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di Roberto Leombruni e Federico Scarscelli (Università di Torino)
Esiste un tema ricorrente quando si parla di istruzione e formazione: la scuola non insegna ai giovani a lavorare, poiché fornisce loro competenze disallineate con le esigenze del mondo del lavoro. Questo da un lato genera disoccupazione, dall’altro frena la crescita delle imprese per la difficoltà di reclutamento delle figure necessarie[1].
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di Giorgio Vernoni (Ires Piemonte)
Dalla prospettiva del mercato del lavoro, il decennio scorso è stato davvero turbolento. Iniziato sotto gli effetti della più grave recessione economica del secondo dopoguerra e di misure senza precedenti per conservare la base produttiva e l’occupazione, è proseguito con la crisi solo italiana del debito sovrano, che ha anche condotto a una profonda riforma del sistema previdenziale e al contenimento del turnover nel settore pubblico. A questi due shock è seguita una stagione di significativi interventi regolatori di diverso orientamento, fino all’imprevedibile emergenza sanitaria del 2020, anch’essa affrontata con inedite misure di protezione, con effetti sul lavoro non solo di natura economica, ma anche culturale.
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di Roberto Quaranta e Claudia Villosio (Collegio Carlo Alberto)
Negli ultimi anni si è osservato un aumento delle dimissioni volontarie negli Stati Uniti e in Europa che ha alimentato il dibattito attorno al tema delle "Grandi dimissioni” (Great resignation). Questo fenomeno è stato inizialmente collegato al conflitto, acuito dalla pandemia di Covid-19, tra valori individuali e regole del mercato del lavoro, con conseguente crescita del numero di persone che lasciano volontariamente impieghi anche per ragioni non strettamente economiche. In realtà, il fenomeno non è del tutto nuovo: Gittleman (2022) analizza i dati storici della Labor Turnover Survey (LTS) negli Stati Uniti e conclude che i recenti tassi di abbandono, sebbene certamente elevati per il XXI secolo, non sono i più alti storicamente registrati negli USA.
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di Giorgio Vernoni (Ires Piemonte)
Se si osserva l’andamento dell’occupazione in Piemonte nel decennio compreso tra la crisi finanziaria globale e la pandemia è possibile constatare dei trend relativamente stabili. Rispetto al 2010 il numero di occupati non ha mai fatto registrare variazioni superiori al 2%, mentre le ore lavorate, molto più reattive alla congiuntura, sono diminuite in proporzioni maggiori solo nel 2014, quando è arrivato il conto della crisi del debito nazionale (grafico 1). Alla fine del periodo di osservazione il numero di occupati risulta tornato ai livelli del 2010, mentre le ore lavorate sono diminuite del 2%, per ragioni che si ricorderanno più avanti.
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di Salvatore Cominu (Ires Piemonte)
Questo articolo si propone di descrivere le trasformazioni salienti della struttura occupazionale del Piemonte nel decennio scorso (2011-2019) e in confronto con un gruppo di regioni (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna - di seguito denominate LoVER - e Toscana) comparabili per caratteristiche produttive e sviluppo economico. Acquisito che la struttura dell’occupazione è sempre in mutamento, poiché cambiano assetti produttivi, tecnologici, regolativi e con essi la “società” (valori, modelli di consumo, ecc.), e che le «grandi trasformazioni» tra vecchia «società industriale» ed economia dei nostri giorni sono più che note, ci si soffermerà sui mutamenti intervenuti nel periodo precedente alla pandemia del Covid-19.
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di Sonia Bertolini e Veronica Allegretti (Università di Torino)
Il contributo -, mette in luce l’aumento del numero di dimissioni volontarie in Piemonte, anche da parte di chi è assunto con contratti a tempo indeterminato, specialmente tra i giovani. Ciò avviene in una Regione che presenta alcuni dati strutturali negativi sul posizionamento dei giovani nel mercato del lavoro, se comparata con le altre regioni del Nord-Ovest, in particolare il basso tasso di occupazione e, soprattutto, l’alto tasso di NEETs. Nel 2022 il tasso di occupazione nella classe di età 15-24 anni si è attestato in Piemonte al 22,3% (Tabella 1), a fronte di una media nazionale del 19,8% (Istat, 2023[1]), mentre nella fascia di età 15-34 anni ha raggiunto il 49,3%, a fronte di una media nazionale pari al 43,7%.
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di Luisa Donato (IRES Piemonte)
L’articolo presenta un approfondimento sulla transizione scuola lavoro dei giovani piemontesi. Analisi di medio termine sull’occupazione dei laureati (Almalaurea) e dei diplomati (ISTAT) evidenziano una competizione e un progressivo spiazzamento dei titoli inferiori da parte di quelli superiori nel mercato del lavoro giovanile. Si configura quindi una tendenza strutturale del sistema che da un lato spinge ragazzi e ragazze a un maggior investimento in formazione e, dall’altro, stenta ad assorbire la forza lavoro giovanile a più elevata qualificazione che si presenta sul mercato.
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