A cura di Marina Penna, Bruna Felici e Roberta Roberto, ENEA
Nelle pagine che seguono sono riassunti alcuni risultati di una ricerca svolta dell’Enea sul telelavoro e il lavoro agile nella pubblica amministrazione, con un breve focus sulla Regione Piemonte. L’indagine è stata svolta nel 2019, prima che il distanziamento fisico per arginare la pandemia da Covid-19 ponesse le condizioni per un ricorso di massa al lavoro a distanza.
E’ stata realizzata somministrando un questionario ai dipendenti di 29 amministrazioni - opportunamente selezionate - che sono stati in telelavoro e/o in lavoro agile negli anni dal 2015 al 2018 e attraverso colloqui, sotto forma di interviste guidate, con i responsabili delle direzioni del Personale.
Rilevante è stato il contributo all’indagine del territorio piemontese. Hanno infatti partecipato la Regione Piemonte, la Città Metropolitana di Torino, il Comune di Torino e l’ARPA Piemonte oltre alle sedi regionali di Enea, ACI, Agenzia delle Entrate, INAIL e INPS.
Hanno risposto al questionario circa 3.400 persone, il 61% degli oltre 5.500 dipendenti complessivamente raggiunti sul territorio nazionale. 591, ovvero il 17% del totale, sono le riposte al questionario raccolte in Piemonte concentrate principalmente nella provincia di Torino (90%).
La mappa che segue illustra la distribuzione, su base provinciale, delle sedi di lavoro e la relativa ripartizione fra i dipendenti in telelavoro (in verde) e in lavoro agile (in rosso) che hanno risposto al questionario.
Figura 1 Distribuzione, su base provinciale, delle sedi di lavoro e percentuali di dipendenti in telelavoro e in lavoro agile
Alcuni chiarimenti sul lavoro agile
Svolgere la propria attività da remoto è una caratteristica del lavoro agile, che deriva dall’autonomia di scelta dei luoghi oltre che dei tempi di lavoro. Questa caratteristica è comune ad altri assetti lavorativi che nulla hanno a che vedere con il lavoro agile. Il più diffuso è senz’altro il telelavoro, introdotto dalla legge 191/98[1], che è stato comunemente inteso come risposta ad esigenze specifiche di conciliazione casa-lavoro e questa caratteristica ha portato spesso a considerarlo una sorta di lavoro di serie B. Diffuso è anche il remote working, la modalità organizzativa adottata da quei liberi professionisti che sono non legati ad una specifico luogo di lavoro.
Il lavoro agile o smart working[2], introdotto dalla legge 81/2017[3] si riferisce a rapporti di lavoro subordinato ispirati ad ampia flessibilità organizzativa. Secondo la sua funzione di elezione, è adottato da aziende e istituzioni, che per scelte correlate alle strategie e allo sviluppo aziendale o dell’azione amministrativa, optano per un’innovazione manageriale della propria organizzazione. Relazioni fiduciarie, responsabilizzazione, autonomia di scelta dei luoghi e dei tempi di lavoro sono ingredienti di un “kit” da personalizzare e regolare attraverso accordi individuali. La flessibilità, in questo contesto, non è un premio per i bravi collaboratori, ma il frutto di un mutamento verso una cultura improntata alla responsabilità individuale che costituisce anche la chiave per il successo della trasformazione e determina le caratteristiche che essa assume. Si tratta di un percorso che richiede una visione di medio-lungo termine e processi di accompagnamento e di formazione dei responsabili e dei dipendenti.
