di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. (Agenzia Piemonte Lavoro)
C’è un filo conduttore tra il Sostegno Inclusione Attiva (SIA), il Reddito di Inclusione (ReI) ed il Reddito di Cittadinanza (RdC): la valutazione multidimensionale del bisogno del nucleo famigliare e la costruzione da parte di un’Equipe Multidisciplinare (la cui composizione base prevede la presenza di un operatore del sociale e di uno dei CPI) di un progetto per l’attivazione di interventi condivisi con i beneficiari che si impegnano ad adottare comportamenti virtuosi nell’ambito della ricerca attiva di lavoro, della partecipazione a progetti di inclusione lavorativa e di adesione a percorsi specialistici.
Nel 2016 la Regione Piemonte – Direzione Coesione Sociale e l'Agenzia Piemonte Lavoro in funzione del ruolo di coordinamento dei Centri per l’Impiego piemontesi[1] hanno siglato un Protocollo d‘intesa per la costituzione di una rete regionale permanente tra i Centri per l’impiego e i Servizi sociali degli Enti gestori delle funzioni socio assistenziali della Regione Piemonte[2], mirata alla collaborazione e cooperazione strutturata per la gestione dei soggetti beneficiari del SIA, rete poi prorogata per la gestione del ReI e confermata per la gestione degli utenti beneficiari del Reddito di Cittadinanza[3].
L’obiettivo principale del protocollo è la costituzione di una Rete permanente tra i Servizi Sociali ed i Centri per l’Impiego (CPI) in tutti gli Ambiti Territoriali[4] attraverso un’Equipe Multidisciplinare di base ed un coordinamento regionale tra i due settori –Lavoro e Coesione sociale- al fine di consentire una governance di sviluppo e mantenimento di un sistema coordinato di interventi di inclusione sociale e lavorativa.
Lo scopo della Rete è quello di coordinare le attività dei Servizi al fine di promuovere una presa in carico dei nuclei familiari interessati nell’ottica di un miglioramento del benessere della famiglia e della predisposizione di interventi che possano favorire l’uscita dalla povertà. L’Equipe Multidisciplinare (EM) è formata da un operatore dei servizi sociali ed uno dei CpI che, tenendo conto dei bisogni e delle potenzialità dei destinatari, può essere ampliata attraverso il coinvolgimento di altre figure professionali onde poter attivare un sistema coordinato di interventi di inclusione sociale e lavorativa.
Il protocollo regionale sottolinea inoltre l’importanza di ampliare l’accordo attraverso la sottoscrizione di Patti territoriali utili a non disperdere le diverse esperienze e ad allargare, laddove possibile, la platea degli interlocutori e degli stakeholder. L'approccio multidisciplinare, inoltre, prevede il coordinamento di tutte queste linee di collaborazione che spesso non dialogano direttamente.
Nelle diverse realtà piemontesi sono stati siglati Patti territoriali, che hanno avuto la funzione di formalizzare alcune reti informali, partendo dalle diverse forme di collaborazione già presenti fra servizi sociali e CPI, consolidate soprattutto in riferimento al lavoro sul collocamento mirato, che coinvolgevano anche le istituzioni scolastiche e la formazione professionale. Tali accordi consistono nella formalizzazione di modelli organizzativi partecipativi in cui ogni soggetto interviene apportando il proprio contributo sulla base delle proprie funzioni e competenze. Il modello piemontese prevede la costituzione di un gruppo di progettazione che, oltre agli attori istituzionali, coinvolge gli stakeholder che si occupano del “sociale” e che sono in grado di mettere in campo risorse per supportare le famiglie in difficoltà.
Tra gli obiettivi previsti si possono annoverare il:
- favorire l’accesso dei destinatari alle misure di inclusione attiva, secondo un approccio in rete;
- supportare il funzionamento dei Servizi nella presa in carico multidisciplinare;
- riequilibrare le disparità sul territorio, secondo un approccio di “Welfare di comunità e prossimità”;
- rilevare i fabbisogni, monitorare e valutare gli interventi.
