I servizi di mobilità condivisa (shared mobility services) e l’evoluzione tecnologica

    a cura di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. - Sorbonne Universités — Université de Technologie de Compiègne, France Politecnico di Torino, Italy.

    La cosiddetta mobilità condivisa, meglio nota con il termine anglosassone di “shared mobility” è oggi un tema molto dibattuto nell’ambito dei trasporti ed è una delle soluzioni suggerite dalla Commissione Europea per orientare la mobilità verso una maggiore sostenibilità. La shared mobility è una delle componenti della cosiddetta “sharing economy. Anche se oggi manca  un consenso in merito alla sua definizione, essa può essere sintetizzata come: a) economia di accesso (access economy); b) in cui l’aspetto di condivisione diventa secondario; c) ed il mercato è mediato da un’impresa intermediaria (Eckhardt and Bardhi, 2015).

    In seguito si presentano alcuni dati sulla sharing economy e si illustra il business model dei servizi di mobilità condivisa. Si forniscono  infine alcune riflessioni in merito al valore aggiunto di tale mobilità nel quadro delle politiche di trasporto che intendono supportare una maggiore sostenibilità.

    Economia e mobilità condivisa: alcune cifre

    La sharing economy ha fortemente perturbato alcuni settori tradizionali (es. l’industria alberghiera e dei taxi).

    Si stima[1]stima che l'economia condivisa valga 15 miliardi di dollari e che dovrebbe salire a 335 miliardi di dollari entro il 2025. Inoltre, il rapporto di PwC fornisce alcuni elementi di riflessione interessanti:

    • l’8% di tutti gli adulti ha partecipato a qualche forma di condivisione dell’auto;
    • l’1% ha prestato servizio come fornitore di questo nuovo modello, facendo da autista o prestando la propria auto per ore, giorni o settimane;
    • un terzo dei consumatori dice che l’industria dell’automobile produce troppi rifiuti;
    • i millennial guidano meno ed hanno meno probabilità di prendere la patente di guida;
    • i millennial considerano le automobili come un'opportunità, non sentono un valore emotivo né gli assegnano uno status symbol;
    • gli smartphone rendono costoso guidare;
    • un passeggero può leggere le e-mail quando si sposta ed essere così "produttivo";
    • Uber afferma che lo stesso vale per il bere: "dal lancio di UberX in California, gli incidenti di guida in stato di ebbrezza sono diminuiti di 60 al mese per i conducenti al di sotto dei 30 anni";
    • il 59% degli intervistati ha dichiarato che non si fiderà delle imprese dell'economia condivisa fino a quando non saranno adeguatamente regolamentate;
    • ai consumatori piacciono i modelli di economia condivisa del settore automobilistico:
    • al 56% perché hanno prezzi migliori;
    • al 32% perché c’è più scelta nel mercato;
    • al 28% perché l’accesso è più conveniente.

    Nel settore dei trasporti l’economia condivisa sta prendendo sempre più piede, ma non ci si deve dimenticare che non è un modello nuovo, bensì l’evoluzione del tradizionale “car rental” che è diventato “car sharing” e che, a sua volta, è passato da un affitto a ore ad un sistema onnipresente che include l'uso condiviso e persino le auto a guida autonoma. Un siffatto cambiamento ha, ovviamente, indotto le aziende automobilistiche a ripensare il loro ruolo ed immagine, diventando, oltre a produttori di veicoli, fornitori di servizi di mobilità. Le aziende più attive in questa trasformazione sono Mercedes-Benz con Car2Go, General Motors con Lyft, Maven, Turo (con Google), Citroen con Multicity, BMW con ReachNow, Ford con Chariot e Audi con Silvercar.

    Altre tipologie di aziende hanno seguito questa tendenza quali le imprese di trasporto pubblico (SNCF, Transdev, Keolis) che supportano od hanno creato aziende di car sharing. Invece, le aziende di car rental hanno semplicemente aggiornato il loro business, estendolo all’odierno sharing; alcuni esempi sono Enterprise con Car Share e RideShare (vRide) e Hertz on Demand. Piccole aziende quali Getaround stanno crescendo in maniera esponenziale e nuovi attori esterni al settore dei trasporti stanno emergendo nei servizi di mobilità, ad esempio Apple.

    Molte start-up di tipo tecnologico hanno iniziato a offrire servizi di mobilità condivisa, tra cui la più famosa è senz’altro Uber (ridesharing) che è la start-up di maggior valore, stimato a 70 miliardi di dollari (Beales, 2016).