Quello che, in tempo di Covid-19, è stato conosciuto dal grande pubblico come smart working, non è dunque lavoro agile perché privo di alcune componenti sostanziali: strategia e preparazione da parte di aziende e istituzioni, volontarietà dell’adesione e possibilità di scegliere luoghi e tempi in funzione delle esigenze organizzative e personali da parte dei dipendenti. La disciplina del lavoro agile, era quella che meglio si adattava ad arginare i danni del lock-down, consentendo a circa 6 milioni di persone[4] di iniziare ad operare in condizioni di distanziamento fisico nel giro di pochi giorni. Essere catapultati in modo improvvisato in una dimensione di reclusione domestica, ancor più grave per chi ha dovuto anche accudire figli in età scolare, in un clima di grande sofferenza e incertezza collettive, ha comportato ansia, stress e senso di isolamento che sono stati spesso, erroneamente attribuite allo smart working. Non sono poi mancati episodi di abusi nelle richieste di disponibilità, denunciati da molti lavoratori e lavoratrici, che hanno aggravato discriminazioni sociali e di genere, aberrazioni legate all’impreparazione e al diffuso ritardo culturale nella gestione del personale e nell’organizzazione del lavoro. Nulla di tutto ciò ha a che vedere con lo smart working che offre, al contrario, alle persone la possibilità di riprendere il controllo del proprio tempo e delle proprie scelte e di superare molte barriere alla valorizzazione del lavoro femminile.
Descrizione dell’indagine: risultati a confronto
Il questionario somministrato ai dipendenti ha esplorato le modifiche che il lavoro a distanza ha indotto su attività lavorative, relazioni familiari, sfera personale e sugli spostamenti pendolari. Le interviste con i responsabili delle direzioni del Personale hanno invece esplorato le motivazioni che hanno guidato l’introduzione del telelavoro e del lavoro agile, le modalità organizzative adottate, le criticità e i risultati raggiunti.
Nel confronto fra i risultati generali e quelli che riguardano i/le dipendenti dell’area regionale piemontese una significativa differenza emerge nella dimensione demografica, in cui il gruppo appare anagraficamente più maturo rispetto alla media del campione. Dall’analisi delle classi di età, riportata in figura 2, si rileva infatti che la classe più numerosa corrisponde al range 55-59 anni e rappresenta il 25,3%, contro il 17% del campione generale. Tale dato è coerente con le informazioni relative alle caratteristiche dei nuclei familiari: il 45% dichiara la presenza di figli in età scolare, 11 punti percentuali meno rispetto al campione generale, mentre sono più numerosi i nuclei costituiti da 1 o 2 persone (38% contro il 31% del campione generale) suggerendo che si è in presenza di nuclei anagraficamente più maturi.
Figura 2 – Confronto nella distribuzione per classi di età. A sinistra i dati della Regione Piemonte, a destra i dati del campione generale
Le caratteristiche anagrafiche e la composizione dei nuclei familiari risultano strettamente correlati con le motivazioni per la scelta di lavorare a distanza, che assai spesso dipende da esigenze di conciliazione familiare o da motivazioni di carattere personale. E’ quanto emerge dalle risposte raccolte nella sezione dell’indagine che esplora la dimensione motivazionale alla base della scelta del telelavoro e del lavoro agile. Il panorama delle risposte fornite, riportato in figura 3, mostra che, chi ha scelto il telelavoro, lo ha fatto in prevalenza per esigenze di cura personali/familiari, mentre il lavoro agile viene preferito da chi ricerca una maggiore flessibilità di orario e/o autonomia organizzativa nel lavoro.
Figura 3 - Motivazioni della scelta di lavorare a distanza. I dati della Regione Piemonte
Si tratta di un’ulteriore conferma della differenza esistente tra le due modalità di lavoro, prettamente conciliativa nel caso del telelavoro e organizzativa nel lavoro agile.
E’ piuttosto interessante notare che, a differenza del campione generale, il Piemonte presenta una distribuzione più equilibrata tra lavoro agile e telelavoro, rispettivamente il 46% e il 52% delle persone, mentre, sul campione generale, il telelavoro rappresenta l’80% del totale delle esperienze riferite.
L’indagine ha colto la fase in cui, nella percezione degli attori coinvolti, il lavoro da remoto si è trasformato da risposta ad esigenze di conciliazione a modello organizzativo innovativo del lavoro, centrato sulla persona e orientato ai risultati, perdendo il carattere marginale delle origini e candidandosi a diventare un’opportunità, accessibile e di ampio respiro, per realizzare l’auspicata trasformazione della pubblica amministrazione.
