Luigi Bollani (ESOMAS – Dipartimento di Scienze Economico-Sociali e Matematico-Statistiche, Università di Torino; InCreaSe)
È di conio non troppo lontano nel tempo, ma ormai tristemente noto soprattutto per la sua diffusione, l’acronimo NEET - “Not in Education, Employment, Training”, introdotto all’affacciarsi del nuovo millennio in Gran Bretagna durante il governo Blair con il documento “Bridging the gap” (Social Exclusion Unit, 1999). L’acronimo non specifica letteralmente la condizione di giovane a cui invece si rivolge; nello studio sopra citato si riferiva ai giovani dai 16 ai 18 anni, ma successivamente è stato ripreso con riferimento a fasce di età più allargate: oggi, le principali casistiche che si ritrovano in letteratura e nelle politiche sono: 16-18 anni; 15-24 anni; 15-29 anni; 15-34 anni.
È utile ricordare che, nel momento in cui è stata inserita, questa categoria concettuale ha rappresentato un superamento delle definizioni economiche che tradizionalmente descrivono la situazione lavorativa di un Paese. Rientrano nei NEET sia i disoccupati che gli inattivi, commistione che crea qualche problema di inquadramento in quanto i primi - i disoccupati - fanno parte delle forze di lavoro, mentre i secondi - gli inattivi - ne sono esclusi. In particolare, per quanto riguarda il lavoro, nella classificazione sono ricompresi tre diversi criteri: uno oggettivo sulla condizione lavorativa, uno sull’atteggiamento di ricerca del lavoro e uno sulla disponibilità ad accogliere un lavoro (Agnoli, 2014).
Nel 2020 l’Istat conta una media di 2,1 milioni di NEET in Italia tra 15 e 29 anni: sono il 23% dei giovani in quella fascia di età; se si considera solo il Nord d’Italia l’incidenza scende al 17%, mentre il Mezzogiorno raggiunge il 34%. Se si allarga la fascia a 15-34 anni si trovano 3,1 milioni di NEET in Italia, cioè il 25% dei giovani in questa fascia di età (18% al Nord e 36% nel Mezzogiorno).
Guardando al Piemonte i NEET sono il 20% sia nella fascia 15-29 che in quella 15-34 anni. Va comunque tenuta presente la difficoltà di quantificazione, specie secondo categorie socio-demografiche, su aree di dimensione ridotta, data la provenienza campionaria delle fonti che derivano dalla rilevazione sulle forze di lavoro. Un’esperienza di approfondimento, a partire dai microdati Istat (Rilevazione Continua sulle Forze di Lavoro) contenuti nel data warehouse della Regione Piemonte, compare in Abburrà, Donato, Nanni (2016). Gli autori in questo caso presentano, per il 2014 in Piemonte, spaccati per età, genere, cittadinanza e condizione occupazionale, normalmente non rintracciabili e riescono a scendere anche a livello provinciale. In particolare, nella provincia di Torino (ora Città Metropolitana di Torino) gli autori rilevano elevata eterogeneità nelle caratteristiche dei NEET, incidenza relativamente bassa dei NEET 15-19enni, maggiore incidenza della condizione di NEET tra i maschi, incidenza molto più alta per gli stranieri.
La diffusione di una piaga così grave pone purtroppo l’Italia nella situazione più critica rispetto a tutti gli altri Paesi europei (seguono la Grecia e la Spagna con un’incidenza di circa 19%, mentre gli Stati meno colpiti come Olanda, Svezia e Lussemburgo oscillano intorno al 7-8%). La media OCSE è poco più del 13% e mostrano incidenze superiori all’Italia solo Turchia, Brasile, Colombia e Sud Africa.
Come si vede dalle incidenze, fronteggiare la situazione richiede uno sforzo molto elevato. In Italia ciò avviene in vario modo; si ricorda qui l’importanza del piano Garanzia Giovani, un intervento su larga scala sostenuto da fondi europei, che accoglie i giovani in difficoltà attraverso le strutture dei Centri per l’impiego a cui possono iscriversi. Vi sono però molte iniziative più piccole dovute a Fondazioni o Enti, come ad esempio Articolo+1 (Fondazione Compagnia di Sanpaolo), Neet-work (Fondazione Cariplo), Lavoro di squadra (ActionAid), Nice to neet you (Fondazione Exodus) e diverse altre (Rosina, 2020).
