Giorgio Vernoni – IRES Piemonte
La questione dell’occupazione dei “giovani” è al centro del dibattito pubblico e scientifico sul mercato del lavoro da almeno trent’anni, in Italia e in Europa. Questa attenzione è da ricondurre alla difficoltà di inserimento lavorativo scontata dalle persone che fanno parte di questo (non ben definito) gruppo anagrafico e alle condizioni relativamente peggiori – in particolare in termini di stabilità del rapporto e di trattamento economico – che ottengono le stesse persone, una volta trovato un impiego.
Effettivamente, alla fine del 2019, anno precedente alla conclamazione della crisi sanitaria, in Italia il tasso di occupazione dei giovani tra i 20 e i 29 anni si è attestato al 45%, rispetto al 67% fatto registrare dai lavoratori tra i 30 e i 64 anni. Si tratta di valori di gran lunga peggiori rispetto alla media dell’area Euro, dove le persone adulte occupate erano il 75%, mentre il tasso di occupazione tra i ventenni arrivava al 64%. In questo quadro, il Piemonte si colloca in una posizione intermedia, con un tasso di occupazione tra i 30 e i 64 anni allineato alla media europea (74%) e quello tra i 20 e i 29 anni al 54%, superiore al dato nazionale, ma inferiore a quello dell’area Euro, rimarcando la specificità del problema.
A partire da queste constatazioni, questa analisi vuole fare il punto sul tema dell’occupazione giovanile in Piemonte tra la fine della “crisi finanziaria globale” del 2008-2011 (e l’inizio di quella italiana del debito sovrano) e la crisi indotta dall’epidemia del Covid-19, a partire dalle principali fonti informative disponibili. In particolare, si intende analizzare l’evoluzione del livello di occupazione dei giovani e, successivamente, alcune caratteristiche qualitative della stessa occupazione.
Prima di procedere, è però necessario precisare cosa intendiamo per “giovani in età da lavoro”. La definizione più ricorrente nell’ambito della statistica descrittiva fa riferimento alle persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni e include talvolta quelle fino a 29 anni. Si tratta di un’impostazione che risale all’inizio degli anni ’80, al termine di un’epoca in cui non era infrequente trovare un impiego già dopo la scuola secondaria. L’innalzamento dell’età minima per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione e, soprattutto, l’aumento dei livelli di scolarità, hanno però reso obsoleta questa impostazione e le analisi sul lavoro che ancora la utilizzano tendono a restituire delle evidenze molto disturbate dall’indeterminatezza della fase di passaggio dalla scuola al lavoro (o agli studi terziari). Altre impostazioni hanno invece esteso la definizione fino ai 34 anni, in considerazione della prolungata instabilità che caratterizza la prima parte dei percorsi lavorativi dei giovani, ritardando l’accesso alla vita “adulta” e pienamente autonoma.
Constatando queste forzature indotte dal mutamento della società, in questo studio si è scelto di focalizzare l’analisi sui “giovani” tra i 20 e i 29 anni, di fatto aggiornando il principio che sta alla base della definizione più datata. È infatti in questa fascia di età che può (e dovrebbe) avvenire il pieno ingresso nel mercato del lavoro, anche a fronte dell’eventuale accesso agli studi terziari. Le analisi presentate tengono pertanto conto di tre classi di età principali: quella compresa tra i 20 e i 29 anni di “ingresso” nel mercato del lavoro, quella tra i 30 e 54 anni, che dovrebbe essere di “piena permanenza e stabilità” e quella tra i 55 e 64 anni, nella quale si avvia il percorso che conduce alla pensione.
Quanti sono i giovani in Piemonte?
Prima di passare a una più puntuale analisi dei dati occupazionali, è necessario rispondere a un paio di domande preliminari di carattere demografico: quanti sono i giovani residenti in Piemonte e, soprattutto, sono abbastanza numerosi rispetto ai bisogni della società e dell’economia della regione?
