il New Normal in Piemonte

    A cura di Maurizio Maggi, Ires Piemonte

    Il 5 marzo 2020 il governo sospendeva in tutta Italia le attività didattiche al fine di contenere il contagio pandemico. È stata forse la prima misura a dare il senso della gravità dell’emergenza, sia per gli aspetti simbolici (tenere i figli a casa evoca un rischio letale) sia per quelli sostanziali (non ultimo l’impatto sulla vita dei genitori). Le dichiarazioni delle settimane seguenti, mentre la crisi peggiorava, evocavano un futuro dove nulla sarebbe stato come in passato: dalla mobilità alle abitudini di consumo, dal modo di lavorare a quello di spendere il tempo libero.

    Come se un evento disastroso avesse colpito la Terra decretando l’estinzione delle specie fino a quel momento dominanti. Cento giorni dopo quella data, la Relazione annuale IRES smentisce quell’interpretazione: i dinosauri erano in crisi (o in trasformazione) già prima del meteorite e l’evento disastroso ne ha accelerato l’evoluzione.

     

    Dopo il meteorite: come prima ma più in fretta

    Sono molte le dinamiche che la crisi ha accelerato.

    Nuova globalizzazione: la globalizzazione pativa da tempo i conflitti commerciali e il riemergere di zone economiche esclusive. Dall’uscita degli USA dal Trans-Pacific Partnership alle multe incrociate inflitte in Europa o in America a multinazionali come Deutsche Bank, Volkswagen, Google o Apple, erano molti i segnali di crisi del mercato globale. Ora la dipendenza da altre aree (in particolare dalla Cina per la manifattura) ha sottolineato aspetti di fragilità che potrebbero accelerare il fenomeno.

    Mobilità. La micromobilità potrebbe diventare decisiva per garantire distanziamento evitando un massiccio ricorso all’auto. Monopattini e bici a pedalata assistita erano già in crescita prima della crisi ed è presumibile che ciò continui nella mobilità urbana su brevi distanze. Nel 2019 il mercato italiano dell’e-bike era cresciuto del 12,7% con 195.000 unità vendute, e questo dopo un decennio di crescita media del 25% e un totale di circa un milione di bici immesse sul mercato interno[1]. Analoga crescita dei monopattini: appena prima del lockdown nella sola Torino operavano otto società di sharing con un’offerta di 4000 mezzi[2].

    Robotizzazione. È verosimile attendersi l’uso dei robot in ogni mansione non dipendente dalla presenza umana, ma i cambiamenti erano già in corso. Un tempo confinati a pochi settori produttivi, come la produzione di veicoli o l’industria pesante, i “robot collaborativi”, o cobot, sono ormai accessibili anche a imprese medie e piccole. La loro diffusione è cominciata insieme alla crisi industriale del 2008, ma dal 2013 al 2018 le installazioni nel mondo sono cresciute alla media annua del 19% e l’Italia è l’ottava economia con 185 robot ogni 10.000 operai della manifattura[3].

    Lavoro agile. Potrebbe tenere a casa gran parte dei 19 milioni di persone che ogni giorno si muovono per lavoro, facendo risparmiare a ognuno 1,5 ore per ogni giorno di mancato trasferimento[4]. I mobile workers sono destinati a crescere dagli attuali 1,8 milioni fino a 10 milioni[5]. A fine 2019, 570.000 i lavoratori praticavano questa modalità e solo il 2% delle grandi imprese all’epoca l’aveva attivato, mentre l’8% dichiarava di volerlo fare nei 12 mesi successivi. Nelle PMI solo il 12% aveva iniziative strutturate di lavoro agile, ma il 18% lo praticava in modo informale. Era inoltre praticato in oltre il 20% degli enti di P.A. (16% in progetti strutturati e 7% in modo informale)[6]. Tutti questi soggetti prevedevano però una forte crescita del fenomeno.

    E-commerce. Crescerà, anche se per ora si è concentrato su medicinali e alimentari di base. La crescita registrava già tassi a due cifre (+15,8% nel 2019)[7] e localmente costituiva un fattore concorrenziale per il commercio al dettaglio paragonabile a quello esercitato dalla GDO[8].

    Food delivery. Secondo le associazioni di categoria, il settore della ristorazione potrebbe lasciare sul terreno della crisi sanitaria una quota di mercato non recuperabile, a scapito del food delivery. Anche in questo caso va ricordato che il settore delle consegne alimentari a domicilio era in ascesa e misurava oltre 35 miliardi di euro nel mondo e oltre mezzo miliardo in Italia, con tassi di crescita a due cifre già nel 2019.