Una ricerca-azione sulla condizione di NEET
La categoria dei NEET ha fornito il suo tratto distintivo in una particolare epoca e contesto, rimanendo nel tempo elemento importante per delineare una preoccupante forma di disagio sociale stabilizzata. L’acronimo stesso individua con precisione la categoria, non consentendo allargamenti definitori che si adattino a situazioni ed epoche diverse, se non per quanto riguarda la fascia di età che non entra a far parte delle tre caratteristiche NOT (Employment, Education, Training) richiamate dall’acronimo e che del resto è l’unica ad essere stata modulata nel tempo secondo esigenze di analisi.
Lo studio di tale condizione di disagio è reso particolarmente identificabile dalla possibilità di individuazione univoca dei soggetti coinvolti, secondo processi definitori utilizzati dalle ampie indagini campionarie sulle forze di lavoro condotte con le medesime modalità nei diversi Paesi europei. In altre parole la condizione di mancanza di lavoro o di inserimento in ambiti educativi o formativi è univocamente determinabile in base ad una batteria di domande proposte nell'insieme di quelle contenute nelle indagini sulle forze di lavoro e consente di classificare con sicurezza i soggetti intervistati.
Questa caratteristica certamente positiva della categorizzazione, che ne consente un'agile quantificazione e permette un confronto percentuale di facile comprensione tra aree geografiche, risente tuttavia di una rigidità definitoria che l’evoluzione temporale e i recenti avvenimenti di emergenza sanitaria fanno sentire sclerotizzata. Potrebbe essere il caso di uno studente che, mascherato dietro un collegamento online che non sente suo, pur non giovando del percorso scolastico viene considerato come inserito in un cammino educativo (anche se a scuola non si impegna o all'università non sostiene esami).
Si può ritenere che un approfondimento e una maggiore focalizzazione dello stato di disagio riscontrabile nei NEET possa mettere in luce tratti più sfumati rispetto alla definizione basata sulla sola presenza/assenza delle tre caratteristiche richiamate dal NOT. Questo appare anche dall'analisi qualitativa delle storie di vita dei soggetti che si trovano in questa condizione e dalle prime esperienze di avvicinamento per un percorso di sostegno e riqualificazione.
Con questa chiave di lettura e con l’immersione in questa esperienza, di cui di seguito si dà conto, è nata la ricerca-azione dell’Associazione InCreaSe (Innovation Creativity Setting), che ha costituito al suo interno un primo gruppo di lavoro per lo studio e il sostegno di questi giovani in difficoltà fin dal 2017. Da allora, in termini di ricerca e azione, InCreaSe ha potuto mettere in campo l’ampia trasversalità e qualificazione delle competenze. Numerosi Enti sono stati coinvolti nel progetto e lo hanno sostenuto; il riscontro più importante per continuità e impegno è stato dato dalla Fondazione Compagnia di San Paolo. Al momento le attività hanno coinvolto Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria, ma ci si sta indirizzando sulla condivisione di iniziative nazionali e internazionali.
Attualmente l'intero progetto consiste di tre fasi. Nelle prime due prevale l’aspetto della ricerca, con vocazione soprattutto empirica locale, rivolta a Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria; esse sono ad oggi concluse e consegnano ciascuna come risultato della ricerca un volume della collana InCreaSe di Franco Angeli. Nella terza fase, che è in corso, prevale l’aspetto dell’azione, cioè dell’impegno nel sostegno di figure fragili in condizione di NEET e individuazione di buone pratiche.
La prima fase della ricerca si è conclusa nel 2020 con la consegna del volume "From Neet to Need. Il cortocircuito sociale dei giovani che non studiano e non lavorano", in cui si presenta la situazione statistica europea del fenomeno NEET, con una focalizzazione locale sull’Italia e sul Nord Ovest, e le implicazioni sociologiche ad essa connesse. La ricerca comprende uno studio empirico, basato su interviste in profondità condotte nel Nord Ovest e soprattutto in Piemonte a persone in condizione di NEET; essa consiste nella raccolta delle loro storie di vita (Merril, West, 2012) e giunge ad una classificazione tipologica che tiene conto di bisogni interni ed esterni, per poi proporre un supporto congruente attuabile nelle politiche di sostegno.
