, sono stati intervistati – sulla base di una traccia largamente comune - il/la tutor accademico (o, nel caso di un Master, di un ente di formazione di livello terziario non-universitario) e, per le aziende, i/le tutor aziendali oppure il/la referente lavorativo effettivo dell'apprendista (sono state quindi realizzate 30 interviste in totale). Dei 5 Master osservati, 3 erano stati approvati nel 2010 e 2 nel 2011; dei 7 Dottorati, 4 erano stati approvati nel 2011 ed i restanti nel 2012; infine, tutte e 3 le Lauree erano state approvate nel 2013.
L'osservazione dei casi ed i principali risultati
I titoli conseguibili attraverso l'alto apprendistato sono, nonostante condividano questa etichetta comune, di tipo molto diverso tra loro per livello, impianto generale e finalità, struttura didattica. Non è questa la sede per descriverne le rispettive caratteristiche, ma avere chiaro questo aspetto è necessario perché nell'esporre i risultati dell'osservazione dei 15 percorsi dovremo combinare sia elementi comuni a tutti loro sia, per lo stretto necessario, elementi specifici a ciascuno di essi. Va anche detto, sempre a titolo di premessa, che quelli osservati sono stati casi molto selezionati (in positivo) sia rispetto al panorama degli analoghi interventi non-in-apprendistato (e quindi lauree, master e dottorati ordinari) sia rispetto al totale dei percorsi in alto apprendistato attivi sul territorio regionale.
Prima di illustrare i risultati dell'osservazione, vanno evidenziati tre elementi generali che sono importanti per contestualizzare adeguatamente l'esperienza analizzata. Il primo elemento è costituito dal fatto che chi svolge un percorso di alto apprendistato è (ovviamente) un/una apprendista(1) ovvero un lavoratore assunto e come tale considerato da chi lo ha inserito in azienda, in termini di diritti, doveri e aspettative (mentre, come diremo anche più oltre, l'apprendista è anche uno studente, per la parte di completamento del percorso di studi). Il secondo elemento è che la progettazione e realizzazione del singolo percorso in apprendistato si basano sulla necessaria collaborazione tra l'azienda che ha assunto l'apprendista, l'apprendista stesso e l'università (o altro ente di formazione nel caso dei master) che rilascia il titolo finale. Il terzo elemento, cruciale trattandosi di un percorso realizzato prevalentemente in contesto di lavoro ma che porta ad un titolo di studio riconosciuto, si sostanzia in una duplice questione ovvero: la prima, quale combinazione tra ore di lavoro in azienda e ore di attività in università (o equivalente) deve caratterizzare il singolo tipo di percorso (laurea, master, dottorato); la seconda, invece, quanta parte del percorso di studio deve avere svolto il singolo studente prima di poter essere assunto come apprendista in alta formazione (e questo indipendentemente dal fatto che il traguardo sia una laurea, un dottorato di ricerca o un master).
L'analisi dei 15 percorsi rimanda un numero consistente di risultati significativi. In primo luogo, tutti i percorsi, osservati mentre erano in fase di realizzazione, stavano funzionando in maniera generalmente corrispondente alle attese di tutte le parti in gioco (azienda, università o altro ente di formazione, apprendista) le quali ne erano anche complessivamente soddisfatte. In particolare, i percorsi in atto sono emersi come una opportunità per tutti i soggetti coinvolti: per le aziende, in quanto rappresentavano una occasione per disporre e formare direttamente e secondo le proprie esigenze persone inserite precocemente nei propri processi di lavoro nonché, soprattutto per le Piccole e Medie imprese (PMI), per avere la possibilità di impiegare persone con competenze qualificate e non sempre facilmente disponibili sul mercato del lavoro; per le università/enti di formazione e le aziende, in quanto costituivano una opportunità per mantenere, consolidare oppure sviluppare relazioni reciproche; per le università (o altro ente di formazione), in quanto i percorsi in atto si configuravano come un arricchimento mirato della propria offerta; infine, per l'apprendista, in quanto erano una occasione concreta per avere un contratto di lavoro regolare e retribuito finalizzato alla conclusione dei propri studi, per fare una esperienza di lavoro vero prima dei colleghi studenti e per avere la possibilità di costruirsi in anticipo, rispetto alla conclusione degli studi, una prospettiva di lavoro. Infine, un ultimo risultato che merita di essere qui richiamato è l'importanza della dimensione della personalizzazione/individualizzazione dei percorsi, sia dal punto di vista dell'apprendista sia da quello aziendale, una dimensione nella quale risiedeva una quota rilevante del valore aggiunto di ciascun percorso. Accanto a questi risultati comuni, le differenze nei tre tipi di percorsi (5 in realtà, conteggiando le due lauree ed i due livelli di master) ne hanno fatti emergere di specifici per ciascuno. Ad esempio, per le lauree l'impianto generale si è rivelato, almeno nella fase iniziale della sperimentazione, molto rigido e impegnativo per tutte le parti in gioco (apprendista, azienda e università) e ciò perché il titolo finale è ancora concepito come da conseguire prevalentemente attraverso una attività di studio tradizionale (anche se la laurea magistrale in apprendistato è equiparabile ad un super-tirocinio e quindi potrebbe essere valorizzata in questa prospettiva). Per quanto riguarda i Master, è emersa come importante la differenza esistente tra master mono-aziendali (più puntuali e mirati in termini di contenuti e sbocchi) e pluri-aziendali (più ricchi in termini di esperienze e contesti di riferimento). Infine, per i dottorati di ricerca è emerso come imprescindibile il coinvolgimento di aziende che hanno nella ricerca (certo, finalizzata al mercato) una componente strutturale pre-esistente alla attivazione del contratto di apprendistato nonché la novità rappresentata dalla possibilità di una occupazione extra-accademica per i dottori di ricerca (in una congiuntura nella quale la possibilità di carriere in università è molto modesta).