    Questa enorme crescita del settore della mobilità condivisa ha iniziato a far emergere la questione della redditività dei servizi resi ed il modello di business più adatto da adottare è diventato una priorità per tutte le aziende che operano in questo settore.

    Il modello di business della mobilità condivisa

    La mobilità condivisa è continuamente messa in discussione dalle dinamiche del contesto in cui opera per: a) la complessità nel prevedere la domanda dei clienti; b) l’utilizzo delle tecnologie digitali; c) i vincoli economici ed ambientali.

    Chi fornisce servizi di mobilità condivisa deve adattare il proprio modello di business alle esigenze dei clienti in modo efficiente, conveniente e sostenibile. In Figura 1 viene presentato il modello di business della sharing economy che viene utilizzata nel settore dei trasporti (ad es. Uber), in cui si osserva come chi abilita il servizio (service enabler) si configura come una piattaforma che: a) addebita una commissione per ogni transazione; b) si assume la responsabilità del marketing, della sicurezza dei dati e del gateway di pagamento sicuro; c) genera la domanda del servizio e agisce per aumentare il numero di transazioni.

     

    Figura 1 – Il modello di business della sharing economy

     

    Fonte: Kumar et al., 2018

    Invece il cliente (customer) desidera un servizio conveniente ed a basso costo, fattibile grazie all’utilizzo di tecnologie digitali. Infatti, la convenienza offerta dalle tecnologie digitali indirizza il cliente verso la piattaforma di abilitazione del servizio.

    Il sistema è una risposta alle esigenze del cliente (es. convenienza), ma non risponde alle esigenze dei fornitori del servizio (ad es. chi guida l’auto di Uber). Riportando l’esempio di Uber, possiamo affermare che:

    • perde denaro anche se raddoppia le sue entrate ogni sei mesi (Mcqueeney, 2016);
    • ha continuato a ridurre il prezzo della transazione per rimanere competitivo ed aumentare la sua valutazione prima della prevista IPO (offerta pubblica iniziale per la quotazione in borsa);
    • la maggior parte delle spese sono imputabili agli stipendi dei conducenti (Solomon, 2016), ma gran parte della stampa afferma che i conducenti dei sistemi di ridesharing guadagnano meno della media nazionale (USA) dei tassisti;

    Possiamo concludere dicendo che il 56% dei fornitori di servizi della sharing economy ha un reddito annuo inferiore a 40.000 dollari (Pofeldt, 2015).

    Quanto esposto fino ad ora pone senz’altro la questione del perché le aziende continuino ad investire nei servizi di mobilità condivisa nonostante al momento questi servizi siano in perdita. Ma una domanda ancora più importante è se questi servizi abbiano davvero un valore aggiunto per gli utenti e, quindi, per la società.

    I servizi di shared mobility hanno un valore aggiunto?

    Kumar et al. (2018) osservano che i servizi condivisi consentono lo scambio di valore perché: a) permettono a chi li utilizza (customers) di risparmiare tempo grazie alla convenienza; b) generano valore monetario per i fornitori di servizi (service providers) che offrono i loro beni (auto); c) forniscono tempo e denaro a chi abilita i servizi (service enablers) e d) permettono di evitare di investire in modo importante in risorse umane o capitale (Figura 2).

    FonteFigura 2 – Valori generati nell'economia condivisa per ogni attore coinvolto

    Kumar et al., 2018

     

    La vera questione, però, è se questi servizi abbiano davvero un ruolo importante nel rendere la mobilità più sostenibile o se non siano l’ennesima nuova (apparentemente) forma di mobilità che non porta un reale cambiamento nei comportamenti di mobilità dato che l’automobile rimane il mezzo utilizzato per spostarsi. Considerando le definizioni di mobilità condivisa riportate nell’introduzione, ci si deve anche chiedere se l'aumento dell'utilizzo di risorse sottoutilizzate sia soddisfatto. In uno studio effettuato nel 2016 dall’autore ed il suo gruppo di ricerca si osserva come il tempo di sosta delle auto del servizio di car-sharing Car2Go sia piuttosto alto e come il turnover sia migliore solo nel centro città (Fig. 3).

    Figura 3 – Tempo di sosta delle auto del servizio car sharing Car2Go a Torino (2016)

    Dati più recenti (Fig. 4) mostrano i dati di utilizzo dei servizi di car sharing nelle città di Torino, Milano, Berlino e Vancouver, confermando l’elevato tempo di inutilizzo delle auto.