In questo passaggio, all’interno delle amministrazioni, si sono via via modificati la percezione e l’atteggiamento, di molti che, costretti a confrontarsi con la necessità di incrementare e utilizzare meglio gli strumenti informatici, di promuovere la formazione interna, di pianificare le attività e, soprattutto, di rivedere i processi, hanno compreso che erano di fronte ad un acceleratore per l’innovazione ed hanno iniziato ad agire guardando al lavoro da remoto come ad una leva di cambiamento.
Nell’esperienza dei dipendenti, è stato colto il sentire diverso fra chi, in stato di necessità, ha accettato condizioni di emarginazioni dal lavoro e dai colleghi, e chi, riappropriandosi del tempo liberato dagli spostamenti quotidiani, ha riscoperto la qualità del proprio tempo e, con esso, la capacità di gestire meglio le attività lavorative e la vita privata.
Anche per quanto riguarda l’ultimo aspetto esplorato, ovvero gli effetti delle scelte organizzative delle amministrazioni e dei dipendenti sul contesto territoriale e ambientale, si sono riscontrate evidenti differenze tra i dipendenti che risiedono nella Regione Piemonte e il resto del campione generale. Dall’analisi della mobilità casa-lavoro, le distanze e i tempi dichiarati per raggiungere il posto di lavoro risultano inferiori rispetto alla media generale: ogni persona percorre, in media, circa 39,7 km e impiega 1h e 5’contro 49 km e 1h e 30’ del campione generale.
Si tratta di differenze rilevanti che trovano espressione anche nella scelta del mezzo di trasporto riassunte in figura 4. La percentuale di chi ha indicato l’automobile come mezzo più utilizzato scende, dal 73% del campione generale al 67% per i dipendenti delle amministrazioni piemontesi. Il trasporto pubblico viene invece utilizzato, in misura maggiore, dal 48% dei piemontesi contro il 38% del campione generale.
Figura 4 - Confronto dell’utilizzo dei mezzi di trasporto nella mobilità casa-lavoro (% di persone che utilizza i mezzi per almeno una parte del percorso). A sinistra i dati della Regione Piemonte
Un’ulteriore conferma di quella che appare una maggiore virtuosità in Piemonte proviene dall’analisi della mobilità multimodale o mobilità che vede la combinazione di più mezzi per realizzare lo spostamento casa-lavoro. Lo scarto evidente tra multimodalità basata sull’utilizzo dei mezzi propri e utilizzo di forme di mobilità sostenibile (mix mobilità dolce e mezzi pubblici) si riduce quando si passa dal campione generale al dato regionale piemontese. In un terzo delle risposte, come riassunto in figura 6, si indica di preferire la combinazione tra mobilità dolce (a piedi/bicicletta) e mezzi pubblici, mentre il mezzo motorizzato viene indicato dal 43% dei piemontesi contro il 55% del campione generale.
Figura 5 - Confronto delle modalità di spostamento multimodale. A sinistra i dati della Regione Piemonte
Nell’analisi delle motivazioni fornite per la scelta del mezzo di spostamento, che per brevità non indichiamo nel dettaglio, i dati regionali mostrano la presenza di alcune specificità. Una di queste, in particolare, si riferisce alla dimensione collettiva rappresentata da una maggiore difficoltà di parcheggio, rispetto al campione generale, che contribuisce a ridurre l’utilizzo del mezzo privato. Le altre motivazioni addotte possono essere ricondotte alle caratteristiche dei nuclei familiari, quale la minore presenza di figli in età scolare, che rende meno necessarie la flessibilità e l’autonomia di movimento offerte dall’automobile.
Policy urbane integrate e progetto Smart Working x Smart Cities
I risultati complessivi dell’indagine mostrano che le percorrenze e le emissioni evitate dal campione generale sono consistenti perché legate a un quadro di consuetudini quotidiane fatto di percorrenze medie e tempi di spostamento elevati e da un esteso ricorso all’uso del mezzo privato. La coerenza di questi modelli di comportamento con quelli delineati dalle statistiche nazionali fornisce solide basi per concepire strumenti per policy urbane integrate straordinariamente efficaci. “Risparmiare traffico”, dimensione “Avoid” della strategia ASI per la mobilità sostenibile (Avoid, Shift, Improve), da sempre marginale nelle analisi del sistema dei trasporti, può assumere un’importanza senza precedenti sotto la spinta di assetti organizzativi del lavoro condivisi e adottati su larga scala. L’elemento di novità non risiede solo nell’evidenza, banale se vogliamo, che fattori abilitanti della dimensione “Avoid” nascono da assetti organizzativi e pratiche estranei all’ambito dei trasporti, ma nel fatto che esistono strumenti di intervento a basso costo, investendo sui quali si ottengono, a cascata, molteplici benefici, tutti operanti nella direzione composita di sostenibilità promossa dall’Agenda 2030. Questi investimenti, una volta portati a regime i meccanismi organizzativi voluti, sono suscettibili di generare, in modo permanente, benessere diffuso e risparmi molto superiori ai costi iniziali.