La seconda fase della ricerca, terminata nell’aprile 2022 consegna un secondo libro: “Prima di diventare invisibili. Prevenire a scuola il fenomeno dei NEET”; essa riguarda lo studio dei prodromi alla condizione di NEET, riscontrati nelle difficoltà di studenti del biennio e triennio della scuola superiore. Si ritiene infatti che sia più semplice ed efficace affrontare i problemi in modo preventivo o immediatamente al loro insorgere a partire dall'età scolare, in quanto meno gravi e più facilmente correggibili. La ricerca è empirica e riguarda gli studenti di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta indagati in presenza nel periodo immediatamente precedente alla pandemia, quindi con le più prossime prospettive di confronto verso la corrente fase di riavvio post-pandemica.
La terza fase, attualmente in corso, sfrutta i risultati delle ricerche precedenti per proporre un contributo attivo all'individuazione di buone pratiche per il sostegno di individui fragili in condizione di NEET; al momento ci si è concentrati su maggiorenni da portare in condizione di affrontare un percorso lavorativo e sui requisiti necessari per la formazione adeguata di figure che possano affiancarli in questa crescita.
Il cortocircuito sociale dei giovani che non studiano e non lavorano.
L’analisi svolta (Lazzarini, Bollani, Rota e Mariagrazia Santagati, 2020), presenta il problema dal punto di vista storico, sociologico, geopolitico e evidenzia la dimensione e l’incidenza del fenomeno distinguendo per aree e caratteristiche delle persone coinvolte[1].
Il malessere sociale che alimenta l’insorgere della condizione di NEET ha radici in un cortocircuito più ampio che coinvolge le principali istituzioni sociali, come scuola, famiglia e mondo del lavoro, secondo ecosistemi territoriali.
Il punto è che i NEET non sono tutti uguali: per questo parlare del fenomeno in generale rappresenta una semplificazione non utile alla sua comprensione e soprattutto all'elaborazione di politiche efficaci per contrastarlo. Di seguito si presenta il percorso di ricerca che, partendo dalla raccolta empirica di storie di vita, è consistita in un'analisi dei bisogni, comportamenti e valori dei giovani rispetto a formazione e mondo del lavoro, giungendo ad elaborare una tipologia, organizzata in quattro macro-tipi:
- Gli “alternativi”, caratterizzati dal darsi schemi di vita al di là di quelli tradizionali; almeno in una fase iniziale queste modalità possono non portare particolari problemi alla persona, che può aspirare ad essere economicamente autosufficiente con attività di giocoleria di strada o invenzione di videogiochi (talvolta sperata, più che realizzata…), e altre attività varie.
- Gli “impreparati”, spesso dal punto di vista delle “competenze trasversali”, nel non saper trasferire le conoscenze da un contesto all’altro, accettando la sfida delle diversità delle circostanze, degli ambienti, delle persone con cui si vengono a trovare. Utili interventi di sostegno per queste persone consistono nel far sì che desiderino provare e siano capaci e soddisfatte nel portare avanti sperimentazioni diverse.
- Gli “scartati”, a volte da qualche docente che non sa, o non vuole, camminare accanto all’allievo, aiutarlo a capire, ad autostimarsi. Anche però scartati dalla famiglia, dai pari. Nel sostegno serve portare attenzione non solo agli eventuali limiti intellettivi, ma soprattutto ai disturbi emotivi, alla situazione affettiva, ad eventuali problemi familiari, sociali, economici, psichici/psichiatrici. D’altra parte occorre avvicinare il giovane con la pazienza necessaria per smontare e rimontare qualsiasi cosa fatta con lui, in modo da rassicurarlo in una valutazione positiva al termine del percorso.