    Fonte: Cocca et al., 2018

     

    Figura 4 – Utilizzo dei servizi di car sharing nelle città di Torino, Milano, Berlino e Vancouver

    La figura 5, invece, mostra il comportamento di mobilità degli utenti del servizio di car-sharing Car2Go a Torino, nel 2016..

     

    Figura 5 – Spostamenti effettuati con il servizio Car2Go a Torino (a sinistra) e rete principale (linee di forza) della rete di trasporto pubblico di Torino (a destra)

    A sinistra nella figura si osservano le origini e destinazioni degli spostamenti nel corso di una settimana tipo, mentre a destra sono riportate le linee di forza della rete di trasporto pubblico di Torino.

    Si può notare come spesso il car sharing sia utilizzato per spostamenti che potrebbero essere effettuati con il trasporto pubblico, ma anche con la bicicletta, sottraendo utenti a modi di trasporto più sostenibili. Di conseguenza, i servizi di car sharing non sono redditizi e costituiscono un pericoloso concorrente del trasporto pubblico e della bicicletta, continuando a rinforzare la percezione positiva dell’auto come modo flessibile, confortevole e veloce, a discapito degli sforzi di cambiare il comportamento di mobilità degli utenti.

     Inoltre, siccome i servizi forniti non sono (ancora) redditizi, la  condizione per raggiungere la redditività è di avere mercati più grandi. A tal fine le aziende sono interessate a comprendere il profilo dei potenziali utenti ed a segmentare il mercato per capire come personalizzare sempre più i servizi offerti per attirare più clienti. La dimensione del mercato rimane comunque la variabile più importante che induce le aziende ad offrire i propri servizi solo nelle aree urbane, ad elevata densità. Questo aspetto non permette di avere il servizio nelle aree a bassa densità dove la mobilità condivisa potrebbe avere un valore aggiunto e sostituire il trasporto pubblico che è troppo costoso in tali aree. Infatti, non essendo profittevoli i servizi in condivisione in aree densamente abitate, come potrebbero sopravvivere nelle aree suburbane e rurali. dove invece potrebbero rappresentare un reale valore aggiunto?

    Si può quindi facilmente dedurre che solo un mercato di vaste proporzioni renderà profittevoli i servizi di mobilità condivisa con l’effetto, però, che più utenti ci saranno meno il sistema di trasporto sarà sostenibile. Quindi, l’interesse delle aziende è di attirare più clienti, comprendendo che il valore di servizio di mobilità sostenibile che proponevano all’inizio non è più credibile. Non è un caso, infatti, che l'orientamento alla sostenibilità delle piattaforme di sharing economy rappresenti solo la fase iniziale dello sviluppo della piattaforma. Lo sviluppo dalle prime  idee di condivisione ed accesso alle transazioni ed alla professionalizzazione è una transizione a livello di piattaforma in cui le piattaforme potenzialmente diventano sempre più focalizzate su temi diversi dalla sostenibilità man mano che si sviluppano e attraggono altri utenti e produttori.

    Quando avviene la professionalizzazione delle piattaforme, l'accesso e la condivisione, non vengono più proposte e l’accento si sposta sulla convenienza economica per l’utente. Inoltre, questo sviluppo delle piattaforme può derivare dal modo in cui quelle dominanti rientrano in un'accresciuta regolamentazione e controllo (non da ultimo nei media) e non possono più definirsi sostenibili o "osare" di farlo a seguito del fatto che i giornali si dimostrano critici. Le piattaforme più recenti potrebbero non aver suscitato l'interesse dei media e si presenterebbero quindi –  e in base alla loro organizzazione –  come sostenibili (Geissinger at al., 2018).

    Evoluzioni future e conclusioni

    La grande spinta mediatica verso i servizi di mobilità condivisa e l’interesse sempre maggiore, a livello politico, verso questa forma di mobilità ha portato ad indirizzare il concetto di condivisione verso l’ultima frontiera dell’automobile, quella dei veicoli a guida autonoma. Rendendosi conto che la semplice sostituzione delle attuali automobili in automobili a guida autonoma potrebbe portare ad effetti devastanti in termini di aumento della domanda di trasporto, ha preso ormai piede il concetto che le future automobili autonome saranno però in condivisione, diventando SAV: shared automated vehicles.

    Considerando il modello di business di Figura 1, lo scenario sopra prefigurato comporterebbe la scomparsa dei costi del personale, eliminando il service provider (il guidatore di Uber) e la triade del modello di business diventerebbe una diade dove il service enabler diventa service provider ed il produttore di automobili potrebbe rientrare nel modello come terzo elemento (ricostituendo la triade) come fornitore del veicolo.

