di Giuseppe Costa (DSCB Università di Torino e ASL TO3 SCaDU Servizio di Epidemiologia)[1]
La missione 6 del PNRR riguarda investimenti strutturali e di processo che la programmazione nazionale sta disciplinando tramite standard per ospedali di comunità, case della comunità e centrali operative territoriali; standard che a loro volta le Regioni stanno trasferendo nella programmazione applicativa nelle aziende sanitarie.
In molti è viva la preoccupazione che questi investimenti strutturali non siano capaci di promuovere anche nuovi contenuti per la sanità territoriale, in termini di salute più ricca e giusta, livelli di assistenza più coordinati e integrati, più sanità di iniziativa e di prossimità, più efficienza nei processi, migliore cooperazione tra politiche locali rilevanti per la prevenzione e la cura, e maggiore partecipazione di tutti gli attori della comunità locale.
I riferimenti teorici per queste innovazioni di contenuto e processo sono stati ben elaborati nel modello di Integrated Community Care (ICC), sviluppato dal progetto internazionale Transform, voluto da un gruppo di fondazioni bancarie, con un ruolo importante di Compagnia di San Paolo per l’Italia[1]. Il modello di ICC a cui si potrebbe tendere con il PNRR si caratterizza per alcune cifre distintive di seguito riassunte.
La comunità per la salute che vorremmo
Il sistema deve essere centrato sul valore di benessere e salute da creare per le persone in modo proporzionale al bisogno. Un bisogno che va cercato attivamente tramite una lettura plurale e corale del territorio e dei suoi bisogni da parte delle persone che ne diventano così protagoniste. Questo requisito definisce quindi la metrica di programmazione e valutazione del sistema, che è la salute, misurabile attraverso indicatori specifici, da distribuire nella popolazione nel modo più equo possibile.
La ricerca dei bisogni e delle soluzioni (a loro volta basate su prove di efficacia) persegue un approccio di iniziativa e non di attesa: questo requisito richiede un atteggiamento di ricerca attiva/anticipazione dei rischi e dei bisogni e di relativa presa in carico secondo gli indirizzi delle linee guida, contestualizzate in percorsi specifici per il territorio, pensati per rispondere anche a chi è in condizione di maggiore vulnerabilità sociale, seguendo una logica di capacitazione e generazione di autonomia.
Tutti gli attori del territorio concorrono a questo scopo, quelli dei servizi pubblici e convenzionati, dei servizi sanitari e sociali, degli enti locali, come gli attori del privato produttivo e sociale, orientando i loro stili di impresa (privato) o di management (pubblico) in modo intersettoriale e multilivello.
Le soluzioni introdotte dalle innovazioni nascono da un processo di ricerca-azione in cui tutti questi attori imparano valutando cosa funziona meglio, partendo dalla esperienza e dal confronto, configurando in questo modo un governo che è al tempo stesso orizzontale, perché aperto a tutti i contributi, e competente, perché capace di apprendere dai dati dell’esperienza. Le soluzioni introdotte devono poi essere sostenibili, cioè devono funzionare nell’ordinario e non solo nei progetti sperimentali.
In questo modo nel territorio si fa crescere anche il capitale sociale, cioè una speciale capacità di generare nuove risorse e funzionamenti nelle persone della comunità, attraverso nuovi linguaggi, culture e meccanismi di governance i cui benefici possono andare oltre quelli di salute per cui l’innovazione nasce.
Le case della comunità saranno il luogo, l’occasione, il simbolo di questa trasformazione a cui gli attuali servizi del territorio nei vari luoghi in cui operano e gli attuali attori della comunità sono chiamati a partecipare come agenti del cambiamento.
Un meta PDTA[2] ampio e flessibile per la cronicità
Cosa devono fare (e cosa non debbono fare) questi attori per tendere a questo modello, rinnovando i luoghi delle cure sanitarie e sociali e della prevenzione, il loro ruolo e le loro competenze, compresi gli strumenti di loro responsabilità?