Secondo i dati Istat di derivazione anagrafica, alla fine del 2020 risultavano residenti in regione circa 4.275.000 abitanti (tabella 1). Di questi circa il 17% aveva meno di vent’anni, mentre i piemontesi tra i 20 e i 29 anni, il gruppo anagrafico più rilevante ai fini di questa analisi, erano circa 406.000, pari al 9% del totale. Nello stesso tempo, la coorte centrale degli adulti tra 30 e 54 anni rappresentava circa un terzo della popolazione, i maturi tra i 55 e 64 anni il 15%, mentre gli anziani (65 anni e oltre) erano ormai più del 26% del totale.
Tabella 1 – Popolazione residente in Piemonte (in migliaia)
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati Istat
Rispetto all’inizio del periodo di osservazione (2011), la popolazione piemontese risulta in modesta contrazione del 2% (circa 83.000 abitanti in meno), anche se occorre osservare che il processo di diminuzione dei residenti è iniziato nel 2016, perché fino a quell’anno la popolazione è cresciuta in maniera costante. Ciò che è cambiato è la composizione per età della popolazione, con un netto aumento degli over 55 (+10%), principalmente a scapito delle coorti centrali tra 30 e 54 anni (-11%) e, in quota molto minore, degli under 20 (-5%), mentre risulta relativamente stabile la coorte dei ventenni.
Il principale fenomeno sottostante a questi dati è l’invecchiamento e l’avvio del processo di fuoriuscita dal mercato del lavoro dei cosiddetti “baby boomer”, ossia i nati a cavallo degli anni ’60, contestualmente al boom economico del secondo dopoguerra. In ragione di tale concomitanza, questa generazione è stata relativamente più numerosa rispetto alle precedenti e alle successive e fino al decennio scorso ha rappresentato la componente di riferimento del mercato del lavoro nei paesi sviluppati. Questo processo di fuoriuscita ha preso velocità nella seconda metà degli anni ’10, interessando principalmente le persone dai 30 anni in su.
Al di là di questa ricomposizione, resta da capire se i giovani piemontesi siano in prospettiva abbastanza numerosi. Per rispondere alla seconda domanda posta in apertura, il grafico 1 confronta la distribuzione per classe di età della popolazione residente in Piemonte, in Italia e in alcune regioni europee sovente utilizzate come benchmark. L’evidenza che salta all’occhio non è soltanto la distribuzione meno favorevole del Piemonte rispetto alle regioni del Nord Italia e al Paese, ma soprattutto la differenza rispetto alle West Midlands (Regno Unito), dove il rapporto tra giovani e anziani è diametralmente opposto, alla regione Rhône-Alpes (Francia) e al Baden-Wuttenberg (Germania).
Grafico 1 – Distribuzione della popolazione residente per classe di età in Italia, Piemonte e in alcune regioni benchmark (2018)
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati Istat
Nella prospettiva di questa analisi, tuttavia, lo squilibrio più rilevante non è solo quello tra giovani e anziani, ma tra i giovani e la popolazione in età da lavoro che dovrà essere progressivamente sostituita nei prossimi anni. Questo fabbisogno (potenziale) può essere misurato attraverso l’indice di ricambio della popolazione attiva (grafico 2), che misura il rapporto tra la popolazione prossima all’età della pensione (60-64 anni) e quella che si avvicina all’età da lavoro (15-19 anni). Questo indice, oltre a mostrare una questione di rilevanza nazionale, segnala in Piemonte uno squilibrio molto più marcato, perché il numero dei sessantenni in uscita è del 50% maggiore rispetto ai teenager che potrebbero rimpiazzarli. Inoltre, se il trend di questi dati è stato positivo fino al 2015 (ossia è diminuito), a partire da quel momento ha ripreso a crescere per il già richiamato esodo dei baby boomer.
