Daniela Musto (IRES Piemonte)
In questo articolo si presenteranno gli esiti occupazionali dei laureati che si sono affacciati sul mondo del lavoro nel 2020. Questi dati vanno letti con estrema cautela, poiché proprio nel febbraio 2020 ha avuto inizio l’emergenza sanitaria, che ha immediatamente e profondamente cambiato il mercato del lavoro. L’analisi evidenzia alcune criticità nelle opportunità occupazionali soprattutto dei neolaureati che si sono affacciati per la prima volta sul mercato del lavoro proprio nel periodo più buio dell’emergenza sanitaria e che mostrano una contrazione del tasso di occupazione e un corrispondente aumento del tasso di disoccupazione.
La pandemia ha impattato negativamente sull’occupazione dei neolaureati
Dopo vari anni in cui si assisteva a una lenta ma continua ripresa della capacità di assorbimento dei laureati da parte del mercato del lavoro, che però scontava ancora gli effetti della crisi del 2008, si evidenzia nel 2020 una brusca contrazione del tasso di occupazione. Rispetto all’anno precedente l’occupazione è diminuita di 4 p.p. per i laureati triennali e magistrali biennali e di 2 p.p per i laureati nei corsi a ciclo unico.
Dopo un anno dal conseguimento della laurea, quindi nel 2021, risulta occupato il 75% dei laureati triennali, il 78% dei magistrali e il 76% dei magistrali a ciclo unico[1] (fig. 1). È necessario porre molta cautela nell’interpretazione di questi risultati: sono infatti fortemente condizionati da un improvviso shock occupazionale da un lato, ma anche da un rilevante e improvviso reclutamento di medici e infermieri dall’altro, che ha avuto luogo durante l’anno 2020 fin dalla prima fase di emergenza. Se infatti si escludessero dal computo degli occupati i laureati del gruppo medico-farmaceutico, il calo del tasso di occupazione risulterebbe ancora più rilevante (-7 p.p. sia per i laureati triennali che per il ciclo unico).
Migliora la situazione se si analizza la condizione occupazionale dei laureati nel 2017, a tre anni dal conseguimento del titolo: il tasso di occupazione raggiunge quota 91% tra i laureati magistrali e 87% tra i laureati a ciclo unico, valori che rispecchiano di fatto quelli della rilevazione precedente. Si può pertanto supporre che i laureati che avevano conseguito il titolo negli anni precedenti e già occupati abbiano vissuto in misura marginale gli effetti della pandemia, potendo contare sugli interventi di policy attuati al fine di contenerne gli effetti. Lo shock occupazionale pare aver inciso soprattutto sui neolaureati e più in generale sulle opportunità di trovare un nuovo lavoro.
Ci sono stati effetti sulla retribuzione dei neoassunti? Sembrerebbe di no, dato che i valori retributivi risultano mediamente più elevati rispetto alla precedente rilevazione: del 7% per i laureati di primo livello e del 3% per i magistrali biennali, mentre risulta costante per i laureati a ciclo unico. Nel 2020 la retribuzione mensile media percepita dopo un anno dalla laurea è di 1.340 euro per i laureati di primo livello e di circa 1.400 euro per i laureati magistrali biennali e a ciclo unico. E’ necessario anche in questo caso usare cautela nell’interpretazione dei risultati, poiché i valori medi emersi celano differenze sostanziali tra coloro che sono entrati nel mercato del lavoro prima oppure dopo lo scoppio della pandemia: un approfondimento svolto a livello nazionale mostra come in realtà, per chi ha iniziato a lavorare dopo l’inizio della pandemia, le retribuzioni siano in media inferiori del 5-6% rispetto a chi si è inserito nel mercato del lavoro nei mesi precedenti (AlmaLaurea, 2021)[2].
Figura 1 - Laureati negli anni 2007-2019: tasso di occupazione e di disoccupazione per tipologia di corso dopo un anno dalla laurea (Def. ISTAT-Forze di Lavoro)
Fonte: elaborazioni IRES Piemonte su dati AlmaLaurea
La diffusione dello smart working tra i neolaureati, prima e durante l’emergenza sanitaria
L’emergere improvviso della pandemia da Covid-19 ha reso il lavoro agile uno strumento di prevenzione utile e modulabile, che ha consentito a numerose attività una continuità lavorativa che in altro modo non sarebbe stata possibile. Anche in seguito alla prima fase emergenziale, il Governo italiano ne ha fortemente raccomandato l’utilizzo in tutte quelle attività che si possono svolgere a distanza.
In tale contesto, il lavoro da remoto è esploso nel corso del 2020 e rappresenta ad oggi una modalità lavorativa che è interessante sottoporre a monitoraggio. Per semplicità di analisi, di seguito si utilizzerà il termine smart working per indicare tutte le attività svolte da remoto, comprendendo anche il telelavoro. Si tenga conto che il telelavoro è decisamente meno diffuso e ha riguardato nel 2020 solo il 4% dei laureati, mentre lo smart working il 31%.
Tra i laureati 2019, intervistati dopo un anno dal titolo nel 2020 in piena emergenza sanitaria, si è rilevato un incremento esponenziale dei lavoratori da remoto, sia nel privato che nella pubblica amministrazione. Nel 2020 il 35% dei laureati ha dichiarato di aver lavorato in smart working: in particolare sono stati il 23% dei laureati triennali, quasi il 48% dei magistrali biennali e il 30% dei laureati a ciclo unico (tab. 1).
Tali valori appaiono nettamente più elevati di quelli osservati se si va indietro nel tempo al 2019, anno immediatamente antecedente all’arrivo del Covid-19: i lavoratori da remoto rappresentavano quote marginali tra i laureati (il 3% tra i triennali, al 6% tra i magistrali biennali e l’1% tra i laureati a ciclo unico).
Tab. 1 - Laureati che lavorano a distanza nel 2019 e nel 2020 (%)
Tipo laurea |
2019 |
2020 |
Laurea triennale |
3% |
23% |
Laurea magistrale |
6% |
48% |
Laurea ciclo unico |
1% |
30% |
Totale |
4% |
35% |
Fonte: elaborazioni IRES Piemonte su dati AlmaLaurea, XXI e XXII Indagine sul profilo e sulla condizione occupazionale
Quali sono le principali caratteristiche dell’attività svolta dai lavoratori in smart working? Lavorano perlopiù nel settore privato (il 39% ha dichiarato di aver lavorato da remoto nel 2020), meno in quello pubblico (28%) e del no-profit (17%). In particolare, i lavoratori in remoto sono principalmente impiegati con contratto alle dipendenze a tempo indeterminato, nel settore dell’industria e molto meno in quello dei servizi e dell’agricoltura.
Per ragioni legate all’attività svolta, lo smart working è stato meno utilizzato dai laureati nel settore della sanità e del commercio, mentre più frequentemente nei rami dell’informatica, delle consulenze professionali, del credito e assicurazioni, del metalmeccanico, nonché nel ramo dell’istruzione e della ricerca.
Laureati triennali: più della metà si iscrive alla laurea magistrale
Nel 2020, a un anno dal conseguimento del titolo, i laureati triennali dichiarano di lavorare in 22 casi su 100, la maggioranza, pari a 56, afferma di essersi iscritti alla magistrale, 12 di studiare e lavorare, 5 di non cercare lavoro e 6 di essere alla ricerca di un’occupazione. Si conferma pertanto il trend, individuato nell’ultimo quinquennio, che vede diminuire costantemente la quota di quanti lavorano dopo la laurea di primo livello (erano il 32% nel 2014, ora sono il 22%) mentre aumenta la percentuale di quanti scelgono di proseguire gli studi iscrivendosi alla magistrale. Un dato, questo, che mostra lo scarso appeal delle lauree triennali, salvo alcune eccezioni.
I corsi del gruppo medico e farmaceutico (principalmente i corsi di laurea nelle professioni sanitarie) sono quelli che in misura maggiore si rivolgono al mercato del lavoro dopo il conseguimento della laurea e il tasso di occupazione dopo un anno dal titolo è pari all’83% se si considerano anche quanti lavorano mentre sono iscritti alla magistrale. L’elevata quota di occupati è determinata soprattutto dall’elevata occupabilità dei corsi triennali delle professioni sanitarie: questi sono corsi ad accesso programmato a livello nazionale, il cui numero di posti viene stabilito ogni anno dal MIUR sulla base del fabbisogno di professionisti sanitari, espresso dalle Regioni e stimato con l’applicazione di un modello previsionale che analizza i fabbisogni formativi (Musto, Perino, Viberti 2022).
I laureati del gruppo medico mostrano una maggiore diffusione del lavoro stabile[3] (43%), la percentuale più elevata di efficacia della laurea nel lavoro svolto[4] (94%) e il guadagno mensile netto più alto all’avvio della carriera, pari a quasi 1.600 euro. Circa 1 laureato su 3 risulta impiegato nel pubblico, settore che sta riacquistando terreno per gli operatori sanitari, dopo un periodo di costante diminuzione delle assunzioni iniziato con la crisi del 2007 (nel periodo pre-crisi lavorava nel pubblico il 60% dei professionisti sanitari).
