Giovani Neet. Le risposte del territorio, il caso di Torino

    Fabrizio Floris (Università di Torino)

    In Italia ci sono 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano li chiamano neet (Not in Education, Employment or Training) e hanno un’età compresa tra i 15 e i 29 anni, non sono un tutto omogeneo: sono i giovani scoraggiati che hanno rinunciato a cercare un lavoro, in particolare, a destare allarme sociale. Il progetto Su la Testa! promosso dal Comune di Torino e rivolto ai giovani Neet prende in considerazione obiettivi e ambiti tematici non esclusivamente riferiti alla questione dell’occupazione e della ricerca lavoro (seppur fondamentale) ma anche la formazione, il volontariato, il tempo libero: occasioni di socialità e dinamismo.

    In Italia ci sono 2 milioni di giovani che non studiano e non lavorano li chiamano neet (Not in Education, Employment or Training) e hanno un’età compresa tra i 15 e i 29 anni, non costituiscono un universo omogeneo: vi sono disoccupati di lungo periodo; disoccupati di breve periodo; persone in attesa di essere reinserite in percorsi formativi o lavorativi; persone indisponibili a studiare o lavorare; giovani con responsabilità famigliari; giovani scoraggiati che hanno rinunciato a cercare un lavoro. E sono questi ultimi in particolare a destare allarme sociale perché in sé stessi contraddicono le caratteristiche dell’essere giovani: le facce sono giovani, ma il vissuto è fatto di stanchezza, apatia, passato. Non sono sconvolti, non sono violenti, non sono aggressivi, sono stanchi, “vecchi”, ammorbati come corpi flaccidi. Il loro è un problema presente e in divenire, secondo uno studio della Fondazione Bruno Visentini nel 2030 vi sarà un netto peggioramento delle condizioni economiche dei nuovi nuclei familiari under 35. La ricchezza delle famiglie giovani - la somma di attività reali (immobili, aziende e oggetti di valori) e finanziarie (depositi, obbligazioni e azioni) al netto delle passività (mutui ed altri debiti generati) - sarà 20 volte minore di quella delle famiglie totali. Meno soldi ai giovani oggi, meno pensioni domani ai vecchi.

    I giovani che non lavorano e non studiano hanno interrotto il loro percorso e sembra non riescano più a riprendere il bandolo, non solo del lavoro (o dello studio), ma della vita. Non hanno la spinta giovanile, sono molto ragionevoli, ponderati, misurati, i loro percorsi sono costituiti da debolezze personali, famigliari e contestuali che li hanno portati ad una fase di afasia. Come nelle dinamiche dell’economia, la spinta al cambiamento può essere esogena o endogena a loro è mancata la forza delle relazioni primarie e fuori hanno trovato difficoltà: nella scuola, nel contesto in cui sono stati inseriti.

    E quando lavorano?

    Inoltre, quando entrano nel mondo del lavoro lo fanno in modo estemporaneo, anzi entrano ed escono, e non si riesce più a capire se avere un’occupazione da 200 euro al mese sia un’effettiva entrata. Infine, quando avviene, l’entrata nel mondo del lavoro è priva di progressività, non c’è crescita professionale. Si entra in una fase di transizione sempre più indefinita, individuale e poco ritualizzata dove i ragazzi si sentono poco valorizzati sia come persone che come lavoratori.

    I giovani finiscono in una sezione del mercato del lavoro dove è normale non pagare le persone, non definire i termini del contratto, pagare ogni tanto e quanto si vuole: così come un favore e non un diritto. Dove la differenza tra il lavorare e lo stare a casa è piegarsi ad un sistema di sfruttamento e dove il lavoro è mortificato e svalutato fino all’umiliazione: “lavoro fino alle 3 di notte, racconta Marco, sto lì fino alla chiusura per tenermeli buoni e alla fine quando, dopo tre mesi, ho chiesto un contratto, mi dicono tu ti lamenti. Eppure non godono di una rappresentanza politica e sindacale, non si ribellano, non lottano, non contestano, restano soli nelle loro sofferenze.