Grafico 2- Indice di ricambio della popolazione attiva in Italia, Piemonte e in alcune regioni benchmark
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati Istat
I giovani rappresentano quindi una componente importante della società piemontese; sono pochi e, in prospettiva, insufficienti a garantire un adeguato ricambio dei baby boomer che stanno andando in pensione. A fronte di questa rilevanza, quanto e come hanno partecipato al mercato del lavoro regionale nel decennio precedente all’emergenza sanitaria?
L’occupazione giovanile in Piemonte dopo la crisi finanziaria globale
In realtà, se si analizza l’andamento dei principali indicatori occupazionali, la risposta più corretta è “sempre meno”. Il tasso di occupazione dei giovani tra i 20 e i 29 anni è infatti passato da 60% del 2011 al 54% del 2019, in maniera più evidente dal 2013, successivamente all’entrata in vigore della riforma delle pensioni del 2011, che ha progressivamente innalzato i requisiti anagrafici e contribuitivi necessari per ottenere il congedo (grafico 3a). Anche per questo motivo, nello stesso periodo si osserva un netto aumento della percentuale di occupati tra i 55 e 64 anni (18 punti in più), mentre il livello di occupazione delle coorti anagrafiche centrali è rimasto stabilmente sopra l’80%. Al termine del ciclo compreso tra la fine della crisi finanziaria globale e l’emergenza sanitaria, lo scarto tra i ventenni e gli adulti è quindi passato da 22 a 28 punti percentuali.
Grafico 3a e 3b – Tasso di occupazione (a) e tasso di inattività (b) per classe di età in Piemonte
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Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati RFL Istat
Un quadro analogo emerge dall’analisi del tasso di disoccupazione[1] (un indicatore che nelle turbolenze degli ultimi vent’anni è risultato meno rappresentativo per l’ampliamento dei fenomeni di disattivazione dell’offerta di lavoro), che nel 2014 ha toccato tra i 20-29enni il 27%, dal 15% del 2011, per poi diminuire fino al 17% nel 2019. Nello stesso periodo, è interessante constatare un livello di disoccupazione strutturalmente inferiore tra i lavoratori maturi (55-64 anni), sempre al di sotto del 6%.
La diminuzione del livello di disoccupazione nella congiuntura relativamente stabile che ha preceduto l’emergenza sanitaria non è da ricondurre, se non in piccola parte, all’accesso al lavoro, ma piuttosto all’aumento del livello di inattività. Il tasso di inattività[2] (grafico 3b) è passato tra i ventenni dal 30% del 2011 al 35% del 2019, mentre nello stesso periodo il livello di inattività delle persone mature è inevitabilmente calato dal 61% al 41%. Nel caso dei giovani le ragioni della disattivazione potrebbero essere diverse (ad esempio, un maggiore accesso agli studi universitari), ma la lettura combinata dei dati disponibili suggerisce un più probabile processo di spiazzamento indotto dalla più lunga permanenza al lavoro delle coorti mature, alle quali si è indirizzata la maggiore parte della domanda aggiuntiva generata nel quinquennio precedente all’emergenza Covid.
Anche da una prospettiva più strettamente qualitativa, ossia quella offerta dagli indicatori che misurano la stabilità e l’intensità del lavoro, i dati disponibili non segnalano, nel decennio passato, nessuna significativa inversione di tendenza. Tra i lavoratori dipendenti, che nel caso dei giovani rappresentano l’85% dello stock di occupati, il ricorso al lavoro part-time ha interessato nel 2019 il 22% dei ventenni, una percentuale superiore a quella registrata nelle coorti anagrafiche centrali (intorno al 19%) e nettamente superiore a quella rilevata tra gli over 54 (intorno al 16%). Molto più eclatanti appaiono i dati relativi al ricorso al lavoro a tempo determinato (ossia quello che, non sempre correttamente, si qualifica come “precario”), che nel 2019 ha riguardato il 46% degli occupati dipendenti tra i 20 e i 29 anni, un dato stabile nella fase più recente, ma in chiaro aumento rispetto al 38% del 2011. In questo caso, la differenza tra le tre coorti anagrafiche analizzate è molto più ampia, visto che il lavoro a termine non interessa più del 10% dei dipendenti tra 30 e 54 anni e poco più del 5% di quelli da 55 anni in su.
