di Davide Barella e Fiorenzo Ferlaino (IRES Piemonte)
I programmi territoriali integrati di carattere sovracomunale hanno avuto in Piemonte una fase di particolare rilevanza nei due decenni a cavallo del secolo. In quell’arco temporale, idealmente segnato da due grandi crisi economico finanziarie (rispettivamente quella del 1993 e del 2008), sono state promosse (e talora sovrapposte) numerose iniziative, alcune sollecitate dall’alto e altre attivate dal basso. Patti territoriali, programmi integrati d’area (PIA), piani integrati di sviluppo locale (PISL), piani di azione locale (Leader), programmi territoriali integrati (PTI) sono solo alcune delle denominazioni che hanno assunto in quegli anni tali iniziative. Alcune di quelle esperienze si sono esaurite in tempi relativamente brevi (PIA, PISL), altre hanno proceduto nel loro percorso, con fatica (PTI) o con maggior stabilità (Leader).
Nell’ultimo decennio, a queste si è affiancata un’altra esperienza: la Strategia nazionale aree interne (SNAI). Promossa a livello centrale ha dato origine alla sperimentazione di “aree pilota”, di cui alcune nel territorio piemontese. Pur nella loro diversità, tutte queste esperienze poggiano su principi comuni: un’attenzione alle risorse e potenzialità endogene dei territori, il tentativo di porre le basi per forme di programmazione/progettazione sovracomunale, il costante richiamo al principio dell’integrazione variamente declinato (tra settori, tra soggetti, tra fondi, tra livelli di governo, tra aree urbane e rurali). Interrogarsi sull’attualità, le potenzialità e i limiti di questi strumenti pare oggi particolarmente opportuno in vista del decollo della nuova stagione di programmazione dei fondi europei e degli indirizzi programmatici per essa prospettati. Nell’introduzione del Documento Strategico Unitario della Regione si dichiara infatti l’intenzione di sostenere “per la programmazione delle misure maggiormente suscettibili di ricadute territoriali dirette (..) modalità place based con il massimo coinvolgimento degli attori territoriali”. Si propone, a questo proposito, un “dialogo territoriale multilivello, che si prevede di avviare a partire da ambiti territoriali pilota con la predisposizione di specifiche “strategie d’area”, [con] l’ambizione di essere esteso a tutto il territorio regionale e di riguardare, potenzialmente, tutti gli obiettivi di policy che saranno oggetto di programmazione da parte dei Programmi regionali”.
L’articolo di Marco Adamo ricostruisce l’esperienza di Leader in Piemonte. Nel corso dei diversi cicli di programmazioni l’iniziativa ha coinvolto un numero sempre maggiore di amministrazioni locali. Nell’ultima stagione più del 60% dei comuni piemontesi ha partecipato a questa iniziativa che, sotto il profilo finanziario, ha attivato oltre 100 milioni di investimenti (in buona parte destinati a sostenere interventi nel turismo e nello sviluppo e innovazione delle filiere). Un tratto distintivo di Leader risiede nella sua longevità, assicurata in parte da fattori esogeni (i finanziamenti europei) e in parte da fattori endogeni (il consolidamento delle competenze maturate negli anni dai Gruppi di Azione Locale). Un altro elemento importante di questa esperienza riguarda l’attenzione dedicata al suo disegno procedurale e organizzativo, congegnato in modo tale da consentire sia il controllo dei tempi, sia le necessarie risorse finanziarie per attuare gli interventi previsti nei piani di azione locale.
La strategia nazionale aree interne (SNAI), nella sua declinazione piemontese è illustrata da Mario Gobello. Le “aree interne” sono territori significativamente distanti dai centri di offerta dei servizi, in declino demografico e a rischio di spopolamento. Non sono necessariamente aree deboli, poiché spesso ospitano rilevanti risorse culturali (insediamenti archeologici, piccoli musei, ecc.) e ambientali (risorse idriche, boschi, paesaggi naturali, ecc.). Sono invece luoghi cruciali, poiché il loro mancato presidio ha ripercussioni negative sistemiche. A partire dal 2012 è stata avviata una strategia ad hoc, coordinata dal Dipartimento per le Politiche di coesione, per promuovere il rilancio di questi territori, estremamente diversificati tra di loro. In Piemonte sono in corso quattro esperienze (Valli Maira e Grana, Valli dell’Ossola, Valle Bormida, Valli di Lanzo) ed altre saranno individuate nell’ambito della nuova stagione di programmazione. Il modello sotteso alla SNAI è per certi aspetti originale; prevede infatti strategia d’area e programmi di intervento che poggiano su due pilastri distinti: da un lato le iniziative volte al rafforzamento dei servizi essenziali, dall’altro le misure per la valorizzazione delle risorse e lo sviluppo. Tale scelta si ripercuote tuttavia sul percorso decisionale e attuativo poiché richiede, oltre al coinvolgimento di attori locali, una costante interlocuzione tra numerosi soggetti istituzionali e diversi livelli di governo (e la necessità di attivare una pluralità di fonti finanziarie). Se non attentamente governato, tutto ciò può portare ad una dilatazione eccessiva dei tempi di attuazione, con ovvie ripercussioni negative. Il carattere sperimentale delle iniziative promosse dovrebbe tuttavia offrire indicazioni per superare questa criticità. Nel complesso, il meccanismo messo in piedi può avere potenzialità di consolidamento nel tempo, poiché prevede come condizione essenziale l’esplicita costituzione di forme stabili di coordinamento intercomunale (per la gestione associata di funzioni).