L’indagine s’inserisce nel più ampio contesto del progetto Enea “Smart Working x Smart Cities”, che propone come misura di smartness di una città la capacità di recuperare e imparare a gestire il complesso contesto di connessioni e relazioni che intercorrono tra i settori della mobilità, dell’energia, dell’ambiente, dell’urbanistica, della cultura, dello sviluppo economico, dell’innovazione, della sicurezza, dell’inclusione sociale e così via. L’attività lavorativa è il più grande bacino di connessioni e relazioni funzionali all’interno di una comunità urbana e per questo è una chiave di volta per innescare il rinnovamento delle logiche di governo delle città. È proprio all’interno di queste connessioni funzionali e gestionali, confinate in zone grigie dalle logiche di governance per competenze, che si creano gli spazi per paradigmi nuovi all’interno dei quali trasformare in risorsa la diversità d’interessi.
La comparazione fra il caso Piemontese e il contesto generale dell’indagine rafforza questa visione. Le scelte di mobilità si modellano sulle caratteristiche, le abitudini e le forme di organizzazione della comunità che popola un territorio. Conoscerle e imparare a interpretarle permette di trovare le risposte corrette ai bisogni rendendo le policy più efficienti e partecipate.
A dispetto dell’età media elevata dei partecipanti e degli stereotipi che generalizzano e deprimono l’immagine dei dipendenti pubblici, le risposte al questionario mostrano la sorprendente “vitalità” di persone che, convinte della bontà della scelta fatta, si sono messe in gioco con curiosità e impegno. La possibilità di un cambiamento è dunque concreta, nel contesto della pubblica amministrazione e nel più ampio contesto sociale. In entrambi i casi, la chiave si rinviene nel cambiare il modo in cui le persone sono considerate, nel metterle al centro, nel lavoro e come cittadini, come membri di una comunità che si riappropria di tempi spazi e decisioni.
Conclusioni
Sperimentare su una scala straordinariamente ampia una forma di lavoro agile, seppure parziale e priva di preparazione, è la chance potente e inaspettata che ci ha offerto l’emergenza Covid-19. Esperienze del tutto nuove, seppur non prive di criticità e difficoltà: nelle modalità di lavoro, nelle relazioni, nelle opportunità di accesso virtuale a luoghi ed eventi geograficamente lontani, nelle condizioni urbane con inquinamento atmosferico assente e calo record delle emissioni di CO2.
Al di là delle diffuse criticità e delle forzature evidenziate nella prima parte dell’articolo, questa esperienza concreta e su ampia scala può segnare un punto di svolta. Il periodo che ci separa dal ritorno ad una situazione di normalità è sufficientemente lungo per progettare e consolidare modalità di lavoro e modelli di comportamento più consapevoli, che si sono dimostrati soddisfacenti e sostenibili. Una grande opportunità per chi saprà coglierla e anche per l’intera collettività se saranno in molti a farlo.
Per coloro che vorranno approfondire, l’indagine è liberamente scaricabile dal link https://www.enea.it/it/seguici/pubblicazioni/edizioni-enea/2020/il-tempo-dello-smart-working
[1] Legge 16 giugno 1998, n. 191, in materia di “Formazione del personale dipendente e di lavoro a distanza nelle Pubbliche Amministrazioni”
[2] I due termini sono utilizzati, nell’articolo, con il medesimo significato.
[3] Legge 22 maggio 2017, n. 81. Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato.
[4] La stima è dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano.