A cura di Stefano Cavaletto, Ires Piemonte
A tre mesi dallo scoppio dell’epidemia di COVID-19, il settore agricolo piemontese affronta un primo bilancio della crisi che ha colpito il sistema economico sia nazionale che globale. Nelle decisioni del governo italiano, in particolare nei decreti dell’11 marzo e del 21 marzo 2020, l’agroalimentare è stato individuato tra i settori necessari e strategici per l’economia nazionale e perciò non soggetto alle chiusure previste dalle misure adottate per il contenimento dell’epidemia.
Il settore ha però fin da subito dovuto affrontare numerose difficoltà, soprattutto a causa dell’improvvisa chiusura di un importante sbocco commerciale quale il settore turistico e della ristorazione, oltre che per la carenza di manodopera causata dalle difficoltà di movimento dei lavoratori stagionali, in gran parte di origine straniera.
Alla luce dei decreti governativi citati, tuttavia, non tutte le aziende agricole hanno potuto proseguire le attività. Il settore florovivaistico, ad esempio, non producendo generi alimentari è stato impossibilitato a vendere i propri prodotti al pubblico subendo un arresto delle entrate proprio nei mesi più importanti dell’annata commerciale. Secondo gli operatori del settore, le stime dei danni relativi a questo periodo ammonterebbero a circa il 55-60% del fatturato annuo, con un’incidenza maggiore per le aziende floricole. In Piemonte, a fine 2019, erano 805 le aziende florovivaistiche iscritte al registro delle imprese[1] con una produzione ai prezzi di base di circa 71 milioni di euro[2] e perdite, quindi, stimabili tra i 35 e i 40 milioni di €.
Un altro ramo costretto a fermarsi è stato quello dell’agriturismo. Si tratta in Piemonte di 1.316 aziende che per tre mesi hanno dovuto rinunciare ad una fonte di guadagno indispensabile per garantire la propria redditività[3]. A queste vanno aggiunte circa 250 fattorie didattiche, anch’esse impossibilitate a svolgere il proprio lavoro per molte settimane anche se per esse si apre ora la possibilità di poter ricevere i bambini all’aperto nei mesi caldi. Per le attività di ristorazione e ricezione, invece, la crisi è destinata a durare, dovendo fare i conti, anche dopo la riapertura, con la quasi totale assenza di turisti stranieri e con un forte calo del turismo interno. Sono 914 le aziende agrituristiche in Piemonte che offrono la possibilità di pernottamento per un totale di 10.393 posti letto. Secondo l’Istat, la quota dei visitatori provenienti dall’estero in Piemonte è del 45% e questo afflusso è destinato ad essere quasi azzerato anche nei prossimi mesi. Uno spiraglio potrebbe aprirsi per le aziende situate in aree montane in cui, nei mesi estivi, si prevede un aumento di flussi turistici locali, soprattutto se le restrizioni ai movimenti interregionali saranno confermate. In ogni caso, le aziende ricettive dovranno affrontare importanti misure di adattamento dei propri spazi per rispettare le regole sanitarie, riducendo la capacità di accoglienza e subendo costi imprevisti.
Passando all’altra grande criticità del settore, fin dai primi giorni le principali organizzazioni agricole hanno lamentato la carenza di manodopera stagionale, una componente fortemente rappresentata da lavoratori extraeuropei di cui una parte soggiorna nel nostro territorio per i soli mesi in cui svolge l’attività. Secondo uno studio del Crea[4], nel 2017 erano 35.012 gli occupati a tempo determinato in Piemonte di cui il 59% di origine straniera. Le attività che necessitano maggiormente di lavoratori stagionali sono la raccolta e le attività di magazzino dei settori viticolo e frutticolo nei quali erano stati assunti 15.060 lavoratori stranieri, di cui 10.560 extracomunitari. La mancanza di tale manodopera nelle stagioni di maggior intensità di lavoro potrebbe, quindi, mettere in crisi questi settori oltre che minacciare il regolare afflusso di scorte per l’approvvigionamento alimentare.
Per quanto riguarda gli aspetti di mercato, le prime ripercussioni si sono avute sul fronte delle esportazioni con una diminuzione della domanda di prodotti italiani a causa della chiusura, in quasi tutti i principali paesi acquirenti, del segmento Horeca (HOtellerie, REstaurant, CAtering o CAfè), un canale distributivo essenziale per le nostre produzioni DOP e per i vini DOC/DOCG. Inoltre, con lo scoppio della crisi economica in paesi grandi importatori come USA e Gran Bretagna, il calo delle vendite si sta diffondendo anche nei consumi domestici, andando ad incidere su prodotti di alta gamma come, ad esempio, i prodotti DOP più pregiati. Secondo Federalimentare, il valore dell’export alimentare italiano in quest’annata potrebbe scendere del 15% rispetto al 2019. Le produzioni più colpite sarebbero quelle del settore vitivinicolo oltre a quelle del lattiero caseario e dei salumi, in cui le aziende piemontesi sono direttamente coinvolte nelle principali filiere nazionali.