    Sanità territoriale. Le riforme nazionali e regionali spingono da anni a trasformare gli ospedali in centri per il trattamento della fase acuta della malattia, nel quadro di un sistema connesso con la rete sanitaria territoriale, a sua volta interfacciata con la dimensione socio-assistenziale, sino al domicilio degli assistiti. L’emergenza sanitaria ha rafforzato la spinta verso l’assistenza integrata sia sul fronte della prevenzione e della cura, sia su quello del comparto ospedaliero e territoriale. A livello locale è prevedibile una spinta verso una maggior flessibilità delle organizzazioni sanitarie che gestiscono i servizi: nuove modalità di raccordo tra i servizi sul territorio e quelli ospedalieri, a partire dalle tecnologie per realizzarle e dal personale per attuarle.

    Sostenibilità. Sarebbe un errore ritenerla meno centrale e non solo perché questo virus potrebbe essere nato proprio dalla nostra progressiva violazione di certi limiti ambientali. Ogni grande fase di trasformazione socio-economica ha avuto bisogno di un “centro di gravità” capace di indirizzare gli investimenti, di stimolarli, di organizzarli: la ferrovia, l’elettricità, l’auto, il computer. La transizione verde era e resta il “centro di gravità” più promettente e i paesi più avanzati stanno accelerando su questa strada, che già avevano imboccato. Se la sostenibilità era una cosa saggia prima dell’emergenza, ora è indispensabile (ancor più con 200 miliardi di Recovery Fund e poche idee su come usarli bene).

     

    Le sfide di oggi? Quelle di ieri

    Prima dell’emergenza sanitaria, grandi cambiamenti mettevano a dura prova i sistemi socio-economici e anche politici dei paesi del mondo, e di quelli sviluppati in modo particolare: la sfida demografica, la rivoluzione tecnologica, il cambiamento climatico. A questi se ne affiancavano altri, in parte conseguenza dei primi e in parte con una genesi autonoma: le grandi migrazioni, i nuovi assetti delle relazioni internazionali, l’ineguaglianza e l’inurbamento.

    Questi fenomeni sono ancora ben vivi e si influenzano tra loro, in un contesto complesso e in una scena che abbraccia l’intero pianeta. Le politiche di sviluppo di una regione come il Piemonte sono una piccola cosa in confronto, eppure è in quel contesto che dobbiamo progettare ogni azione e analizzare ogni fenomeno. E di quelle sfide dobbiamo tornare a occuparci, interrogandoci su come stavamo rispondendo, perché è quello il bandolo della matassa che dobbiamo riprendere nel dopo-crisi.

    Come abbiamo gestito la rivoluzione tecnologica: le imprese

    Il livello di innovazione delle imprese è disomogeneo per dimensione e localizzazione geografica: in Italia, la diffusione delle ICT è a livelli “alti” o “molto alti” nel 44,0% delle imprese con almeno 250 addetti e nel 12,2% delle imprese da 10 a 49 addetti. Il grado di utilizzo di internet nelle imprese è il 34,4% nel Sud e il 49,9% nel Nord[9]. Anche in Piemonte la situazione è disomogenea e la crisi del 2008 ha accentuato il divario fra imprese più e meno competitive[10].

    Come abbiamo gestito la rivoluzione tecnologica: il lavoro

    In un bilancio del decennio 2008-2018 nel complesso positivo, la tenuta degli indicatori occupazionali in Piemonte è legata più all’invecchiamento e alla contrazione demografica che al rafforzamento della base produttiva, con una divergenza fra generazioni (a discapito dei giovani) e un’espansione dell’area della sottooccupazione. Più in particolare, il Piemonte è vittima della Low Skill Trap[11]. Anche nel 2019 calano gli occupati con titolo di formazione terziaria (-3000, mentre la popolazione con caratteristiche analoghe cresce, anche se di poco). Fra le conseguenze un’emigrazione giovanile qualificata che accentua il declino demografico. Si espande la sottoccupazione, con percorsi lavorativi frammentati e orari di lavoro meno lunghi (crescita del lavoro part-time involontario, confermata anche per il 2019 con 30.000 full-time in meno e 27.00 part-time in più)[12].

    Come abbiamo gestito la scolarizzazione di massa

    Luci e ombre: livelli di istruzione in Piemonte in crescita, ma il divario con gli altri Paesi europei resta; partecipazione agli studi elevata ma con differenze tra italiani e stranieri; dispersione scolastica esplicita (abbandono) in diminuzione, ma quella implicita mostra divari importanti: uno studente su due la cui famiglia è in difficoltà economiche termina la scuola secondaria di primo grado con conoscenze insufficienti per il successivo ciclo di studi. Resta il ritardo nella percentuale di laureati ma il sistema formativo di terzo livello cresce più che altrove: 10 anni fa gli iscritti all’università erano circa 100mila, oggi sono 120mila; gli iscritti alle istituzioni AFAM sono aumentati del 50%. Aumenta l’attrazione verso gli studenti di altre regioni o paesi. Nel corso dell’ultimo decennio, il Piemonte ha invertito il saldo tra studenti di altre regioni che scelgono i “nostri” atenei e piemontesi che vanno a studiare altrove: nel 2018/19: 22mila studenti piemontesi iscritti in altre regioni e 36mila che “da fuori” hanno scelto il Piemonte[13].