Grafico 4a e 4b – Incidenza dell’occupazione dipendente a) part-time e b) a tempo determinato per classe di età in Piemonte
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Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati RFL Istat
La forte correlazione tra occupazione giovanile e lavoro a termine è mostrata chiaramente anche nel grafico 5a, che mette a confronto il peso dei lavoratori tra 20 e 29 anni sul totale dell’occupazione dipendente e l’incidenza del lavoro a termine sul totale degli occupati per settore di attività. I giovani risultano maggiormente presenti nei settori i cui è più frequente il ricorso al lavoro a tempo determinato e viceversa, secondo una linea di tendenza che vede all’estremità inferiore la pubblica amministrazione (PAM), dove i dipendenti a termine sono solo il 3,5% del totale e i giovani tra 20 e 29 anni poco più del 3%, e all’estremità superiore il turismo-ristorazione (TUR), dove l’incidenza degli occupati a termine è pari al 31% e l’incidenza dei giovani pressoché identica.
Interrogarsi sulle cause di questa correlazione richiederebbe più spazio, tuttavia un indizio interessante arriva dal grafico 5b, che mette a confronto l’incidenza dell’occupazione giovanile con un indice di volatilità contrattuale (in particolare il numero di contratti di lavoro attivati per occupato a tempo pieno su base annua) negli stessi settori analizzati nel grafico precedente. I giovani tendono a lavorare negli ambiti in cui la volatilità contrattuale è più elevata (ossia si attivano più contratti per generare un posto di lavoro full-time) probabilmente perché è in questi settori che, in assenza di significative esperienze, risulta più facile trovare un’opportunità di inserimento. Questa evidenza conferma probabilmente l’insussistenza di fenomeni di esplicita discriminazione, ma, al tempo stesso, di non meno insidiosi processi di autoselezione che, in particolare tra i soggetti più deboli e meno qualificati, possono tradursi in fenomeni di dipendenza da percorso[3], ossia, in questo caso specifico, nella maggiore probabilità di continuare a lavorare nei settori più “precari” in cui il percorso lavorativo ha avuto inizio.
Grafico 5a e 5b – Correlazione tra occupazione giovanile e a) ricorso al lavoro a tempo determinato e b) volatilità contrattuale per settore di attività in Piemonte (medie 2019-2021)
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Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati RFL Istat e ORML Regione Piemonte
Legenda: AGR: agricoltura; IND: industria; COS: costruzioni; COM: commercio; TUR: alberghi e ristoranti; TRA: trasporti e logistica; ICT: servizi di informazione e comunicazione; FIN: attività finanziarie e assicurative; SEI: servizi alle imprese e altre attività professionali; PAM: pubblica amministrazione; SAN+EDU: istruzione, sanità ed altri servizi sociali; SEP: servizi personali.
L’occupazione giovanile durante la pandemia
L’analisi della fase più recente è in parte condizionata dalla temporanea indisponibilità di alcuni microdati raccolti dalla Rilevazione sulle Forze di Lavoro ISTAT, interessata da una complessiva revisione metodologica e delle serie storiche, che per ora impedisce di effettuare il confronto tra quanto è stato registrato nel 2019, ultima annualità precedente all’emergenza Covid, e il 2021, anno di piena gestione della stessa emergenza, grazie alla realizzazione della campagna vaccinale. In ogni caso, i dati relativi al 2020 confermano le tendenze di lungo periodo già commentate, con un’ulteriore contrazione del tasso di occupazione dei giovani tra 20 e 29 anni, ormai sotto al 50% (grafico 3a), e, soprattutto, l’ampliamento dello scarto con il gruppo di riferimento degli adulti tra 30 e 54 anni. Di conseguenza, risulta in aumento fino al 40% il tasso di inattività (grafico 3b), anche in ragione dei maggiori ostacoli causati dalla pandemia, che nel 2020 hanno sovente impedito alle persone di cercare un impiego, mentre non si rilevano cambiamenti significativi nel ricorso al lavoro a tempo parziale e a tempo determinato.