La vicenda dei Programmi territoriali Integrati è al centro della riflessione di Massimiliano Granceri Bradaschia. Disegnati sulla base delle lezioni apprese da precedenti esperienze, i PTI rappresentano per diversi aspetti una delle espressioni più mature di questi strumenti. La Regione ha governato con molta attenzione la fase di avvio che si è conclusa nel 2008 con la definizione di 30 PTI alla base dei quali vi erano altrettanto coalizioni composte da amministrazioni comunali che nel complesso coprivano quasi l’intero territorio regionale. Sulla vicenda si sono tuttavia abbattuti gli effetti della crisi economica. I finanziamenti previsti sono stati prima sospesi e poi decurtati in modo significativo. In molti casi le coalizioni sottese ai PTI si sono disunite e frammentate, in altri casi hanno retto, anche se con difficoltà. In tutti i casi il programma è stato portato a termine, seppur rivisto alla luce della nuova situazione. I PTI che hanno retto presentano alcune peculiarità: poggiano su reti di relazioni tra amministrazioni già consolidate in precedenti esperienze, i comuni capofila si sono fatti carico di oneri a beneficio della coalizione, contengono interventi e opere di natura infrastrutturali al servizio dell’intero territorio. Nell’ipotesi di un eventuale rilancio di questa esperienza o di iniziative simili si suggerisce di ragionare in un’ottica di medio lungo periodo che oltrepassi la singola esperienza (sulla falsariga di quanto avvenuto in Leader) ed un maggior coordinamento sia tra i settori regionali che governano tematismi affini, sia tra questi e i governi locali.
Nello stesso periodo in cui i PTI muovevano i primi passi, si svolgevano i lavori che avrebbero poi condotto all’approvazione del Piano Territoriale Regionale (PTR). Tra le due vicende, e più in generale tra programmazione, pianificazione e governo del territorio ci sono molti punti di contatto. Queste tematiche sono affrontate innanzitutto nel contributo di Guido Baschenis, Paola Ester Gastaldi e Giovanni Paludi che si sofferma sul processo di revisione, attualmente in corso, del Piano territoriale regionale. Nonostante il tempo passato dalla sua approvazione originaria (luglio 2011), l’impianto complessivo del piano non sembra richiedere modifiche sostanziali, anche se sarà necessario un ulteriore confronto con la Strategia regionale per lo sviluppo sostenibile. Le sue principali strategie che, nelle intenzioni, dovrebbero sovrintendere e fertilizzare la formazione delle politiche regionali territoriali rimangono confermate. A tal fine si sottolinea tuttavia l’esigenza di un maggior coordinamento orizzontale tra le strutture regionali, affinché si mettano in moto processi di fertilizzazione reciproca tra le diverse politiche settoriali. Richiamando le significative ricadute territoriali associate al Piano Nazionale Ripresa e Resilienza il contributo si sofferma sulla (saggia) scelta di provvedere ad un rafforzamento delle capacità e delle competenze a disposizione degli enti territoriali coinvolti nell’attuazione nei progetti del PNRR (affiancando personale ad hoc alle strutture esistenti). Si tratta di un elemento troppo spesso trascurato che ha invece una rilevanza fondamentale sul decorso delle politiche di sviluppo, in particolar modo nella nostra realtà regionale composta in prevalenza da comuni di piccole dimensione con apparati tecnico amministrativi assai ridotti.
Il contributo di Giuseppe Dematteis mette a fuoco una componente fondamentale del PTR: gli Ambiti di Integrazione Territoriali (AIT), richiamati anche nell’articolo di Baschenis e colleghi. Pensati come aggregazioni intercomunali stabili di soggetti privati e pubblici che potevano contribuire a realizzare gli obiettivi del PTR, gli AIT erano (e sono) concepiti come attori collettivi (o come coalizioni di attori) in grado di conoscere e mettere a valore il capitale territoriale locale e di agire come protagonisti di progettualità e di programmi di sviluppo locale. A termine di un’approfondita analisi, il PTR disegnava una geografia regionale composta di 33 AIT che tuttavia ha trovato una conferma solo parziale nelle successive esperienze di programmazione territoriale integrata (Leader, PTI e Aree interne). La presenza di geografie diverse non è tuttavia da interpretare negativamente. È probabilmente riconducibile ad un tema più generale per cui tra il disegno di una politica e la sua attuazione si registra quasi sempre uno scarto. In ogni caso ciò non mette necessariamente in discussione l’esigenza di individuare un opportuno ambito territoriale- che sia al tempo stesso di livello sovracomunale e sub provinciale, secondo la tassonomia europea i cosiddetti Local Administrative Units (LAUs) - quale contesto in cui elaborare progettualità condivise e programmi di sviluppo territoriale ma anche entro cui orientare l’offerta dei servizi pubblici di livello intercomunale.