Alcuni Ambiti hanno proposto la costituzione di un “Polo” prevedendo, in fase di progettazione PON, la destinazione di risorse utili per la costituzione di una Cabina di Regia e per la costruzione di un raccordo attraverso il Patto Territoriale per la definizione di un “Patto per il sociale”.[5]
In assenza delle condizioni utili alla definizione di un percorso finalizzato al lavoro, gli Ambiti si prefiggono di dare priorità ad un eventuale percorsi terapeutici, a progetti di sostegno alla genitorialità e di supporto alla conciliazione famiglia/lavoro, a lavori di pubblica utilità e, se il profilo di occupabilità è basso, a percorsi formativi di qualificazione, di supporto alla ricerca attiva e di definizione di percorsi di tirocinio finalizzati all’inserimento nel mondo del lavoro.
In tema di sinergie interistituzionali e rapporti di rete si possono esprimere diverse esperienze positive realizzate in diversi territori, sia rispetto ad interventi in campo di politiche sociali che di politiche del lavoro.
Si segnalano le esperienze in ambito sociale derivanti dall’applicazione della L.328/2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” ed in particolare la programmazione a livello locale di Piani di Zona che ha portato alla costituzione, per ogni contesto territoriale, di Gruppi di Lavoro finalizzati ad analizzare, approfondire e presentare delle proposte su determinate linee di intervento in tema di minori, giovani, adulti, disabili e anziani. La composizione dei Gruppi di Lavoro, a guida degli Enti gestori dei servizi socio assistenziali, è stata variegata a seconda del contesto locale e del tema in oggetto; la condivisione delle scelte e delle politiche di intervento in questo caso ha permesso una forte partecipazione degli attori presenti sul territorio a partire dalle parti sociali, i comuni, i Centri per l’Impiego e la componente legata al mondo del terzo settore e dell’associazionismo.
I risultati sono stati differenti a seconda dei contesti e della composizione dei Gruppi di Lavoro, in ogni caso è evidente come il fattore rete e l’apertura al confronto e alla collaborazione abbiano fornito elementi di contributo ai risultati delle programmazioni proposte.
Rispetto agli interventi di Politica Attiva del Lavoro, realizzati dal sistema pubblico attraverso la rete dei Centri per l’Impiego, si sottolineano gli ampi spazi di collaborazione tra gli ambiti lavoristici, sociali, dell’istruzione e della formazione professionale che a livello locale sono diventate prassi consolidate.
All’ambito sociale nella programmazione dei Piani di Zona Locali si allineano interventi ordinari in tema di progettazione su casi sociali, interventi di ricollocazione, azioni integrate sull’assistenza familiare, interventi di orientamento e un forte raccordo sugli interventi in tema di disabilità finalizzati all’inserimento lavorativo[6].
Inoltre, sono nate diverse collaborazioni dirette con i Comuni[7], con il Terzo Settore, con le Associazioni di categoria ed i Servizi Sanitari[8].
Le collaborazioni sono state connesse a specifici interventi progettuali finanziati nell’ambito del sistema pubblico[9] e privato[10] ed è stato possibile attivare interventi comuni, attraverso l’apporto delle diverse competenze dei soggetti interessati, la creazione di “Sportelli di mediazione”, la costruzione di “Progetti di inserimento lavorativo personalizzati”, interventi di “Orientamento specialistico”, “Servizi di accompagnamento al lavoro” e “Tutoraggio”.
Il Settore lavoro, le Amministrazioni Comunali e gli Enti gestori hanno definito dei “Protocolli” di intesa per interventi mirati, per i progetti condivisi sui cantieri di lavoro, per i servizi specialistici di consulenza e recruitment in caso di nuovi insediamenti produttivi. Tale esperienza potrà essere sicuramente utile nella predisposizione dei Progetti di Utilità Collettiva (PUC) che dovranno essere attivati a breve per i beneficiari del RdC.
Abbinando gli ambiti lavoro e sociale è possibile esprimere alcune considerazioni rispetto alla sinergia e alla condivisione di risorse, professionalità e politiche.