Più completi e dettagliati risultano invece i dati sulla domanda di lavoro dipendente che derivano dalle Comunicazioni obbligatorie sui rapporti di lavoro (tabella 2). In un quadro che nel 2019 ha visto i contratti sottoscritti e, soprattutto, i posti di lavoro equivalenti a tempo pieno attivati dagli stessi contratti[4] tornare ai livelli del 2019, l’analisi di questa fonte amministrativa segnala delle dinamiche interessanti.
Tabella 2 – Assunzioni e posti di lavoro FTE attivati dalle assunzioni per classe di età in Piemonte
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati ORML Regione Piemonte
Infatti, se tra il 2019 e il 2020 la domanda di lavoro dipendente di giovani tra i 20 e i 29 anni è diminuita del 17%, in particolare per la maggiore esposizione al lavoro a termine, nel 2021 si osserva nella stessa classe di età un rimbalzo del 25%, che conduce a un saldo positivo rispetto al 2019 del 3% circa. Si tratta pertanto di un dato migliore rispetto a quello fatto registrare dal gruppo anagrafico centrale (30-54 anni), che recupera (ma non supera) il livello del 2019, mentre gli over 54 fanno registrare un saldo positivo del 9%, principalmente in ragione della migliore tenuta nel 2020, grazie alla minore esposizione al lavoro a tempo determinato.
Grafico 6 – Variazione dei posti di lavoro a tempo pieno attivati dalle assunzioni (FTE) per classe di età in Piemonte - Anni 2019-2021
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati ORML Regione Piemonte
È troppo presto per capire se questa dinamica positiva sia destinata a consolidarsi, tuttavia l’analisi delle caratteristiche professionali delle assunzioni può fornire alcune indicazioni aggiuntive e, tutto sommato, confortanti. Infatti, la variazione dei posti FTE attivati dalle assunzioni per grande gruppo professionale tra il 2019 e il 2021 segnala per la coorte tra i 20 e 29 anni un significativo aumento della richiesta di profili ad alta specializzazione (+36%), nettamente superiore a quella ottenuta dai lavoratori nelle altre classi di età. Tra i ventenni aumenta più della media anche la domanda di impiegati esecutivi (+12%) e di operai specializzati (+9%), mentre la contrazione più significativa si rileva tra gli addetti al commercio e ai servizi alle persone (-16%). Sebbene il dato relativo al personale ad alta specializzazione sia condizionato dall’aumento della richiesta di addetti qualificati in ambito sanitario, sovente a tempo determinato, e dall’accelerazione del ricambio del personale insegnante, da questa prospettiva la dinamica complessiva appare positiva, perché indica un trasferimento della domanda di giovani dai mestieri del commercio, nei quali risultano più impiegati (nel 2019 circa il 24% del totale, contro il 20% delle altre classi di età), ai profili specializzati, dove sono meno impiegati (12% del totale, contro il 16% delle altre classi di età).
Grafico 7 – Variazione dei posti di lavoro a tempo pieno attivati dalle assunzioni (FTE) per grande gruppo professionale e classe di età in Piemonte - Anni 2019-2021
Fonte: Elaborazioni IRES Piemonte su dati ORML Regione Piemonte
L’analisi dei gruppi professionali inclusi nei grandi gruppi conferma questa interpretazione. Tra i profili ad alta specializzazione, nella classe di età compresa tra i 20 e i 29 anni risultano in maggiore crescita rispetto tra il 2019 e il 2021 gli specialisti nella formazione e nella ricerca (+46%), seguiti dagli specialisti in materie STEM - Science, Technology, Engineering and Mathematics (+40%) e dagli specialisti in scienze umane, sociali e gestionali (+14%). Al contrario, tra gli addetti al commercio e ai servizi, arretra la domanda di personale negli alberghi e ristoranti (-22%) e nel commercio (-13%), mentre tra i mestieri d’ufficio risulta in crescita la domanda di personale impiegato nella gestione amministrativa, contabile e finanziaria (+30%).