- Gli “indifferenti”, coloro che sono sfiduciati: dopo tanti tentativi conclusi con esiti negativi, hanno chiuso con tutti e con il mondo. Sono i più difficili da contattare e quelli in cui forse è più difficile riaccendere la fiducia negli altri e la speranza di realizzare qualcosa. Non vogliono più soffrire, fuggono rifugiandosi ad esempio nella realtà virtuale; se vivono in questo stato a lungo, le loro capacità relazionali gradualmente si atrofizzano, come pure le abitudini quotidiane ad alzarsi, entrare in contatto con gli altri, svolgere un lavoro regolato. Bussare a queste porte non è facile, ma è altrettanto difficile offrire qualcosa di significativo, valido, interessante e che presenti prospettive concrete. Per costoro serve un accompagnamento psicologico, ma anche di relazione umana per la ristrutturazione della personalità prima ancora che un aiuto a sviluppare competenze.
Prevenire a scuola il fenomeno dei Neet
Importante è la riflessione nata dalla ricerca empirica sui prodromi, in età della scuola superiore, alla condizione di NEET (Lazzarini, Bollani, Caizzo e Forte, 2022). Si affrontano le problematicità del contesto sociale, le opportunità ma anche le difficoltà dei giovani in una possibile dispersione scolastica o percezione non educativa del proprio percorso. Viene anche considerato il rapporto che può essere di grande aiuto, ma talora invece critico, tra docente e studente e l’empatia verso cui questo rapporto dovrebbe tendere.
Lo studio include una ricerca empirica condotta nelle scuole superiori di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, con la somministrazione in presenza di 900 questionari con un campionamento atto a distinguere tra biennio e triennio e tra liceo, istituto professionale e istituto tecnico. Il questionario raccoglie dati sui percorsi di inclusione previsti dalle scuole, sulla percezione dei contenuti di formazione e di informazione, sui possibili condizionamenti che sviluppano nei ragazzi una percezione negativa di sé e della loro vita. In particolare, si prendono in esame la vita quotidiana della scuola nelle relazioni con gli insegnanti, con i compagni, col mondo esterno alla scuola e con la famiglia e, per il triennio, i progetti sul futuro ormai prossimo. Si sono voluti cogliere i contenuti motivazionali e talvolta demotivanti dell’apprendimento, le difficoltà a tenere il passo con la classe, il non sapersi organizzare nello studio, con le conseguenti ricadute in termini di rendimento. Accanto al rapporto con i docenti c’è quello, spesso altrettanto problematico, della relazione con i compagni e l’incidenza crescente degli episodi di bullismo e cyber-bullismo. Nell’esame dei risultati si dà peso al fenomeno dell’accumulo di diverse situazioni di disagio, che lo studente può manifestare congiuntamente, e si studiano gli effetti di questo accumulo introducendo una misura della “intensità di disagio” e studiandone le relazioni con diverse categorie di studenti. Si esprime anche una suddivisione in tipi dei rispondenti all’indagine, secondo il profilo generale che la loro condizione mostra e che è di seguito indicato con una denominazione sintetica: “A proprio agio” (21%), “Assenti” (17%), “Isolati” (14%), “Chiusi” (18%), “Abbandonati” (21%), “Disorientati” (8%).
In generale, la riflessione che il libro propone e la ricerca empirica condotta si confrontano con una lettura multidimensionale delle risposte alle singole domande del questionario. Si mette in evidenza, tra gli studenti, un gruppo in stato di pieno o relativo benessere, dove prevalgono gli studenti del liceo, con genitori che abbiano un titolo di studio alto o medio; seguono una situazione intermedia e una a rischio più grave di deterioramento, anche verso possibili condizioni di NEET. Nella situazione intermedia si sommano alcune forme di disagio, centrate talvolta sulle assenze prolungate, in altri casi sull’isolamento dai compagni o ancora sulla difficoltà di rapporto con l’insegnante (p. es. nella difficoltà a porre domande quando non si capisce); questa situazione si riscontra più spesso nei percorsi tecnico e professionale ed è talvolta abbinata alla presenza di nessuno o un solo genitore nel nucleo familiare. Nella situazione più grave i fattori di disagio crescono in numerosità e complessità e si evidenziano soprattutto due contesti di riferimento. Nel primo contesto si trovano le forme di sofferenza legate alla mancanza di fiducia o riferimento in un adulto e di isolamento dai compagni; si riscontrano sovente casi di disoccupazione di entrambi i genitori - che spesso hanno un basso titolo di studio - oltre all’incertezza sul proseguimento degli studi. Il secondo contesto ha come centro la sfiducia verso la scuola, il disorientamento rispetto alla propria condizione di studente nel ritenere inutile per la propria vita e crescita il percorso di studio scelto; si addensano qui i casi in cui gli studenti del triennio ritengono di non proseguire gli studi e che la scuola non prepari al lavoro.