I gruppi in cui è più elevato il tasso di iscrizione alla magistrale (più del 70%) sono quello scientifico, ingegneria, architettura e psicologico. Nei corsi di ingegneria più dell’80% si iscrive alla magistrale. La quasi totalità dei laureati in questi corsi afferma di ritenere la laurea magistrale necessaria per trovare lavoro, oltre che utile per migliorare le opportunità occupazionali.
Laureati magistrali biennali: Ingegneria si conferma laurea “forte”
Al termine della laurea biennale magistrale, la percentuale più elevata di occupati[5] si rileva nei corsi dei gruppi architettura e ingegneria civile e ingegneria industriale e dell’informazione, entrambi con l’86% di laureati che lavorano dopo un anno dalla laurea. I laureati in questi gruppi presentano anche le migliori condizioni di lavoro: mostrano elevate percentuali di contratti di lavoro stabile, percepiscono mediamente uno stipendio di 1.600 euro al mese e valutano il titolo di studio efficace per trovare lavoro.
Ingegneria in particolare si conferma laurea "forte", consentendo ai suoi laureati di trovare impieghi con contratti stabili, stipendi più alti della media e di collocarsi in tempi brevi.
I tassi di occupazione più bassi emergono invece nei gruppi psicologico e politico-sociale e comunicazione, che scontano anche livelli bassi di retribuzione (circa 1.300-1.400 euro al mese). La percezione di circa la metà dei laureati è di una scarsa efficacia della laurea nel lavoro svolto.
Tra i laureati del gruppo letterario-umanistico si rileva la quota più elevata di occupati nel settore pubblico, impiegati perlopiù come insegnanti, ma solo nel 18% dei casi con un contratto stabile.
I laureati magistrali a ciclo unico
I laureati magistrali a ciclo unico si dividono sostanzialmente in due categorie: quelli che si rivolgono al mercato del lavoro subito dopo aver conseguito la laurea (in particolare i farmacisti e i veterinari) e quelli che necessitano di un ulteriore periodo di formazione prima di accedere alla professione: è il caso del praticantato per Giurisprudenza e della formazione specialistica per Medicina e Chirurgia. In questi corsi il tasso di occupazione a un anno dalla laurea risulta piuttosto contenuto, mentre è elevata la percentuale di quanti non cercano lavoro perché impegnati in ulteriore formazione.
Per questo motivo, si è scelto di analizzare lo stato occupazionale dopo cinque anni dal titolo, quando la condizione lavorativa risulta certamente più stabile e molti dei percorsi formativi post-laurea sono giunti al termine.
In generale nel 2020 si nota un aumento nei tassi di occupazione dei laureati nel 2015 intervistati dopo cinque anni dalla laurea, rispetto a quanto rilevato nel 2019 sui laureati nel 2014. Questo conferma ulteriormente come l’emergenza pandemica abbia avuto effetti negativi in particolare sull’occupazione dei neolaureati e non sui laureati degli anni precedenti già occupati.
I laureati in medicina e chirurgia, anche se intervistati a 5 anni dalla laurea, si dichiarano occupati solo nel 41% dei casi, dato che un ulteriore 52% non cerca lavoro perché ancora impegnato con la specializzazione. Il reddito mensile degli occupati è pari a quasi 2.300 euro ma la percentuale di quanti possono godere di un contratto a tempo indeterminato è del 28%, il 38% ha un contratto autonomo e il 25% un contratto non standard.
I laureati in Odontoiatria si distinguono per avere nella quasi totalità un contratto di tipo autonomo (94%) e il reddito più elevato in assoluto, pari a 2.600 euro. Per medici e odontoiatri, sfiora il 100 la quota di quanti ritengono la laurea in medicina efficace per trovare un lavoro.
In linea generale, nei corsi a ciclo unico, che sono corsi ad elevata specializzazione, i laureati giudicano il titolo efficace per trovare lavoro. Tra tutti, però, i laureati in Giurisprudenza si rileva la quota più bassa di quanti ritengono la laurea efficace e difatti sono anche i laureati per cui è minore l’aderenza tra titolo di studio e professione svolta: da precedenti analisi è emerso che a cinque anni dal titolo, fa l’avvocato solo il 40% dei laureati, gli altri si collocano in professioni diverse, come ad esempio esperti legali, periti, addetti alle risorse umane, addetti di segreteria e agli affari generali (Musto, 2019).