    Lo sviluppo dall'accesso e condivisione all'acquisto ed al consumo può essere piuttosto la conseguenza dello sviluppo di singole piattaforme piuttosto che uno sviluppo complessivo dell'economia della condivisione (Geissinger et al., 2018). Tali piattaforme potrebbero diventare o migrare verso la piattaforma del MaaS (Mobility as a Service) ed il terzo elemento della triade potrebbe riapparire come fornitore di servizi, diverso da quello attuale. In tal caso sarà necessaria una regolamentazione perché la piattaforma sarà soggetta ad una serie di questioni cruciali:

    • la privacy e la sicurezza dei dati;
    • chi dovrà farsi carico e gestire la piattaforma: il privato, il pubblico, una partnership pubblico-privata;
    • la scala su cui opererà la piattaforma: locale, provinciale, regionale, statale.

    Senz’altro l’ente pubblico non potrà esimersi dall’assumersi le sue responsabilità e la grande sfida sarà di capire quali saranno le piattaforme e come gestirle.

    Bibliografia

    Beales, R. (2016). Uber's $70 bln value accrues mainly to customers. Retrieved from http://www.reuters.com/article/us-uber-valuation-breakingviews-idUSKBN14B23A. Accessed on the 20th of September 2018.

    Cocca, M., Giordano, D., Mellia, M., Vassio, L., (2018) Free Floating Electric Car Sharing: A Big Data approach for System Design. Proceedings of IEEE International Conference on Smart Computing (SMARTCOMP)(2018). Taormina(Italy) 18-20 June 2018.

    Eckhardt, G. M., Bardhi, F. (2015). The sharing economy isn't about sharing at all. Harvard Business Review, 28(01).

    Kumar, V., Lahiria, A., Bahadir, Dogan, O.B. (2018). A strategic framework for a profitable business model in the sharing economy. Industrial Marketing Management 69 (2018) 147–160. Doi: 10.1016/j.indmarman.2017.08.021.

    Mcqueeney, R. (2016). Uber: the good, the bad, and the ugly. Retrieved from http:// www.nasdaq.com/article/uber-the-good-the-bad-and-the-ugly-cm591739. Accessed on the 9th September 2018.

    Pofeldt, E. (2015). What you'll really make on Uber, Airbnb or Etsy. Retrieved from http://www.forbes.com/sites/elainepofeldt/2015/04/26/what-youll-really-makeon-uber-airbnb-or-etsy/#7c28a28673ac. Accessed on the 14th of September 2018.

    PwC (2015) The sharing Economy. Consumer Intelligence series. © 2015 PricewaterhouseCoopers LLP. Retrieved from: https://www.pwc.com/us/en/industry/entertainment-media/publications/consumer-intelligence-series/assets/pwc-cis-sharing-economy.pdf. Accessed on the 12th September 2018.

    Solomon, B. (2016). Leaked: Uber's financials show huge growth, even bigger losses. Retrieved from https://www.forbes.com/sites/briansolomon/2016/01/12/leakedubers-financials-show-huge-growth-even-bigger-losses/#4675e0b36bae. Accessed on the 16th of September 2018.

    Tussyadiah, I. P. (2016). Factors of satisfaction and intention to use peer-to-peer accommodation. International Journal of Hospitality Management, 55, 70–80.

    Per approfondire

    Möhlmann, M. (2015). Collaborative consumption: Determinants of satisfaction and the likelihood of using a sharing economy option again. Journal of Consumer Behaviour, 14(3), 193–207.

    Trivers, R. L. (1971). The evolution of reciprocal altruism. Quarterly Review of Biology, 35-57.

     

    Abstract

    La cosiddetta mobilità condivisa, meglio nota con il termine anglosassone di “shared mobility” è oggi un tema molto dibattuto nell’ambito dei trasporti ed è una delle soluzioni suggerite dalla Commissione Europea per orientare la mobilità verso una maggiore sostenibilità.

    L’articolo presenta  alcuni dati sulla sharing economy e  illustra il business model dei servizi di mobilità condivisa. Si forniscono poi  alcune riflessioni in merito al valore aggiunto di tale mobilità nel quadro delle politiche di trasporto che intendono supportare una maggiore sostenibilità.

     

     

    [1] PwC (2015) The sharing Economy. Consumer Intelligence series. © 2015 PricewaterhouseCoopers LLP. Retrieved from: https://www.pwc.com/us/en/industry/entertainment-media/publications/consumer-intelligence-series/assets/pwc-cis-sharing-economy.pdf. Accessed on the 12th September 2018

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