Seguendo le priorità del Piano Cronicità e del Piano Prevenzione, occorre progettare e implementare un meta PDTA per le malattie croniche e la non autosufficienza che si preoccupi di disciplinare con procedure tecniche di provata efficacia tutta la piramide del fabbisogno (dalla prevenzione alla autocura, alla presa in carico e cura di ogni importante malattia cronica, alla presa in carico della multi-morbosità e fragilità). Questo meta PDTA deve integrare:
il contributo di base e specialistico di ogni figura professionale in processi regolati e condivisi nelle responsabilità; deve integrare la responsabilità sanitaria con quella sociale e delle altre politiche locali; deve attivare relazioni orizzontali di cooperazione e responsabilità con tutte le risorse per la salute che sono mobilitabili nella comunità e nel territorio, per farli diventare una comunità e un territorio che curano; deve investire sui nuovi formati e processi stabiliti da una figura competente nel disegnare i serviziper dematerializzare e semplificare processi e prodotti intorno al fascicolo elettronico e alla telemedicina; deve imparare ad apprendere dalla propria esperienza attraverso un sistema di valutazione continuo e una metrica di misura dei prodotti e dei risultati. Questo impegno deve riguardare le principali malattie croniche e le limitazioni funzionali e la loro integrazione reciproca nel meta PDTA, in un approccio di medicina di iniziativa che sia fatto su misura della stratificazione del rischio, per ottimizzare le capacità e competenze di prevenzione, autocura, aderenza a linee guida fino al piano di assistenza individuale per la gestione della fragilità.
Per questo traguardo oltre al luogo della Casa della Comunità occorrono alcuni prerequisiti, come una infrastruttura informativa, un modello utile per la stratificazione del rischio e per il monitoraggio degli indicatori di processo e risultato dei PDTA, una funzione di raccordo e capacitazione come l’Infermiere di Famiglia e Comunità, un meccanismo di ricerca azione che permette di apprendere dalle esperienze.
Per ognuna di queste innovazioni i territori possono contare già su esperienze esemplari che hanno coinvolto molti attori dentro e fuori la sanità locale. Serve un investimento iniziale di ingaggio, armonizzazione e arricchimento di competenze attraverso formazione, accompagnamento, valutazione, meccanismi incentivanti per allargare sempre di più la comunità degli agenti che conoscono e possono moltiplicare queste linee di cambiamento, motivandoli attraverso miglioramenti che li riguardano da vicino. Però serve anche un filo rosso che permetta di far convergere l’impegno di tutti verso i risultati su una salute più ricca ed equa.
Una metrica di salute per le Case della Comunità nella ASL TO3
Il traguardo di un benessere più abbondante e giusto nella comunità dipende dalle scelte che ogni attore deve fare nel suo settore di competenza, sanitario e non sanitario. Ognuno di questi settori si prefigge risultati di promozione e salvaguardia del benessere (l’esito ultimo degli sforzi delle politiche pubbliche) che si misurano su metriche spesso tra loro non comunicanti, con la conseguenza che proprio uno dei requisiti della Casa della Comunità che è la condivisione della responsabilità tra settori diversi non si riesce a realizzare per carenza di una metrica comune di comunicazione tra i settori.
In questo contesto la salute ha molte ragioni per candidarsi ad essere una delle metriche più utili per far dialogare i diversi settori, perché tra tutte le dimensioni del benessere quella della salute è la più analiticamente rilevata in tutta la popolazione in modo continuo nel tempo, e perché è quella trasversalmente sensibile all’influenza di tutti i settori come insegna l’approccio di “Health in All Policies”.
Del resto proprio nella recente pandemia si è dimostrato come tutte le scelte quotidiane della società (dal tempo libero, alla scuola, al lavoro, ai trasporti) venissero influenzate dai bollettini sull’andamento dei contagi e delle conseguenze della malattia; questa primogenitura della salute come metrica su cui misurare le scelte di tutte le politiche è un lascito che la pandemia consegna al senso comune e che va valorizzata. Questa metrica diventa ancora più eloquente quando la si declina lungo l’asse delle disuguaglianze sociali e geografiche perché la salute disuguale sta a rivelare se qualcuno ha fatto meglio di qualcun altro, dimostrando così che si può fare e dando una misura del potenziale di miglioramento che ogni azione può guadagnare in termini di benessere.