In questo quadro complessivamente favorevole non mancano gli elementi di criticità: la non facile conciliazione, per il singolo apprendista, tra carico di lavoro aziendale e carico di studio, una criticità che riflette la doppia identità dell'apprendista, lavoratore e studente (a questo proposito, nei confronti dell'apprendista università e azienda hanno obiettivi che possono essere resi compatibili ma che sono e rimangono strutturalmente diversi); i tempi di conseguimento del titolo più lunghi rispetto ad un percorso ordinario; la complessità, già accennata, dell'impianto attuativo dei percorsi di laurea (mentre master e dottorati si adattano meglio al modello dell'apprendistato); il rischio del coinvolgimento di una nicchia molto circoscritta di realtà (aziendali ed accademiche) sensibili e lungimiranti per le quali l'occasione dell'alto apprendistato diventa un ulteriore elemento di rinforzo e sviluppo; l'incerto riconoscimento dato all'apprendimento dall'esperienza e quindi ad un contratto, quale l'apprendistato, dove questa componente è centrale (soprattutto in relazione alle lauree mentre, di nuovo, è migliore la situazione relativa ai master ed ai dottorati); infine, l'esperienza ancora troppo legata, negli atenei, a sensibilità ed interessi del singolo docente e, quindi, poco "di sistema".
Conclusioni: alcune (modeste) indicazioni di policy
Dal quadro appena tratteggiato è possibile trarre, dando per acquisito il quadro regolativo formale dell'alto apprendistato, che pure potrà giovarsi di taluni correttivi dettati dall'evoluzione normativa e/o suggeriti dalle evidenze emerse durante la sperimentazione, alcune indicazioni di policy per il consolidamento a livello regionale di questo segmento di apprendistato. La prima, generale, consiste nella conferma, anche in un momento difficile come l'attuale, della centralità del lavoro come esperienza qualificante nel percorso educativo rispetto alla quale tutti sono chiamati a fare la loro parte, nel caso dell'alto apprendistato le aziende, le università (o altri organismi formativi), i potenziali apprendisti nonché, ovviamente, le istituzioni (la Regione in questo caso). La seconda indicazione è quella di adottare l'idea secondo la quale comunque quella dell'alto apprendistato resterà, ancorché più estesa di quanto è stato sinora, una esperienza strutturalmente di nicchia e quantitativamente limitata, ancorché espandibile in connessione con le politiche regionali per la ricerca e l'innovazione. La terza indicazione, operativa, riguarda la opportunità da parte della Regione di attivare un servizio che aiuti a fare incontrare candidati apprendisti, aziende e università/enti di formazione, il tutto per favorire il ricorso a questo tipo di apprendistato anche da parte di aziende (ma anche di atenei/enti di formazione) che "da sole" non ce la farebbero; insieme a questa iniziativa, potrebbe essere utile realizzare una costante, consistente e mirata campagna di sensibilizzazione ed informazione (non di pubblicità) rivolta a tutti i potenziali soggetti interessati. Una ulteriore indicazione è quella di rivisitare, d'intesa con gli atenei, l'impianto dei percorsi di apprendistato finalizzati alla laurea, soprattutto quella triennale di base (mentre i percorsi per la laurea magistrale, in quanto consistenti di fatto in un tirocinio lungo, potrebbero essere utili per dare una risposta a casi/situazioni molto specifiche). Infine, l'ultima indicazione riguarda l'importanza, per il successo del singolo percorso, di riconoscere adeguatamente anche dal punto di vista formale le attività di progettazione del percorso, quelle di accompagnamento e tutoraggio (sul lato sia azienda che ateneo) nonché quelle di comunicazione e di relazione costante tra le parti.
Nota(1) Da ora in avanti parleremo, per economia, di apprendisti al maschile anche se ovviamente in apprendistato ci sono sia uomini che donne