Fronteggiare la situazione attuale
Come anticipato, il processo di ricerca-azione si propone di proseguire con una fase prevalentemente attuativa. Lo sforzo è quello di avviare, studiare e rendere esportabili buone pratiche di sostegno per l’uscita dalla condizione di NEET e il ritorno ad una vita umana più realizzata. Al momento, ci si dedica all’incontro, alla conquista della fiducia e al supporto di giovani maggiorenni NEET per portarli verso un percorso di introduzione alla vita lavorativa. Ci si è resi conto che non basta prendere in considerazione un accompagnamento pur diversificato secondo tipologie di giovani in difficoltà ma occorre stabilire un patto territoriale con le istituzioni locali, facendo crescere un microclima territoriale che interrompa il cortocircuito sociale che si era posto in evidenza fin dall’inizio dello studio teorico. Per ora la strada è stata tracciata con numerose riunioni e incontri con attori territoriali in due zone dell’area provinciale di Torino; la peculiarità di ogni zona potrà costituire ostacolo ad una esportabilità diretta dei percorsi intrapresi, ma alcune linee guida potranno essere proposte.
Per concludere si sottolinea il problema della prevenzione. Nella attività pratica intrapresa per ricondurre i maggiorenni NEET ad una esperienza lavorativa soddisfacente, ci si rende continuamente conto del notevole dispendio di energie e risorse per intervenire su una situazione di debolezza ormai consolidata e su una condizione in cui le occasioni di incontro per portare sostegno vanno completamente costruite. Altro è riuscire ad essere attenti alle potenziali derive degli studenti fin dalla scuola del primo ciclo, quando queste possono essere arginate con interventi molto meno impegnativi e forse più efficaci. Da questo punto di vista si rende necessaria una messa a punto di buone pratiche per l’intervento presso le scuole e le famiglie.
Bibliografia
Abburrà L., Donato L., Nanni C. (2016), Neet: né a scuola né al lavoro. Una categoria statistica, diverse condizioni sociali, IRES. Istituto di Ricerche Economico Sociali del Piemonte (openbess: TO082-01932).
Agnoli M.S. (a cura di), 2014, Generazioni sospese. Percorsi di ricerca sui giovani Neet, FrancoAngeli, Milano. https://dera.ioe.ac.uk/15119/2/bridging-the-gap.pdf
Bollani L., Rota F. S., 2018, Orientamenti per una comprensione ecosistemica dei NEET e conseguenti politiche di sostegno, EyesReg, Vol.8, N.2. https://www.eyesreg.it/2018/orientamenti-per-una-comprensione-ecosistemica-dei-neet-e-conseguenti-politiche-di-sostegno
Lazzarini G., Bollani L., Rota F. S., Santagati M. (a cura di), 2020, From Neet to Need. Il cortocircuito sociale dei giovani che non studiano e non lavorano, Collana InCreaSe, FrancoAngeli, Milano.
Lazzarini G., Bollani L., Caizzo E., Forte A. (a cura di), 2022, Prima di diventare invisibili. Prevenire a scuola il fenomeno dei Neet, Collana InCreaSe, FrancoAngeli, Milano.
Merril B., West L., 2012, Metodi biografici per la ricerca sociale, Apogeo, Milano.
Rosina A., 2020, I Neet in Italia. Dati, esperienze, indicazioni per efficaci politiche di attivazione. StarNet. https://www.start-net.org/sites/start-net.org/files/attachments/366/ineetinitaliawebdef.pdf
Sito del gruppo di ricerca InCreaSe: http://www.increasegroup.org/
Social Exclusion Unit, 1999, Bridging the gap: new opportunities for 16-18 year olds not in education, employment or training, presented to Parliament by the Prime Minister, http://dera.ioe.ac.uk/15119/2/bridging-the-gap.pdf.
[1] Qualche tratto anticipatorio in forma “open access” si trova in Bollani, Rota, 2018.