Questa metrica è anche quella che la nuova economia e finanza di impatto si aspettano di maneggiare per fare scelte ben informate di priorità di investimento ex ante e valutarne l’impatto ex post. È così che alcuni progetti pilota di Case della Comunità si stanno costruendo intorno ad un filo rosso della metrica di salute ed equità.
La tesi di queste esperienze è che tutti gli attori devono misurarsi con le differenze nei bisogni di salute prioritari della Casa della Comunità, la cui evidenza serve ad attivare processi di audit clinico ed organizzativo, dove tutti i partecipanti sono chiamati a cercare cause evitabili e alla loro portata, la cui soluzione dovrà diventare la prima occasione di costruzione del nuovo modello di assistenza territoriale. In questi esperimenti i bisogni prioritari vengono scelti tra quelli identificati da tre categorie di indicatori:
- le disuguaglianze territoriali e sociali in incidenza, prevalenza e mortalità nelle principali malattie croniche (che corrispondono ai traguardi del profilo di salute del PNP-Piano Locale di Prevenzione);
- le disuguaglianze territoriali e sociali in esiti dell’assistenza (traguardo del programma di valutazione degli esiti PREVALE)[3];
- le disuguaglianze territoriali e sociali nella ripresa di un equo accesso a prestazioni e interventi dopo la pandemia (traguardo del programma MIMICO)[4].
Se si trovano disuguaglianze statisticamente significative in ognuno di questi programmi, allora significa che ci sono luoghi o persone che fanno meglio di altri in termini di salute e di accesso e risultati delle cure; se è così, significa che c’è spazio per un miglioramento a patto che si identifichino i meccanismi attraverso cui si generano queste disuguaglianze, sapendo che dietro ad ogni meccanismo ci sono responsabilità che, ben identificate e coinvolte, diventano partner di azioni di cambiamento orientate a creare valore di salute più uguale per le persone. Per ognuna di queste disuguaglianze occorre innescare processi di audit in cui partecipano tutti i soggetti della comunità che ne possano avere responsabilità: investigare insieme meccanismi e azioni di correzione deve diventare obiettivo prioritario del sistema di incentivazione e sanzione della organizzazione per mettere in moto il processo.
A questo punto tutte le leve di innovazione del PNRR si mettono in moto verso questo traguardo comune: ridefinire e implementare le nuove procedure tecniche (PDTA), centrate sui pazienti bersaglio (stratificazione del rischio e infrastruttura informativa in sviluppo attraverso la Centrale Operativa Territoriale COT), con l’ausilio della funzione dell’IFeC nell’attivazione e raccordo tra le responsabilità e le risorse dei servizi e della comunità, e valorizzando l’impulso logistico e simbolico che il nuovo luogo delle cure Casa della Comunità può rappresentare in questo processo.
La metrica del diabete disuguale nel piano cronicità locale di Torino
L’ASL Città di Torino ha incominciato la sua programmazione del Piano Locale Cronicità prestando particolare attenzione alla distribuzione disuguale del diabete[5]. L’incidenza del diabete (figura di destra) si concentra nelle zone più povere della città; infatti la distribuzione sociale è fortemente a sfavore delle persone meno istruite. Viceversa la letalità tra i diabetici è distribuita in modo casuale nella città senza nessuna evidente disuguaglianza tra più o meno istruiti. La conclusione è che i torinesi si ammalano in modo disuguale di diabete ma una volta diagnosticati il corso della loro malattia è uguale. Dunque se si vuole guadagnare salute si deve intervenire soprattutto sui meccanismi che generano nuovi casi di diabete (incidenza), e non si deve disinvestire sui meccanismi con cui si prende in carico e si tratta la malattia che invece funzionano in modo equo. È così che questa metrica di salute disuguale è capace di ingaggiare ognuno degli attori della comunità locale guidando le domande che si fanno per prevenire le disuguaglianze di incidenza e conservare o migliorare le uguaglianze di cura e risultato.
Figura 1. Disuguaglianze in come ci si ammala e in come ci si cura
Fonte: R. Gnavi et Al, in Epidemiologia e Prevenzione, 2020.