Conclusioni
Da una prospettiva molto ampia, il quadro complessivo sull’occupazione dei giovani piemontesi che emerge da questa analisi non segnala dopo la “crisi finanziaria globale” significativi cambiamenti di stato. Se prima di quell’evento i principali problemi di lungo termine di questo gruppo anagrafico erano la difficoltà di accesso al mercato del lavoro e, poi, la permanenza nello stesso mercato a condizioni relativamente soddisfacenti, in termini di stabilità e di contenuti, i dati analizzati li confermano entrambi, con un tendenziale peggioramento dei livelli di occupazione e di inattività. Le ragioni di questo peggioramento sono in buona parte da attribuire all’onda lunga della crisi del 2008, anche in termini di politiche di bilancio e previdenziali, a cui nel frattempo si sono aggiunti altri fattori, a partire dalla transizione tecnologica, con i conseguenti problemi di mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Non si tratta – va sottolineato – di un problema locale, bensì nazionale, che però assume in Piemonte maggiore rilevanza, da una parte per l’interrelazione con l’ancora incompleta transizione dell’economia regionale, alla base di una domanda di lavoro debole, dall’altra per l’incombente evoluzione demografica. Nei prossimi anni, infatti, il fabbisogno di ricambio della popolazione attiva è destinato ad aumentare per il progressivo pensionamento dei baby boomer e il rischio di un disallineamento non solo qualitativo, ma anche quantitativo appare probabile, a meno di un non auspicabile ulteriore ridimensionamento della domanda. Questa considerazione chiama naturalmente in campo le politiche, in particolare quelle di derivazione nazionale ed europea, a partire dalla constatazione che quelle adottate nel decennio scorso non sembrano aver raggiunto, almeno in questo territorio, gli obiettivi macroeconomici auspicati. Qualche segnale di ottimismo deriva però dalla congiuntura più recente (2021) che, nonostante lo shock della pandemia, per ora anestetizzato dalla spesa pubblica, sembra favorire moderatamente i ventenni, non solo dal punto di vista quantitativo, ma soprattutto da quello qualitativo, con un evidente miglioramento della composizione e del livello di qualificazione della domanda. È troppo presto per comprendere la solidità di queste segnale, ma sicuramente è orientato nella giusta direzione.
[1] Il tasso di disoccupazione misura il rapporto percentuale tra i disoccupati e le forze di lavoro, costituite dalla somma degli occupati e dei disoccupati, in una determinata classe di età. Si definiscono “disoccupate” le persone che sono immediatamente disponibili a lavorare e sono attivamente alla ricerca di un impiego o attendono di iniziare un lavoro entro tre mesi dalla rilevazione.
[2] Il tasso di inattività misura il rapporto percentuale tra le persone a vario titolo inattive (né occupate, né disoccupate) e la popolazione residente in una determinata classe di età.
[3] La “dipendenza dal percorso” (in inglese “path dependence”) è un concetto utilizzato nelle scienze sociali per descrivere processi o fenomeni in cui decisioni o eventi nel passato condizionano decisioni o eventi successivi.
[4] I posti di lavoro equivalenti a tempo pieno attivati dalle assunzioni, definiti anche “posti di lavoro FTE” a partire dall’acronimo standard di Full-Time Equivalent, sono il risultato di una procedura di normalizzazione dei dati relativi alle assunzioni che tiene conto della loro durata attesa, del regime orario (tempo pieno o parziale) e della tipologia di contratto individuale di lavoro utilizzato per effettuarle. Questa procedura consente di misurare più precisamente la consistenza di ogni assunzione registrata riportandola a un’unità di misura che rappresenta una persona occupata per un anno a tempo pieno. Complessivamente, i posti di lavoro FTE rappresentano con buona approssimazione la domanda di lavoro dipendente espressa dai datori nel mercato del lavoro.