Conclusioni
L’analisi sulla condizione occupazionale dei laureati negli atenei del Piemonte restituisce un quadro eterogeneo, che evidenzia nel corso del 2020 alcune criticità negli esiti occupazionale dei neolaureati, mentre tra i laureati a tre e cinque anni dal titolo, già occupati all’arrivo della pandemia, gli effetti dell’emergenza paiono marginali.
In particolare, tra i laureati intervistati a un anno dal titolo si rileva una contrazione del tasso di occupazione e un corrispondente aumento del tasso di disoccupazione, dovuto al periodo di restrizioni a cui il Paese è stato sottoposto all’emergere della pandemia.
Un ulteriore aspetto da evidenziare riguarda le caratteristiche del lavoro svolto: la pandemia pare infatti aver colpito soprattutto le opportunità di trovare lavoro, meno il tipo di occupazione trovata. I dati confermano infatti le caratteristiche delle occupazioni già emerse da analisi precedenti: il costante aumento tra i laureati triennali di quanti scelgono di proseguire gli studi iscrivendosi alla magistrale, ad eccezione dei laureati nei corsi delle professioni sanitarie, che mostrano un’elevata occupabilità.
Tra i laureati magistrali, i corsi di ingegneria si confermano quelli con i tassi di occupazione più elevati e le migliori condizioni di lavoro in termini di stipendio di ingresso e contratti stabili. Al contrario, i tassi di occupazione più bassi emergono nei gruppi psicologico e politico-sociale e comunicazione, che scontano anche livelli bassi di retribuzione.
A queste caratteristiche già emerse da precedenti analisi, si affiancano nel 2020 gli interventi di policy attuati al fine di contenere gli effetti della pandemia, che in taluni casi hanno profondamente modificato la modalità di lavoro. È il caso del lavoro da remoto, che è esploso nel corso del 2020 e rappresenta ormai una realtà sia nelle aziende che nella pubblica amministrazione, che sarà interessante monitorare anche nel futuro.
Bibliografia
AlmaLaurea, XXIII Indagine sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei laureati, www.almalaurea.it
Banca d’Italia, Economie regionali. L’economia del Piemonte, Roma, 2021
ISTAT, Il mercato del lavoro 2020, Roma, 2020
Musto D., Gli esiti occupazionali dei laureati, in Osservatorio Istruzione e Formazione professionale Piemonte, in Rapporto 2020 e Rapporto 2021
Musto D., Perino G., Viberti G., Il fabbisogno formativo dei professionisti sanitari in Piemonte. La programmazione regionale di professionisti, a confronto con i bisogni di salute della popolazione 2021, Ires Piemonte, 2022
Parole chiave: laureati, occupazione, atenei del Piemonte
[1] In questa parte dell’analisi facciamo riferimento al tasso di occupazione adottato dall’ISTAT nell’Indagine sulle Forze di Lavoro, che considera occupati anche quanti sono impegnati in attività formative retribuite. Il tasso di occupazione dei laureati di primo livello è riferito alla sola popolazione che non risulta iscritta ad un altro corso di laurea.
[2] Non è possibile svolgere il medesimo approfondimento sui dati del Piemonte perché non si dispone dell’informazione sulla data di assunzione.
[3] Il lavoro stabile è individuato dalle posizioni lavorative dipendenti a tempo indeterminato e da quelle autonome propriamente dette, ovvero imprenditori, liberi professionisti e lavoratori in proprio.
[4] Nelle indagini condotte da Almalaurea, viene utilizzato un indicatore di “efficacia della laurea” che unisce e sintetizza due aspetti relativi alla richiesta e alla spendibilità del titolo universitario nel mercato del lavoro: l’efficacia della laurea deriva dalla combinazione delle risposte fornite dai laureati circa l’utilizzo delle competenze acquisite all’università e la necessità (formale e sostanziale) del titolo per svolgere l’attività lavorativa; viene quindi intesa come una misura della corrispondenza tra studi compiuti e professione svolta.
[5] Si è scelto di focalizzare l’attenzione su quei gruppi in cui almeno il 50% dei laureati ha iniziato a lavorare dopo la laurea, al fine di far emergere in maniera più evidente se la laurea magistrale abbia ricoperto un ruolo importante nell’avvio del lavoro e nelle caratteristiche dell’attività stessa. Così facendo rimangono fuori dall’analisi i gruppi insegnamento, medico-sanitario e farmaceutico, scienze motorie e sportive, gruppi in cui è più frequente la prosecuzione del lavoro iniziato prima del conseguimento del titolo.