In effetti una comunità di pratiche si sta organizzando alle Vallette, uno dei quartieri più colpiti, per interrogarsi sui meccanismi di generazione di questo diabete disuguale, quelli che originano dallo svantaggio individuale (“chi sei”, misurato dal livello di istruzione nella figura 2) o dallo svantaggio del contesto di vita (“dove stai”, descritto dalla mappa). Ognuno dei meccanismi identificati è un potenziale punto di ingresso per le azioni di risposta, come quelle su cui si stanno interrogando gli attori della comunità di pratiche, dalla bocciofila che prova a spingere i soggetti a rischio a controllare la glicemia, alle scuole che promuovono attività fisica per la prevenzione dell’obesità disuguale, agli specialisti e medici di medicina generale che allargano la platea dei pazienti seguiti in modo attivo secondo le linee guida.
Figura 2. Da dove nascono queste disuguaglianze?
Fonte: Elaborazione dell’Autore da F. Diderichsen, T. Evans, M. Whitehead, 2001
Conclusioni
L’innovazione si innesca più facilmente se c’è una narrazione che coinvolge le responsabilità degli stakeholder: le differenze geografiche e sociali nei bisogni e nei rischi sono una buona metrica per ingaggiare l’attenzione degli attori “a Torino, ci si chiede, perché a Vallette ci dovrebbe essere il doppio dei diabetici che a Borgo Po?”.
L’epidemiologia è in grado di tracciare un profilo dei bisogni e dei rischi secondo le differenze geografiche e sociali della popolazione delle ASL.
Tutti gli attori della innovazione dovrebbero essere coinvolti a chiedersi perché ci sono queste differenze (colpa di sanità e di altre politiche e condizioni?) e se loro possono farci qualcosa, o direttamente nell’ambito del programma di innovazione territoriale, o indirettamente come advocacy verso i decisori di altri settori delle politiche.
I cambiamenti introdotti devono dimostrare di creare valore (salute, soddisfazione e accesso) in modo equo, è così che torna la stessa metrica di sopra come metrica di apprendimento e valutazione dalle conseguenze delle azioni intraprese.
Si tratta di una metrica di grande interesse per gli investitori (attenti alla social impact economy): dalla Commissione Europea, agli enti filantropici (fondazioni), ai grandi investitori privati, tutti interessati alla misurabilità dell’impatto sul benessere-salute come misura di impatto sociale.
Parole chiave: metrica, salute, disuguaglianze
Abstract
Gli investimenti strutturali previsti dalla Missione 6 del PNRR saranno capaci di promuovere anche nuovi contenuti per la sanità territoriale, in termini di salute più ricca e giusta, livelli di assistenza più coordinati e integrati, più sanità di iniziativa e di prossimità, più efficienza nei processi, migliore cooperazione tra politiche locali rilevanti per la prevenzione e la cura, e maggiore partecipazione di tutti gli attori della comunità locale? Partendo da specifici riferimenti teorici si descrive il modello a cui si potrebbe tendere con il PNRR. Dall’epidemiologia per tracciare il profilo dei bisogni e dei rischi, al coinvolgimento degli attori della innovazione, al ruolo di ciascuno di essi, il contributo evidenzia come i cambiamenti introdotti devono dimostrare di creare valore in modo equo, secondo una metrica di apprendimento e valutazione dalle conseguenze delle azioni intraprese.
[1] Transform (transform-integratedcommunitycare.com).
[2] Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali
[3] Servizio di Epidemiologia - Programma Regionale Valutazione degli Esiti degli Interventi Sanitari 2018.
[4] Servizio di Epidemiologia - Impatto del Covid sulla qualità dell’assistenza: il contributo degli indicatori PNE.
[5] L’epidemiologia a supporto delle priorità di intervento: il caso del diabete a Torino, Epidemiologia & Prevenzione (epiprev.it).
[1] Questo documento è il risultato di due esperienze pilota che stanno usando la metrica della salute disuguale per indirizzare le innovazioni del PNRR e del Piano Cronicità, rispettivamente nella ASL TO3 e nella ASL Città di Torino.