    Un secondo aspetto è la discendenza: i Neet vengono in prevalenza da famiglie con genitori disoccupati, e più si trovano in basso nella scala sociale più la probabilità di rimanere a lungo in questa condizione prevale. L’origine familiare non incide solo sui destini occupazionali o formativi dei ragazzi, ma anche sulla durata della condizione di non occupazione, di ricerca del lavoro e della disoccupazione. Non è solo un fattore economico, perché come dimostrano le ricerche degli studiosi statunitensi Betty Hart e Todd Risley un bambino di tre anni proveniente da una famiglia agiata ascolta in media 2153 parole all’ora e ne usa 1400, se è figlio di operai ne ascolta 1251 e ne usa 750, se proviene da una famiglia di disoccupati arriva a stento ad usare 500 parole. A quattro anni il gap è di 30 milioni di parole, i primi ne hanno ascoltate 45 milioni gli ultimi 13 milioni. Fattori che diventano determinanti per favorire la crescita e la percezione della propria competenza, fiducia e autostima. Perché in Italia, racconta Federico Fubini nel bellissimo La maestra e la camorrista, “siamo figli di un’eredità strettamente individuale: la famiglia in cui siamo nati, il suo patrimonio finanziario o immobiliare, quello di conoscenze, linguaggi e relazioni sociali”.

    Chi li ha procede, gli altri arrancano. E non si tratta di uno sparuto gruppo di disadattati, ma, di milioni di giovani appunto. Certo ci sono buone iniziative e buoni progetti, ma intercettano la fascia alta dei Neet quelli attivi, preparati che in qualche modo un lavoro lo potrebbero trovare anche in assenza di misure di sostegno e non incontrano gli scoraggiati.

    Su la Testa!

    Il progetto Su la Testa! promosso dal Comune di Torino prende in considerazione obiettivi e ambiti tematici non esclusivamente riferiti alla questione dell’occupazione e della ricerca lavoro (seppur fondamentale) ma anche la formazione, il volontariato, il tempo libero: occasioni di socialità e dinamismo.

    In primis si è realizzata una mappa della città con tutte le iniziative pubbliche e private di potenziale interesse per i giovani tra i 18 e i 25 anni. Ne è scaturita una città piena di punti colorati in corrispondenza dei servizi, per trasmettere l’idea di una presenza territoriale, con la possibilità per i giovani di riconoscersi vicini ad un servizio, un’attività, una proposta potenzialmente interessante e utile. Il primo passo è «fare esperienza» perché chi non fa esperienza cade nella disperazione. Infatti, se il giovane vive un rapporto con la realtà non «mediato» da adulti che lo introducono alla realtà (cioè educano) si trova a vivere in una relazione «mediatica», cioè passiva, individualistica, consumistica. Non si tratta di trovare l’esperto (spesso ridotto a «competente»), ma di persone che scelgono di «mettersi alla prova» per «uscirne provate».

    Per questo è stato suggerito ai giovani coinvolti nel progetto «di vivere la mappa», di partecipare e andare a conoscere i servizi: conoscere, sperimentare e contribuire alla promozione o suggerire eventuali miglioramenti. Sono seguiti colloqui individuali e si è poi proceduto ad attivare con i giovani il cosiddetto Duo Dinamico: l‘incontro del giovane con un imprenditore, artigiano, professionista a seconda degli ambiti di interesse emersi nel corso dei colloqui. Sono stati realizzate tre tipologie di workshop che hanno riguardato le tecniche di comunicazione efficace, le competenze fondamentali per il mondo del lavoro, gli aspetti motivazionali, i metodi, le tecniche e i contenuti per un curriculum efficace.

    I risultati raggiunti

    Attraverso le varie azioni del progetto è stato possibile contattare e proporre il percorso ad oltre 1600 giovani. Hanno effettivamente partecipato ai laboratori proposti dal servizio di animazione territoriale 285 giovani; per quanto riguarda il Duo Dinamico, sono stati contattati 700 giovani (222 segnalati dal servizio di animazione), 581 hanno partecipato ad almeno un colloquio individuale. I mentori coinvolti sono stati invece 302, per un totale di 231 figure professionali differenti; gli abbinamenti tra giovani e imprenditori/aziende/professionisti, rispondendo alle preferenze indicate dai giovani stessi, sono stati 408 (alcuni hanno potuto incontrare più mentori) per un totale di 121 incontri (alcuni in piccoli gruppi, altri individuali) e 51 visite aziendali.

    Criticità

    I tempi per l’implementazione del progetto (9 mesi totali, più 3 di proroga) hanno limitato il consolidamento delle attività: queste, una volta ben avviate ed entrate nel vivo, hanno dovuto repentinamente andare verso la conclusione.