La necessità di attuare una politica di fusione coerente delle logiche sociali, formative e occupazionali, ha vistola trasformazione degli ambiti territoriali in luoghi di elaborazione, realizzazione e sviluppo di sistemi coordinati di interventi e servizi.
La logica di intervento aperto ha fatto emergere alcuni aspetti che possiamo evidenziare come punti di forza:
- la capacità di lavorare in sinergia dei diversi soggetti pubblici e privati chiamati a concorrere alla programmazione, realizzazione e valutazione degli interventi cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo e da altri fonti di finanziamento;
- la possibilità di attivare una valutazione multidimensionale dei bisognidei beneficiari ed un’analisi più articolata verso il nucleo familiare nel suo complesso;
- la promozione di accordi di collaborazione in rete con le amministrazioni competenti sul territorio in materia di politiche occupazionali attive e passive, tutela della salute e istruzione, nonché con soggetti privati attivi nell’ambito degli interventi di contrasto alla povertà, con particolare riferimento agli enti non profit;
- l’avviamento di flussi informativi efficaci fra i diversi attori territoriali;
- la messa in atto di interventi e servizi per l’Inclusione Attiva, l’Orientamento al lavoro, l’Assistenza educativa e formativa con l’integrazione in rete delle filiere amministrative;
- la promozione dell’innovazione sociale e della complementarietà delle risorse private e del terzo settore rispetto all’azione pubblica, valorizzando le esperienze territoriali (e in questo senso il ruolo che stanno acquisendo in misura sempre più significativa le Fondazioni bancarie).
A fronte dei futuri scenari di probabile aumento delle fasce di fragilità delle persone a causa del periodo di emergenza sanitaria COVID-19, si ritiene che l’esperienza piemontese di collaborazione in rete tra gli stakeholder del territorio, e soprattutto tra i servizi sociali e i CPI, possano essere considerati come modelli di attivazione delle sinergie e delle risorse a supporto delle politiche in favore dei target più deboli della popolazione.
Note
[1]L.R. n.23 del 29/10/2015 art. 16 e L.R. n. 26 del 22/12/2015 art. 57prevedono che la competenza dei CPI transiti dalle Province alla Regione Piemonte che conferisce delega di coordinamento e gestione all’Agenzia Piemonte Lavoro
[2]approvato con D.D. n. 813 del 16/11/2016 della Direzione Coesione Sociale
[3]D.G.R. N. 142-9049 del 16 maggio 2019 di approvazione del primo atto di indirizzo regionale a livello sperimentale per la gestione a livello generale delle fasi di accoglienza e presa in carico dei beneficiari del RdC, che rinvia a successivi protocolli operativi tra gli enti interessati per la definizione delle modalità organizzative e procedurali necessarie
[4] In Piemonte si contano 30 ambiti territoriali della coesione sociale, individuati come perimetri territoriali corrispondenti a quello dei distretti sanitari, con D.G.R. 29-3257 del 9/5/2016 “Legge 28/12/2015 n. 308, co. 387. Misura di contrasto alle povertà SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva). Individuazione Ambiti Territoriali”
[5]Il Patto per il Sociale prende avvio nel 2015 con l'intento di avviare un percorso partecipato con i territori, al fine di costruire, tramite le necessità da loro esposte, un programma delle politiche sociali che partisse dalle comunità stesse, per coinvolgere una pluralità di attori territoriali, in una logica di reciprocità e di corresponsabilità. In questa prima fase vengono avviati così degli incontri in ogni Provincia, con l’obiettivo di costituire dei tavoli di lavoro in merito a 4 ambiti delle Politiche Sociali: integrazione socio-sanitaria, contrasto alla povertà e inclusione sociale, politiche di sostegno alle responsabilità familiari, sportelli di accesso alla rete dei servizi territoriali
[7]sportello unico delle attività produttive, uffici lavoro
[8]Servizi Tossicodipendenza-Alcologia e Centri di Salute Mentale
[9]FSE, Fondi Nazionali, Fondi Regionali
Parole chiave: lavoro, attivazione, valutazione multidisciplinare