Anche sul fronte del mercato interno, sono state numerose le criticità che hanno interessato il settore ma in questo caso non sono mancate le opportunità per le aziende che hanno saputo organizzarsi in modo efficiente. Anche in questo caso i settori più in difficoltà sono quelli che hanno legami più stretti con il turismo e la ristorazione (in cui incide anche la chiusura delle mense scolastiche) come il vitivinicolo, il lattiero caseario e la zootecnia da carne. A livello generale, invece, il blocco di questi canali distributivi, è stato parzialmente compensato da un aumento degli acquisti di prodotti alimentari presso la grande e piccola distribuzione. Uno studio di Ismea ha evidenziato un aumento medio degli acquisti domestici del 19% con molti prodotti agroalimentari a far segnare le performance migliori degli ultimi anni. Nel canale della grande distribuzione sono inizialmente cresciuti i prodotti a lunga conservazione (pasta, riso, legumi e prodotti di quarta e quinta gamma)[5] mentre a partire dalla seconda metà di marzo si è registrato un vero e proprio boom dei prodotti utilizzati per cucinare (uova, farina, olio, ecc…). Nel complesso la crescita maggiore è stata quella delle uova (+57% in valore rispetto allo stesso periodo del 2019) ma ottimi sono stati anche i risultati di salumi (30,6%), carni (28,4%), latte e derivati (26,7) e ortaggi 23,6%.
A seguito delle misure di lockdown, che hanno imposto un cambiamento delle abitudini di acquisto alla maggior parte della popolazione, molte aziende agricole hanno implementato forme di vendita diretta a domicilio anche grazie all’uso di piattaforme digitali appositamente create. Il canale distributivo a crescere maggiormente, in termini percentuali, è quello dei piccoli negozi di prossimità (in cui è stato più facile l’inserimento di nuove aziende agricole tra i fornitori) mentre nella grande distribuzione il canale dell’e-commerce ha raggiunto il limite massimo imposto dalla propria capacità.
Le principali istituzioni hanno cercato fin dai primi giorni di mettere in campo misure straordinarie che possano aiutare il settore ad affrontare il momento critico. Le prime decisioni assunte dalla Unione Europea hanno riguardato dapprima la concessione dell’anticipo dei pagamenti PAC[6] per permettere alle aziende agricole di ottenere liquidità in un momento così critico; in seguito è stato varato un regime straordinario di aiuti di Stato valido fino al 31 dicembre prossimo. A livello nazionale, nel “Decreto Cura Italia” e nel successivo “Decreto Rilancio” sono stati creati dei fondi speciali a sostegno dei settori che maggiormente hanno risentito della crisi: florovivaismo, lattiero-caseario, zootecnico, vinicolo, pesca e acquacoltura, oltre all’agriturismo. Proprio nell’ultimo decreto, presentato il 13 maggio, è presente anche lo stanziamento di 100 milioni di euro a favore del settore vitivinicolo per finanziare la cosiddetta “vendemmia verde”[7], che darebbe alle aziende vitivinicole la possibilità di affrontare l’emergenza causata dai livelli elevati di giacenze nelle cantine limitando, anche in futuro, l’impatto sull’equilibrio tra domanda e offerta. Anche la Regione Piemonte, nel documento denominato “Bonus Piemonte”, ha previsto contributi a fondo perduto per le imprese colpite dalla chiusura. Tra esse anche gli agriturismi che dovrebbero beneficiare di un bonus di 2.500€. La Regione, inoltre, ha promosso, a partire dal mese di aprile, l’iniziativa “Io Lavoro in Agricoltura”, un servizio di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro per favorire il reclutamento di manodopera nei settori in difficoltà. Le domande pervenute, a quasi un mese dall’apertura hanno superato le 1.300.
In conclusione, ci troviamo di fronte a una crisi che ha colpito in maniera improvvisa e che potrebbe avere ripercussioni di lunga durata soprattutto in alcuni comparti. Un dato di fatto è che tra le categorie più colpite del nostro settore agroalimentare, ci sono proprio quelle che hanno trainato il settore negli anni recenti come le aziende esportatrici di prodotti di qualità e l’intero circuito turistico enogastronomico. Tuttavia, anche in questa occasione vi sono state aziende, che in brevissimo tempo, hanno saputo innovare cogliendo le opportunità offerte dal mercato. Una sfida ulteriore per un settore che negli ultimi anni ha dovuto affrontare numerose trasformazioni e che grazie alla combinazione di esperienza ed innovazione ha sempre saputo adattarsi ai cambiamenti.
[1] Dati Unioncamere.
[2] Istat, Conti territoriali.
[3] Istat, Aziende agrituristiche in Italia.
[4] M.C. Macrì (a cura di), “Il contributo dei lavoratori stranieri all’agricoltura italiana”, Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria (CREA), 2019.
[5] Si definiscono prodotti ortofrutticoli di IV gamma la frutta, la verdura e, in generale, gli ortaggi freschi, venduti già confezionati e pronti per il consumo; si definiscono di V gamma gli stessi prodotti pronti per il consumo ma già precotti.
[6] Politica Agricola Comune dell’Unione Europea.
[7] Si tratta di una norma che prevede un contributo in denaro alle aziende che raccolgono/distruggono le uve prima della maturazione rinunciando ad immetterle sul mercato.