    Come abbiamo gestito la sfida demografica

    Le risposte alla “Ageing society” sono state: contrasto alla denatalità e adattamento all’invecchiamento. Il primo filone di politiche ha prodotto molte dichiarazioni programmatiche, qualche discontinuo intervento a favore delle famiglie con figli e pochi risultati: in Piemonte le nascite sono calate del 20% circa in dieci anni. L’adattamento può concretizzarsi nell migliorare l’assistenza sanitaria e nel creare un ambiente favorevole agli anziani. Qualche risultato sul primo fronte, con il ricorso a badanti e colf da parte delle famiglie[14] e con politiche di assistenza mirate da parte del SSN[15]. Rimane spazio per migliorare l’accessibilità sociale per gli anziani e per valorizzarne le capacità di lavoro e consumo, e sotto vari profili: partecipazione (accesso alle informazioni, edifici accessibili e trasporti pubblici); salute (opportunità di essere fisicamente attivi), formazione continua (diffusione della cultura dell’apprendimento permanente); sicurezza (alloggi e servizi a prezzi accessibili; previdenza), modelli di pensionamento innovativi[16].

    Come abbiamo gestito l’immigrazione

    L’afflusso di immigrati giovani ha dato per un certo tempo l’illusione di rispondere al declino demografico ma non ha prodotto effetti duraturi, dato il sempre più rapido adattamento delle coppie straniere ai parametri di fecondità italiani e gli immigrati giunti fin qui da giovani saranno anziani ben prima che la transizione demografica sia completata. Italia e Piemonte hanno inoltre attratto soprattutto basse qualifiche, come braccianti agricoli, colf e badanti[17]..

    Come abbiamo gestito la domanda di salute

    Uno degli effetti della crescita della speranza di vita è l’aumento di domanda di cure sanitarie. Le malattie croniche, la cui dinamica è legata all’invecchiamento, assorbono infatti una grossa fetta delle risorse dei SSN nei paesi sviluppati: in Italia circa l’80%[18]. La strategia in atto da tempo nei sistemi sanitari è di evitare il più possibile l’ospedalizzazione: in parte contribuendo a diffondere stili di vita che riducano la cronicità e in parte intercettando proattivamente le persone quando le malattie croniche non sono ancora conclamate. Ciò è possibile incrementando e finanziando strutture di prossimità quali gruppi e reti di medici di famiglia, Case della Salute, team infermieristici per l’assistenza a domicilio dei pazienti. Proprio in questa logica, negli ultimi 20 anni pressoché tutti i paesi dell’OCSE hanno ridotto il numero di posti letto e altrettanto è accaduto nelle regioni italiane. In Piemonte la riforma si è sovrapposta temporalmente a una fase finanziaria di specifiche difficoltà e all’esigenza di riduzioni di bilancio imposte dal Piano di rientro. Ne è risultato uno sviluppo solo parziale della “rete territoriale” unito a una contestuale contrazione del personale sanitario e a un avvio dell’implementazione della sanità digitale, ancora agli albori in Piemonte.  L’emergenza sanitaria del Covid-19 ha sottolineato non tanto i limiti di questa riforma quanto il suo ritardo nei tempi di attuazione.

    Un modello decisionale debole

    Alla dimensione e all’urgenza delle sfide fa riscontro una capacità attuativa dei vari livelli di governo non adeguata. I tempi per passare dalla decisione politica di un intervento alla sua realizzazione, non sono compatibili con le necessità e con il ritmo dei cambiamenti cui si deve far fronte. Cosa rallenta il processo? La gestazione nell’elaborazione strategica, la moltiplicazione dei passaggi amministrativi tra i soggetti locali e finanziatori, i tempi di progettazione tecnica delle opere, la carenza di personale tecnico adeguato in molte amministrazioni locali, i costi amministrativi legati alle regole di progettazione comunitarie. Se vogliamo recuperare parte del terreno perduto dobbiamo pensare anche a mettere mano alla filiera decisionale. Nessuna strategia funzionerà se ad attuarla è chiamata una macchina amministrativa e decisionale inadeguata[19]. È una sfida decisiva per tutti, ma per il Piemonte, con i ritardi pregressi e come prima regione del Nord per perdita di PIL a seguito della pandemia[20], lo è un po’ di più.