    Molto spazio e tempo è stato inoltre occupato dai bandi per l’assegnazione dei tre servizi di comunicazione, aggancio e animazione, Duo Dinamico, rallentando l’avvio delle attività vere e proprie.

    È stato inoltre difficile raggiungere situazioni individuali dove maggiore è la passività del giovane (se raggiunto, è risultato complicato far sì che partecipasse con continuità e motivazione al percorso proposto).

    Conclusioni

    Il disagio dei giovani Neet nasce nella società e alla società deve ritornare. Pertanto le azioni da mettere in atto vanno pensate tendono conto dei “sette fatti lievi che fanno un Neet”. In primis è centrale agire sui quartieri perché crescano spazi di socialità e di prossimità: luoghi dove trovare ascolto. Una politica sui luoghi dove le persone vivono che devono essere fatti non solo per il traffico e il commercio, ma per le persone che li abitano, soprattutto per i bambini. Muoversi a piedi (a piedi si parla), agire sulle piste ciclabili, creare isole pedonali intorno alle scuole, cambiare l’architettura dello spazio pubblico perché questo come è noto influenza i rapporti sociali. Secondo, sostenere a rafforzare i corpi intermedi, i partiti e i sindacati non svolgono più questo ruolo, se ne possono immaginare altri: fondazioni di comunità, associazioni, gruppi sportivi. Terzo, rafforzare le capacità di risposta delle famiglie, agire sull’autostima dei genitori, sul lavoro degli adulti (ad esempio se il genitore è disoccupato). Quarto creare spazi laboratoriali in ogni quartiere dove vi siano corsi pratici (spazi dove fare pratica, trovare un mentore, provare un mestiere). Restituire dignità al lavoro, cancellare tutte le forme di lavoro non retribuito (quinto). Creare politiche che non premiano risultati e target specifici che finiscono per penalizzare i giovani con maggiori difficoltà (come nel caso dei neet scoraggiati con Garanzia giovani). Uscire dallo schema per cui i giovani “hanno sempre ragione, vanno capiti, ascoltati, compresi”. Essere giovani neet è una condizione, non è un destino. Sesto, rafforzare i percorsi di orientamento: scolastico prima e professionale dopo. Molte esperienze negative si possono evitare se, già nella scuola media, è possibile seguire un percorso orientativo che miri ad accompagnare i ragazzi nella scoperta delle proprie qualità e propensioni. Trasmettere fiducia nelle capacità perché possano scegliere responsabilmente il percorso più adeguato. Settimo, dare forza alla scuola in tutte le sue componenti perché non sia un luogo di addestramento, ma di educazione per la vita. Le politiche giovanili andrebbero co-programmate, co-gettate e co-costruite dagli enti pubblici, dal Terzo Settore, attori privati e volontariato. Un problema strutturale e pluriennale non può trovare risposta in progetti estemporanei e marginali. Vi sono diverse iniziative che vanno valutate (es. Articolo +1 della Compagnia di San Paolo) e se validate dovrebbero diventare politiche e servizi pubblici.

     

     

    Bibliografia

    Abburrà L., (2016), Neet: né a scuola né al lavoro. Una categoria statistica, diverse condizioni sociali, Netpaper SISFORM, 1.

    Anpal, (2018), I neet in Italia. La distanza dal mercato del lavoro ed il rapporto con i Servizi Pubblici per l’Impiego, Nota Statistica n.1

    Floris F. (2020), Vittime o alleati del sistema?, in From neet to need. Il cortocircuito sociale dei giovani che non studiano e non lavorano, Franco Angeli.

    Floris F. (2020), Giovani e lavoro: una contrapposizione graduabile con l'età?, in From neet to need. Il cortocircuito sociale dei giovani che non studiano e non lavorano, Franco Angeli.

    Floris F., (2020),  “Le risposte del territorio, il caso Torino. La solitudine nel territorio e possibili linee di contrasto; Il progetto Su la Testa! Comune di Torino”, in From neet to need, Franco Angeli.

    Fubini F. (2018), La maestra e la camorrista, Mondadori, Milano.

    Hart B., Risley T.R. (2003), The early catastrophe: The 30 million word gap by age 3, American educator, 27.1: 4-9.

     

     

    Parole chiave: Neet, giovani

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