     

    Per concludere: Il new normal e le sue opportunità

    Il “new normal”, ossia un modo di lavorare, viaggiare, consumare e socializzare, diverso dal passato ma da accettare come permanente e non emergenziale, ha molti elementi in comune con il passato: una buona notizia per il decisore politico. Era già in una situazione invidiabile e rara: importanti risorse pubbliche in arrivo, nessuna responsabilità specifica per il passato (o meglio responsabilità comuni a tutte le parti), diffusa disponibilità delle persone ad accettare scenari nuovi. Ora sa anche di avere a disposizione un ricco patrimonio di conoscenza su punti di forza e di debolezza del nostro sistema che l’emergenza non ha reso obsoleto. Anzi: gli oltre 200 miliardi fra prestiti e aiuti a fondo perduto che il Recovery Fund rende disponibili per l’Italia si tradurranno in benessere e sviluppo solo con buoni progetti attuativi, un sistema decisionale che li metta rapidamente in opera e una strategia che li governi e li selezioni, anche in considerazione delle specificità territoriali. È soprattutto su questo terzo fronte che quel patrimonio di conoscenze assume una nuova e più importante centralità.

     

     

     

    [1] Dati Confindustria-ANCMA

    [2] A titolo di raffronto, le licenze taxi sono 1560

    [3] Dati International Federation of Robotics

    [4] Indagine campionaria “Smart Working X Smart Cities”, ENEA, 2019

    [5] Valerio Mancini, “Smart working and gender gap”, Rome Business School, marzo 2020

    [6] Enea, cit.

    [7] ISTAT, gennaio 2020 su gennaio 2019

    [8] Rapporto di quadrante Nord-Ovest, IRES Piemonte, 2018

    [9] Fonti: ISTAT o EUROSTAT, riportati nei documenti del Confronto partenariale 2021-27 (Open Coesione 21-27)

    [10] IRES Piemonte, La Strategia di specializzazione intelligente del Piemonte: elementi di monitoraggio e valutazione al 2018, dicembre 2018

    [11] Un modello di equilibrio al ribasso fra offerta di competenze e domanda di lavoro, che pur mantenendo relativamente basso il tasso di disoccupazione fa scivolare la qualificazione della forza lavoro e di conseguenza anche le retribuzioni verso i segmenti meno qualificati. Vedi: IRES Piemonte, Piemonte economico sociale 2019, capitolo 2

    [12] La quota di chi ricorre in modo volontario al part time è inoltre in diminuzione: dal 2008 al 2018 passa dal 60% al 37% (vedi IRES, Piemonte economico sociale 2020, capitolo 4)

    [13] Un fenomeno che può continuare con interventi come borse di studio e servizio abitativo e ristorativo, sui quali si gioca sempre più la scelta della sede universitaria.

    [14] Con un aumento del 230% dal 2000, il lavoro domestico in Italia valeva nel 2018 7 miliardi di euro di spesa e occupava circa 860.000 persone[14].  Se nel 2009 i collaboratori familiari erano quasi il triplo dei badanti, nel 2018 la proporzione nel lavoro domestico è quasi 1:1. Il Piemonte è la 5° regione italiana per numero di lavoratori domestici e la 6° per badanti.

    [15] Negli ultimi 15 ani il tasso di ospedalizzazione in Piemonte è diminuito del 30% mentre è raddoppiata l’assistenza domiciliare, con valori finali di poco sopra la media nazionale.

    [16] Esistono esempi incoraggianti di società avanzate, come Germania e Giappone, in cui Grey Economy e Social innovation si sono coniugate con la digitalizzazione della vita sociale, non solo produttiva.

    [17] Siamo l’ultimo paese europeo per quota di alte qualifiche: poco più di un immigrato su otto svolge un lavoro altamente qualificato (13,5%) contro sei su otto nella UE e quasi otto su otto nei paesi OCSE (Fonte: Min. Lavoro e P.S., IX Rapporto annuale. Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia, p. 18)

    [18] Rapporto Osservasalute 2018

    [19] Come ha ricordato il governatore della Banca d’Italia Visco nella relazione di maggio: “Le risorse vanno indirizzate dove si possono ottenere i rendimenti sociali più̀ elevati; per farlo serve un miglioramento continuo e profondo nei servizi pubblici offerti, con le necessarie semplificazioni e con la giusta attribuzione e consapevole assunzione delle responsabilità.”

    [20] Secondo una recente analisi CERVED, il Piemonte perderà il 9,8% del PIL, peggio solo di Basilicata e Abruzzo

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